Più di duemila pagine nella quindicesima edizione della Guida, costruita da un collaudato gruppo di circa quaranta sommelier che condividono lo stesso linguaggio e i medesimi parametri di valutazione. Ogni anno la pubblicazione inizia a prendere vita in primavera, dopo il Vinitaly. Una scelta che consente di invitare anche aziende meno note e non ancora presenti in Guida, scoperte e assaggiate dai vari redattori durante la fiera veronese e ritenute idonee per la partecipazione alle degustazioni e all’eventuale pubblicazione. In redazione poi, considerando il numero massimo di cantine da poter inserire in calendario da maggio ad agosto si programmano gli assaggi: lavoro quest’ultimo che riserva sempre emozioni, sorprese e meravigliose conferme.
Ciò detto, dopo quindici edizioni è divertente fare qualche riflessione. Tre lustri non sono un periodo molto lungo ma sicuramente sufficiente per ragionamenti e confronti. Ad esempio, quella che allora sembrava una scelta, quasi uno sfizio, di pochi è diventato l’obiettivo di tutti: la qualità è cresciuta in modo esponenziale.
Non esistono (quasi) più le aziende che propongono specchietti per allodole, ossia uno o due vini di punta curatissimi e il resto della gamma nemmeno lontanamente paragonabile. Oggi, i produttori tutti viaggiano ad alti livelli. Nemmeno l’equazione Grandi numeri uguale Scarsa qualità è più valido. Aziende da milioni di bottiglie l’anno sfornano etichette come minimo validissime e talvolta davvero eccellenti: si vedano i risultati della campana Feudi di San Gregorio (3,5 milioni), di Cavit a Trento (4.500 viticoltori associati per 62 milioni di bottiglie), Tasca d’Almerita in Sicilia o Sella & Mosca in Sardegna, dozzine di etichette ciascuna e una qualità diffusa sia nei vini per lo scaffale del supermercato, proposti fra l’altro a prezzi convenientissimi, sia nei prodotti più ricercati, destinati a portafogli un po’ più gonfi.
Grazie ad aziende virtuose come queste, la voglia di qualità a prezzi abbordabili si è estesa in tutta la Penisola. Fanno eccezione pochi territori, che però hanno dalla loro l’attenuante di praticare la vitivinicoltura in condizioni ambientali difficili, a volte estreme.
Insomma, oggi come oggi trovare del vino di bassa qualità o con difetti più o meno conclamati è un’impresa abbastanza difficile, per fortuna.
Senza stare qui a elencare le regioni tradizionalmente famose per la produzione vitivinicola e le giovani promesse divenute oggi splendide realtà, è bello lasciarsi sorprendere dagli outsider. Fino a una quindicina di anni fa nessuno avrebbe scommesso e tantomeno scelto per un evento importante un vino campano, pugliese, abruzzese. L’Abruzzo, dalla fama consolidata solo grazie a un pugno di illuminati produttori, oggi è il territorio dove si beve meglio al prezzo minore. Una definizione che si adatta bene anche alla Puglia, quasi una “neonata” in qualità, a cominciare dall’olio, ma di questo ne parleremo in altra edizione. Sul versante vino si è riusciti a controllare alcune “intemperanze” di clima e vitigni, arrivando così a ottenere prodotti piacevolissimi davvero per tutte le tasche. Luoghi in cui, grazie a questa ricerca della qualità, si sta investendo in vigneti senza avere a disposizione i capitali di una multinazionale, come succede in territori di più antica nobiltà enologica.
Bibenda 2014 ha fortemente voluto sottolineare queste realtà emergenti, veri battistrada e concreta ispirazione per tutte quelle nuove generazioni che spesso tornano a casa forti di idee, esperienze e volontà di far sempre meglio. Quando ci si trova di fronte a queste cantine lo si capisce fin dal primo assaggio: sono vini nuovi, diversi, puliti e capaci, sorso dopo sorso, di rinnovare tutto l’amore che nutriamo per la nostra Italia.