La Favola del Vino: autoctono a chi?
Dal nostro corrispondente ad Aruba un interessante punto di vista sui vitigni "disadattati".
Pubblicato il 27/11/2017
Questa parte del mondo è il primo approdo commerciale dei prodotti dell’emisfero sud e ciò fa sì che già a Settembre, quando in Europa e negli Usa comincia la vendemmia, sugli scaffali delle enoteche e dei supermercati facciano bella mostra di sé i vini della nuova annata. Per primi arrivano i bianchi e, dopo un paio di mesi, i rossi. Come ci si potrebbe aspettare, Cabernet Sauvignon, Carmenere e Merlot si presentano acerbi e, spesso, anche sgraziati. Ma la sorpresa dell’annata 2017 sono i Malbec, profumati, beverini, di estrema piacevolezza, talvolta naïve, ma è comunque divertente passarci una serata insieme.
E qui viene a galla una problematica che mi rode dentro fin dal primo giorno che ho sentito la parola “autoctono”. La Vitis Vinifera è il vegetale meno stanziale che esista sulla terra, che, fin dal momento della trasformazione dalla Vitis Silvestris, ha galoppato in lungo e in largo per tutto il mondo frequentato dagli umani ed al seguito degli umani. Se gli uomini viaggiano, si spostano, migrano, è solo per trovare condizioni migliori. E lo stesso accade ai vitigni. Due esempi bastino per tutti: l’epopea del Syrah in Australia e il trionfo del Malbec in Argentina.
Originario del bordolese e diffuso nel sud-ovest della Francia (principalmente nel Cahors, dove assume anche il nome di Auxerrois o Côte Noir) il Malbec ci ha sempre vissuto male, un disadattato mal sopportato anche da coloro che lo ospitavano. Seguendo le orme di milioni di migranti, ha varcato l‘Atlantico ed ha trovato nei territori di Mendoza, in Argentina, la sua patria d’elezione, riuscendo a dare il meglio di sé, smussando i tratti più spigolosi del suo carattere e le debolezze della sua struttura. Se ben accudito, si fa apprezzare già in gioventù, in un crescendo di innamoramento via via che passa dalla maturità alla vecchiaia.
Ma non è autoctono. E questa, per molti, è una colpa grave.
E qui viene a galla una problematica che mi rode dentro fin dal primo giorno che ho sentito la parola “autoctono”. La Vitis Vinifera è il vegetale meno stanziale che esista sulla terra, che, fin dal momento della trasformazione dalla Vitis Silvestris, ha galoppato in lungo e in largo per tutto il mondo frequentato dagli umani ed al seguito degli umani. Se gli uomini viaggiano, si spostano, migrano, è solo per trovare condizioni migliori. E lo stesso accade ai vitigni. Due esempi bastino per tutti: l’epopea del Syrah in Australia e il trionfo del Malbec in Argentina.
Originario del bordolese e diffuso nel sud-ovest della Francia (principalmente nel Cahors, dove assume anche il nome di Auxerrois o Côte Noir) il Malbec ci ha sempre vissuto male, un disadattato mal sopportato anche da coloro che lo ospitavano. Seguendo le orme di milioni di migranti, ha varcato l‘Atlantico ed ha trovato nei territori di Mendoza, in Argentina, la sua patria d’elezione, riuscendo a dare il meglio di sé, smussando i tratti più spigolosi del suo carattere e le debolezze della sua struttura. Se ben accudito, si fa apprezzare già in gioventù, in un crescendo di innamoramento via via che passa dalla maturità alla vecchiaia.
Ma non è autoctono. E questa, per molti, è una colpa grave.