Apologia del Gamay
Lo scoppio della bolla del Beaujolais, il dopo.
Pubblicato il 05/04/2018
Probabilmente al mondo non esiste vitigno più sfigato del Gamay: vittima non di se stesso ma della incontenibile voglia di profitto di certi produttori scriteriati che negli anni '80 fecero gonfiare la bolla del Beaujolais Nouveau - il quale riempiva e riempie tutt'ora gli scaffali di ogni supermercato (l'Italia ne importa circa 150 mila bottiglie l'anno) - che per sempre ne rovinò la reputazione e lo relegò a ignobile uva per vini semplici e commerciali.
Nonostante la bolla sia ormai scoppiata da tempo e i consumi di Beaujolais Nouveau si siano ridotti di due terzi rispetto a 30 anni fa, con la conseguente diminuzione dei vigneti (da 23 mila a 16 mila ettari), l'immagine del povero Gamay è ancora danneggiata da questo prodotto che a ben vedere poco ha a che fare con un vitigno invero molto interessante.
Se a ciò aggiungiamo l'ulteriore danno storico causato da Filippo II l'Ardito, Duca di Borgogna, che nel 1395 fece espiantare tutte le vigne di Gamay dalla regione per favorire il più elegante Pinot Noir, va da sé che a questa cultivar proprio non ne va mai una giusta.
Eppure questo antico vitigno, nato dall'incrocio naturale fra Pinot e Gouais Blanc, il cui nome ricorda le sue nobili origini e con cui forse bisognerebbe tornare a chiamarlo, cioé Gamay Noir à Jus Blanc, ha un legame fortissimo con il terroir di quei 6,191 ettari che costituiscono i 10 cru del Beaujolais.
Se non avete mai sentito parlare di cru nel Beaujolais allora non conoscete il Beaujolais e, quindi, non conoscete il Gamay: pochi vitigni e poche regioni al mondo infatti sono così interdipendenti fra loro, con un legame esclusivo che rende i vini di quest'area riconoscibilissimi, fruttati, minerali, freschi e degni di invecchiamento, altro che Nouveau!
La zona dei cru è situata all'estremo nord della regione, proprio a due passi da Mâcon, dove il terreno è formato da granito e scisti, con un misto fra ardesie blu, diorite, antiche pietre alluvionali e calcare, una complessità di elementi talmente poco fertili che rendono difficile la vita al Pinot Noir, ma che fanno eccellere il Gamay, motivo per il quale questi resiste stoicamente con vigne spesso ultracentenarie.
Nonostante la bolla sia ormai scoppiata da tempo e i consumi di Beaujolais Nouveau si siano ridotti di due terzi rispetto a 30 anni fa, con la conseguente diminuzione dei vigneti (da 23 mila a 16 mila ettari), l'immagine del povero Gamay è ancora danneggiata da questo prodotto che a ben vedere poco ha a che fare con un vitigno invero molto interessante.
Se a ciò aggiungiamo l'ulteriore danno storico causato da Filippo II l'Ardito, Duca di Borgogna, che nel 1395 fece espiantare tutte le vigne di Gamay dalla regione per favorire il più elegante Pinot Noir, va da sé che a questa cultivar proprio non ne va mai una giusta.
Eppure questo antico vitigno, nato dall'incrocio naturale fra Pinot e Gouais Blanc, il cui nome ricorda le sue nobili origini e con cui forse bisognerebbe tornare a chiamarlo, cioé Gamay Noir à Jus Blanc, ha un legame fortissimo con il terroir di quei 6,191 ettari che costituiscono i 10 cru del Beaujolais.
Se non avete mai sentito parlare di cru nel Beaujolais allora non conoscete il Beaujolais e, quindi, non conoscete il Gamay: pochi vitigni e poche regioni al mondo infatti sono così interdipendenti fra loro, con un legame esclusivo che rende i vini di quest'area riconoscibilissimi, fruttati, minerali, freschi e degni di invecchiamento, altro che Nouveau!
La zona dei cru è situata all'estremo nord della regione, proprio a due passi da Mâcon, dove il terreno è formato da granito e scisti, con un misto fra ardesie blu, diorite, antiche pietre alluvionali e calcare, una complessità di elementi talmente poco fertili che rendono difficile la vita al Pinot Noir, ma che fanno eccellere il Gamay, motivo per il quale questi resiste stoicamente con vigne spesso ultracentenarie.
I vini di queste zone hanno freschezza e struttura, con un livello di acidità che, insieme a tannini soffici, garantisce un'immediata bevibilità e una grande versatilità nell'abbinamento con il cibo, così come una discreta propensione all'invecchiamento. Dal punto di vista aromatico i profumi vanno dalla frutta più rossa e croccante a quella più scura e matura, con alcuni esempi che ricordano i Pinot Noir della vicina Côte d'Or, fino a note più speziate, di pepe, che riconducono ai vini del Rodano settentrionale.
Chiaramente fra cru e cru ci sono delle sottili ma sostanziali differenze che rendono la scoperta del Gamay e del Beaujolais ancora più intrigante: così si può scoprire che dal cru Moulin-à-Vent arrivano alcuni dei Beaujolais più persistenti, concentrati e atipici, in cui il Gamay assomiglia molto più al Pinot Noir con le sue note sanguigne, mentre dal cru Fleurie, uno di quelli che spuntano il prezzo più alto sul mercato, provengono vini più leggiadri, floreali come il nome suggerisce e decisamente seducenti.
La riscoperta di questi cru d'eccellenza, per troppo tempo oscurati dal successo del Beaujolais Nouveau, la si deve a quattro produttori che proprio negli anni '80 invece di scegliere la facile via di imbottigliare e vendere il vino il prima possibile come facevano tutti, decisero di tornare alla tradizione per produrre vini di altà qualità, territoriali, che potessero portare con orgoglio il nome di Beaujolais: Jean Foillard, Jean-Paul Thévenet, Marcel Lapierre e Guy Breton. Nella mente di questi quattro vigneròn le idee erano ben chiare, tanto che si impegnarono da subito a portare avanti il loro lavoro sulla base di poche semplici regole, quali l'uso esclusivo di vecchie viti, un regime di conduzione agricola biodinamica o biologica, la severa selezione delle uve, un impiego di solforosa al minimo indispensabile, il rifiuto di ricorrere alla chaptalisation e di filtrare il vino.
Oggi numerosi produttori si sono re-interessati alla produzione di Beaujolais dai 10 cru e la regione sta vivendo una rinascita che ha attratto anche gli investimenti di diverse aziende della Côte d'Or: négociant come Louis Jadot, Albert Bichot, Bouchard Père et Fils e Joseph Druhin, alcuni fra i nomi più influenti di tutta la Borgogna, hanno acquistato negli anni diversi ettari di vigneto, e persino interi domaine, da Morgon a Brouilly. Segno evidente della voglia di restituire dignità ad un vitigno per troppo tempo considerato di serie B.
Per questo, mentre i produttori del resto della regione utilizzano la termovinificazione, un processo che mira ad estrarre velocemente i profumi dalle uve riscaldando per 12 ore il mosto a 60° e poi raffreddandolo velocemente per 3-4 giorni, con il risultato di ottenere vini sì molto profumati, ma anche terribilmente piatti e corti al palato, i vignaioli dei cru detrudono questo metodo e si avvalgono, nella maggior parte dei casi, della più delicata semi-macerazione carbonica, ancorché alcuni preferiscano semplicemente diraspare e pigiare l'uva nel più classico dei modi.
Anche le rese per ettaro sono tenute basse grazie ad una densità di impianto che, sebbene ufficialmente si aggiri intorno ai 6 mila ceppi, alcuni produttori di punta mantengono fra le 10 e le 12 mila piante per ettaro, tutte rigorosamente coltivate ad alberello e con vendemmia manuale delle uve, nonostante la meccanizzazione sia attualmente permessa.
Chiaramente fra cru e cru ci sono delle sottili ma sostanziali differenze che rendono la scoperta del Gamay e del Beaujolais ancora più intrigante: così si può scoprire che dal cru Moulin-à-Vent arrivano alcuni dei Beaujolais più persistenti, concentrati e atipici, in cui il Gamay assomiglia molto più al Pinot Noir con le sue note sanguigne, mentre dal cru Fleurie, uno di quelli che spuntano il prezzo più alto sul mercato, provengono vini più leggiadri, floreali come il nome suggerisce e decisamente seducenti.
La riscoperta di questi cru d'eccellenza, per troppo tempo oscurati dal successo del Beaujolais Nouveau, la si deve a quattro produttori che proprio negli anni '80 invece di scegliere la facile via di imbottigliare e vendere il vino il prima possibile come facevano tutti, decisero di tornare alla tradizione per produrre vini di altà qualità, territoriali, che potessero portare con orgoglio il nome di Beaujolais: Jean Foillard, Jean-Paul Thévenet, Marcel Lapierre e Guy Breton. Nella mente di questi quattro vigneròn le idee erano ben chiare, tanto che si impegnarono da subito a portare avanti il loro lavoro sulla base di poche semplici regole, quali l'uso esclusivo di vecchie viti, un regime di conduzione agricola biodinamica o biologica, la severa selezione delle uve, un impiego di solforosa al minimo indispensabile, il rifiuto di ricorrere alla chaptalisation e di filtrare il vino.
Oggi numerosi produttori si sono re-interessati alla produzione di Beaujolais dai 10 cru e la regione sta vivendo una rinascita che ha attratto anche gli investimenti di diverse aziende della Côte d'Or: négociant come Louis Jadot, Albert Bichot, Bouchard Père et Fils e Joseph Druhin, alcuni fra i nomi più influenti di tutta la Borgogna, hanno acquistato negli anni diversi ettari di vigneto, e persino interi domaine, da Morgon a Brouilly. Segno evidente della voglia di restituire dignità ad un vitigno per troppo tempo considerato di serie B.
Per questo, mentre i produttori del resto della regione utilizzano la termovinificazione, un processo che mira ad estrarre velocemente i profumi dalle uve riscaldando per 12 ore il mosto a 60° e poi raffreddandolo velocemente per 3-4 giorni, con il risultato di ottenere vini sì molto profumati, ma anche terribilmente piatti e corti al palato, i vignaioli dei cru detrudono questo metodo e si avvalgono, nella maggior parte dei casi, della più delicata semi-macerazione carbonica, ancorché alcuni preferiscano semplicemente diraspare e pigiare l'uva nel più classico dei modi.
Anche le rese per ettaro sono tenute basse grazie ad una densità di impianto che, sebbene ufficialmente si aggiri intorno ai 6 mila ceppi, alcuni produttori di punta mantengono fra le 10 e le 12 mila piante per ettaro, tutte rigorosamente coltivate ad alberello e con vendemmia manuale delle uve, nonostante la meccanizzazione sia attualmente permessa.
Bisogna dunque diffidare di chi con un certo snobismo valuta il Gamay un vitigno semplice e banale, incapace di emozionare e di resistere al tempo, persino quasi indegno di esistere ancora in Borgogna, perché anzi in qualità di Beaujolais esprime perfettamente un altro lato della regione: quello meno celebrato, meno patinato, meno borghese e più verace, dove si riesce ancora a provare la gioia di farsi una grigliata all'aperto, bevendo un vino rosso fresco e poco alcolico, magari leggermente più basso del solito di temperatura, al crepuscolo, mentre ci si asciuga dalla fronte il sudore con le mani ancora nere del lavoro in vigna. Se non sono anche queste emozioni, allora del vino non si è capito nulla.
Domaine Jean Foillard, Morgon Cote du Py 2015
Da vigne di 60 anni che insistono su un antico vulcano spento nel cuore del cru Morgon, il vino si esprime con intensi profumi di ciliegia, ribes e mirtillo, note di erbe aromatiche e un tocco speziato che torna anche al palato, ravvivato da una brillante acidità, per un sorso pieno, succoso, dai tannini di velluto e con un lungo finale.
Da abbinare ad un carrè d'agnello in crosta di erbe fini con patate à la boulangere.
Domaine Jean Foillard, Morgon Cote du Py 2015
Da vigne di 60 anni che insistono su un antico vulcano spento nel cuore del cru Morgon, il vino si esprime con intensi profumi di ciliegia, ribes e mirtillo, note di erbe aromatiche e un tocco speziato che torna anche al palato, ravvivato da una brillante acidità, per un sorso pieno, succoso, dai tannini di velluto e con un lungo finale.
Da abbinare ad un carrè d'agnello in crosta di erbe fini con patate à la boulangere.