Parla di vini da mezzo euro a bottiglia ergendoli a vini di qualità, fa parlare i produttori di questa roba ascoltando come fossero serie e normali le stupidaggini che dicono.
Poi ci sono 30.000 Aziende di qualità che invece fanno le cose bene, perché rappresentano la Cultura del nostro Paese. E non vinificano l’uva da tavola perché quelle che lo fanno sappiamo bene quali sono. E non c’è bisogno di cercarle troppo, sono quelle due o tre con nome e cognome.
Pensavo però stamattina che a rovinare il buon nome del Vino Italiano c’è di più, senza che i Produttori se ne accorgano (o magari fingono?) e non alzano scudi perché a volte parlano bene di loro con quel linguaggio arcaico di chi non conosce il vino ma peggio lo sfrutta per fare cassa.
L'Associazione Sommelier, alla cui emancipazione ho contribuito per anni, ha costruito un metodo di comunicazione, nel tempo adeguato con qualità e scienza.
Noi abbiamo interpretato una degustazione e una scuola per l’insegnamento della Cultura del Vino e dell’Olio con metodi sempre più evoluti fin dal 1965.
Abbiamo incontrato nel tempo uomini come Luigi Veronelli, Giacomo Tachis e Attilio Scienza, che ci hanno aperto strade con l’unico scopo di insegnare e divulgare un metodo di Alta Formazione.
E poi c’è tanto di più, amici lettori, tanto tanto: anche sindacati dei produttori che hanno smesso di essere tali per occuparsi di tutt’altro, corsi al pubblico, non agli iscritti, ed eventi per fare soldi.
Nascono coloro che per proprio conto si inventano di essere insegnanti, scopiazzano male quello che vedono e, dietro compenso, in poche “lezioni” e con una “carta dei vini” più che discutibile, ti danno un attestato di frequenza facendoti credere di essere diventato un Sommelier.
E ci sono anche “giornalisti” che raccontano cose, danno premi per essere devoti e con l’ausilio di un computer scrivono qualche riga e mettono le figurine delle etichette dietro piccoli importi.
Qui il problema sono pure i Produttori, un grande problema, perché si beano al pensiero che qualcuno faccia libercoli dei migliori 100 o 200 o 500 vini e via al trionfo del produttore che sta lì dentro.
I vini di qualità in Italia, lo ribadisco, sono 30.000 e più. Secondo quale principio si costruiscono libretti o guide con un numero di prodotti così esiguo? Che senso ha? Forse sono i vini che piacciono a chi scrive? O per far prima?
Non mi dilungo a identificare queste associazioni messe su per raccontare frottole. Le conoscete tutte, sono in Puglia, in Liguria, in Umbria, nel Lazio e in altri territori. Insomma, si confondono nella giungla dei pressappochisti che fanno male al vino, ancora peggio di Report.
Infatti, voglio manifestare questa mia preoccupazione che non fa notizia né rumore come il “successo” di Report, ma che ogni giorno si insinua silenziosamente nella nostra vita e produce gli stessi effetti negativi, forse anche di più perché stratificata in ogni angolo del Paese.
Dopo aver passato 40 anni della mia vita a fare della deontologia sul racconto di un lavoro grande, significativo, tanto da cambiare l’Italia, dover oggi assistere allo spettacolo dei “ladruncoli” della qualità è doloroso. Un formicaio che ci rende sempre più poveri, indebolendo quanto costruito con serietà, con sacrificio da donne e uomini che hanno dedicato la loro vita alla produzione del Vigneto e dell’Uliveto Italia.
Sì certo. Fanno male alla Cultura del Vino e dell’Olio, a quella emancipazione che abbiamo contribuito a formare e che oggi corre il pericolo di subire il cancro dell’ignoranza anche attraverso un messaggio a pagamento che tenta di assopire quello che di buono e di grande il Paese ha conquistato.
Scimmiottare piccoli Vinitaly all’aperto, baraccopoli dove il vino viene tracannato, festival di qualcosa qualunque a spese delle Regioni per accontentare qualche paese che prima si accontentava della sagra di qualche Santo. Tutto questo a discapito della Produzione Italiana onesta, quella che si intristisce e si arrabbia quando vede Report.
Ovvio che non ci riusciranno a far soppiantare il nostro Lusso di qualità del racconto infinito del Vino.
Ma se insieme ci incazziamo appena ci vengono a tiro, se i produttori non si rendono più schiavi delle adulazioni, forse facciamo prima a toglierli di mezzo e forse Report capirà meglio chi siamo.