La favola del Vino
Un nome che tutto il mondo del vino conosce, un’arguzia rara, un cervello come pochi, da sempre mentore di Bibenda, è stato anche Presidente Wsa nel suo lungo soggiorno a New York, ora continua a ispirarci dal buen retiro di Aruba.
Pubblicato il 31/01/2017
Nella Poetica (cap. VII), Aristotele spiega quale debba essere la struttura della “favola” (ovvero il racconto) per essere efficace e ben compresa da chiunque:
“Bisogna dunque che le favole, per essere ben congegnate, non comincino e non finiscano dove capita”
ma devono avere “un principio, un mezzo e una fine”. “Inoltre, ciò che è bello (…) deve avere non soltanto queste parti ordinate al loro posto, ma anche una grandezza che non sia casuale; il bello infatti sta nella grandezza e nell’ordinata disposizione delle parti (…) Deve esserci sì una grandezza, ma che sia facile ad abbracciarsi con lo sguardo. Così anche per le favole deve esserci una lunghezza, ma che sia facile ad abbracciarsi con la memoria.”
Ricordo queste parole ogni volta che mi trovo a parlare di vino qui ad Aruba, dove capita che alla stessa tavola siedano Americani, Canadesi, Olandesi, Argentini. Spesso vengono stappate bottiglie italiane, prevalentemente Prosecco, Chianti, Brunello di Montalcino e Amarone. E il fatto sconcertante è che tutti, pur convinti che si tratti di eccellenze, non hanno la minima idea di cosa ci sia nel bicchiere. O, meglio, qualche idea ce l’hanno: il Prosecco “è come lo Champagne ma costa meno”; il Chianti “is a must!”; il Brunello di Montalcino “è il vino che invecchia di più al mondo”; l’Amarone “è full bodied!”.
Se queste sono le quattro “favole” che i nostri vini bandiera riescono a raccontare ad un pubblico internazionale, colto, abbiente e interessato al vino, c’è qualcosa che non va. E quello che non va risiede nella mente dei produttori e dei comunicatori che riescono a parlare solo di tecnica, sia a monte della produzione che in sede di degustazione: per sintetizzare, immaginate Armani che presenta un suo modello descrivendo la tecnica con cui sono stati cuciti gli orli e la tenuta dei colori ai ripetuti lavaggi… che bella “favola”!
Se queste sono le quattro “favole” che i nostri vini bandiera riescono a raccontare ad un pubblico internazionale, colto, abbiente e interessato al vino, c’è qualcosa che non va. E quello che non va risiede nella mente dei produttori e dei comunicatori che riescono a parlare solo di tecnica, sia a monte della produzione che in sede di degustazione: per sintetizzare, immaginate Armani che presenta un suo modello descrivendo la tecnica con cui sono stati cuciti gli orli e la tenuta dei colori ai ripetuti lavaggi… che bella “favola”!