La reputazione ha un valore economico
Un breve flash sul nostro passato, necessario per far capire a chi non c'era le origini storiche del nostro stile.
Pubblicato il 03/05/2017
Quando con i miei compagni del Corso di Sommelier decidemmo di aiutare le persone che si occupavano della Associazione Sommelier a Roma, ricordo che decidemmo di farlo ad un patto: c'era chi raccontava pane e salame, chi pane e mortadella, noi avremmo dovuto occuparci del caviale.
E così fu: una metamorfosi sostanziale e veloce che apportò millanta (avrebbe usato Gino Veronelli, con il quale facemmo subito la strada insieme) cambiamenti, dalle cose didatticamente più sicure, come il quaderno di degustazione che all’epoca non c'era, fino alla “caccia” a chi potesse insegnare il Vino correttamente.
Da allora di tempo ne è passato e gli amici sono altri. Eppure, "quel patto" è sempre stato il mio chiodo fisso. E la deontologia ha sempre camminato a braccetto con una grande voglia di professionalità.
Il desiderio della vigna, certo, e quello del profumo della terra ci hanno accompagnato nel viaggio della comunicazione efficace, senza mai abbandonarci. Ben consapevoli che i cibi e i vini della tradizione vanno puliti dalle innovazioni e non sporcati.
Ma veniamo al dunque. Sono moltissimi i marchi italiani che hanno cessato di vivere per cattiva reputazione.
Per cattiva reputazione intendiamo tutto: la saccenza, l'aria fritta delle parole, la corruzione della deontologia, il pressappochismo delle idee, le imitazioni imbecilli, l’emulazione degli idioti.
Non ci soffermiamo troppo nell’assistere a questi scempi nella velocità della vita quotidiana, ma certamente esistono e sono la parte dannosa della nostra economia.
Nel nostro 10° Forum della Cultura Vino e dell'Olio, in programma il 3 luglio prossimo a Roma, vi dimostreremo come il Vino l'Olio, il Basilico, il Pomodoro e il Colosseo avrebbero potuto, possono e potrebbero essere la grande ricchezza del nostro Paese.
Purtroppo non è stato così. Non è successo. Non lo è stato solo per miopia e per mancanza di reputazione. Per assenza di volontà e di investimenti da parte di tutti, produttori compresi.
La storia ci tramanda che tutto è possibile sempre e che "la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario". Ma questo lo ha detto Albert Einstein.
E così fu: una metamorfosi sostanziale e veloce che apportò millanta (avrebbe usato Gino Veronelli, con il quale facemmo subito la strada insieme) cambiamenti, dalle cose didatticamente più sicure, come il quaderno di degustazione che all’epoca non c'era, fino alla “caccia” a chi potesse insegnare il Vino correttamente.
Da allora di tempo ne è passato e gli amici sono altri. Eppure, "quel patto" è sempre stato il mio chiodo fisso. E la deontologia ha sempre camminato a braccetto con una grande voglia di professionalità.
Il desiderio della vigna, certo, e quello del profumo della terra ci hanno accompagnato nel viaggio della comunicazione efficace, senza mai abbandonarci. Ben consapevoli che i cibi e i vini della tradizione vanno puliti dalle innovazioni e non sporcati.
Ma veniamo al dunque. Sono moltissimi i marchi italiani che hanno cessato di vivere per cattiva reputazione.
Per cattiva reputazione intendiamo tutto: la saccenza, l'aria fritta delle parole, la corruzione della deontologia, il pressappochismo delle idee, le imitazioni imbecilli, l’emulazione degli idioti.
Non ci soffermiamo troppo nell’assistere a questi scempi nella velocità della vita quotidiana, ma certamente esistono e sono la parte dannosa della nostra economia.
Nel nostro 10° Forum della Cultura Vino e dell'Olio, in programma il 3 luglio prossimo a Roma, vi dimostreremo come il Vino l'Olio, il Basilico, il Pomodoro e il Colosseo avrebbero potuto, possono e potrebbero essere la grande ricchezza del nostro Paese.
Purtroppo non è stato così. Non è successo. Non lo è stato solo per miopia e per mancanza di reputazione. Per assenza di volontà e di investimenti da parte di tutti, produttori compresi.
La storia ci tramanda che tutto è possibile sempre e che "la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario". Ma questo lo ha detto Albert Einstein.