La Favola del Vino. La birra: angelo o demone?
Dal nostro corrispondente ad Aruba un altro interessante spunto su cui riflettere.
Pubblicato il 03/10/2017
Un diavolo in sembianze di angelo tentatore si aggira intorno ai più puri estimatori del buon vino e cerca di carpirgli l’anima. Il suo nome, suadente ed emblematico al tempo stesso, è “birra artigianale”.
Mi si gela il sangue quando vedo gente che di vino ne capisce - e non per aver partecipato ad un corso frettoloso, ma per lunga militanza di assaggi ed esperienze – sciogliersi in brodo di giuggiole solo davanti alla prospettiva di un assaggio di “birra artigianale”. Mi si gela il sangue per motivi storici: vi siete mai chiesti perché il vino è argomento affrontato da molte religioni (il Cristianesimo lo ha addirittura eletto a perno di uno dei suoi sacramenti, l’Eucarestia) e la birra non compare in nessun testo sacro, nemmeno di striscio? La ragione è molto semplice: per ottenere del buon vino bisogna fare i conti con le forze della natura, le gelate, la siccità, la pioggia, il caldo eccessivo, i parassiti, le condizioni pedoclimatiche, le rese ecc. ecc. Ovvero tutto ciò che all’alba dei tempi si identificava con la “volontà di Dio”. E poi, ci sono tempi stretti e mai prefissati per vendemmiare, pigiare, fermentare, svinare, travasare, imbottigliare.
E mi si gela il sangue per motivi tecnici: la birra si fa quando si vuole e dove si vuole, si assemblano gli ingredienti facendoli arrivare anche da ogni angolo del mondo ed il suo profilo gustativo (sapore, profumo, corposità, effervescenza) lo si decide dove la si elabora.
Chi ne sa di vino predica – e a ragione – che il vino “si fa nel vigneto” e rifugge (o contesta) tutti i vini, anche se di grande qualità, in odore di essere “fatti in cantina”.
Insomma, chi ama il vino realizzato dal vignaiolo “sapiente”, quello che non ha paura di combattere con le forze della natura e che se le inventa tutte per piegarla ai suoi obiettivi, non dovrebbe così facilmente emozionarsi davanti ad un prodotto come la birra (se pur “artigianale”) frutto dell’abilità di un “alchimista” che si fa chiamare “mastro birraio”.
Bisogna decidersi: o dalla parte dei “vini naturali” o da quella delle “birre artigianali”. Tertium non datur.
E mi si gela il sangue per motivi tecnici: la birra si fa quando si vuole e dove si vuole, si assemblano gli ingredienti facendoli arrivare anche da ogni angolo del mondo ed il suo profilo gustativo (sapore, profumo, corposità, effervescenza) lo si decide dove la si elabora.
Chi ne sa di vino predica – e a ragione – che il vino “si fa nel vigneto” e rifugge (o contesta) tutti i vini, anche se di grande qualità, in odore di essere “fatti in cantina”.
Insomma, chi ama il vino realizzato dal vignaiolo “sapiente”, quello che non ha paura di combattere con le forze della natura e che se le inventa tutte per piegarla ai suoi obiettivi, non dovrebbe così facilmente emozionarsi davanti ad un prodotto come la birra (se pur “artigianale”) frutto dell’abilità di un “alchimista” che si fa chiamare “mastro birraio”.
Bisogna decidersi: o dalla parte dei “vini naturali” o da quella delle “birre artigianali”. Tertium non datur.