C’è un legame profondo che unisce Italia e Argentina: un filo di generazioni che si intrecciano, di anime che hanno attraversato l’oceano portando con sé ricordi, dialetti, fotografie ingiallite. È il filo dei silenzi nelle valigie troppo leggere, le memorie pesanti e nei sogni troppo grandi, delle partenze senza ritorno e delle attese infinite. Oggi queste connessioni si manifestano ancora più forti e continuano ad essere vicine, nella cultura, nell’anima e nelle profonde affinità che mantengono vivo il patrimonio di un rapporto unico.
Guarda il video dell'Inaugurazione del nuovo anno sociale di Fondazione Italiana Sommelier.
Con la forza evocativa di un brindisi che inaugura un nuovo cammino, l’apertura dell’anno sociale 2025-26 si è svolta all’insegna dell’Argentina e dei suoi vini. Lunedì 15 settembre, nelle sale prestigiose dell’Hotel Rome Cavalieri, si è svolta una giornata indimenticabile dedicata al patrimonio vitivinicolo di questa terra, grazie alla collaborazione con gli amici di Via dell’Abbondanza, da oltre vent’anni ambasciatrice instancabile del meglio dell'enologia argentina.
Il pubblico presente ha avuto l’opportunità di intraprendere un ideale viaggio sensoriale tra le vigne che si estendono ai piedi delle maestose Ande, esplorando territori di altitudini estreme e terroir di straordinaria vocazione. Questi vigneti, capaci di dare vita a vini di rara eleganza e intensità, sono il risultato di un equilibrio perfetto tra natura e passione.
Un grande banco d’assaggio, con oltre venti cantine protagoniste, ha offerto una panoramica affascinante delle molteplici interpretazioni di Malbec e di altre varietà autoctone delle diverse regioni, rivelando la ricchezza e la diversità di questa terra vitivinicola. È stato un momento di autentica scoperta, di emozioni condivise e di un amore profondo per il vino, simbolo di un legame che si rinnova e si rafforza nel tempo, unendo due mondi lontani ma così vicini nel cuore e nella cultura.


Il momento più atteso è stato senza dubbio il seminario di degustazione, sotto la guida dell’enologo argentino Guillermo Pontis e del docente della Fondazione italiana Sommelier Luciano Mallozzi, che ha visto protagoniste due tra le cantine più rappresentative della scena argentina: Enemigo Wines e Catena Zapata.
Dieci etichette hanno scandito un percorso di rara profondità, capace di raccontare la storia, la ricerca e la visione di due realtà che oggi incarnano l’anima più autentica e contemporanea del vino argentino. Un’esperienza che ha lasciato nei calici, e nella memoria dei presenti, la traccia viva di un Paese che parla al mondo con un linguaggio universale.
È stata l’occasione non solo per scoprire il volto contemporaneo del vino argentino, ma anche per tornare indietro nel tempo, dove tutto ebbe inizio.




La vite non apparteneva alla tradizione agricola del Sud America: fu introdotta nel XVI secolo dai colonizzatori spagnoli e dai missionari gesuiti, che portarono con sé talee destinate a fornire il “Sangue di Cristo” durante le celebrazioni liturgiche. Si racconta che già nel 1556 padre Cedrón piantò i primi vigneti argentini lungo le sponde del Rio de la Plata. Da quelle piantagioni, affidate alla tenacia di terreni caldi e aridi, nacquero le prime uve di identità sudamericana: la varietà Criolla, pilastro della viticoltura argentina per oltre tre secoli, fino all’emergere di incroci spontanei come il Torrontés, oggi considerato il vitigno bandiera bianco dell’Argentina nelle sue tre varianti: Riojano, Sanjuanino e Mendocino.
Ma il vero slancio arrivò tra XIX e XX secolo, quando le ondate di immigrati, soprattutto italiani e francesi, portarono energia, competenze, conoscenze, tradizioni enologiche e nuovi vitigni. Tra loro, l’agronomo Michel Aimé Pouget che nel 1853 introdusse in Argentina il Cabernet Sauvignon, Merlot e soprattutto il Malbec.
Originario della regione di Cahors in Francia, questo vitigno ha storicamente prodotto vini caratterizzati da austerità, colore intenso e profondità, noti come i "vini neri di Cahors".
Difficile da coltivare, fragile di fronte alle malattie e poco amato dai grandi châteaux bordolesi, è stato spesso trascurato e impiegato solo marginalmente nei tagli. Per lungo tempo sembrava destinato a rimanere nell'ombra, relegato a un ruolo secondario nel panorama vinicolo.
In Argentina ha trovato la sua rinascita: una seconda vita che profuma di destino. Ai piedi delle Ande ha scoperto la sua terra d’elezione, dove il clima secco, le altitudini vertiginose e i suoli generosi hanno saputo esaltarne le qualità più intime. Qui si è trasformato! Da vino cupo e severo a inno di luce e colore, vellutato e avvolgente, ricco di frutto, con tannini più gentili e una profondità che racconta l’anima di paesaggi sconfinati, trasformandosi in emblema nazionale.

La provincia di Mendoza rappresenta l'area vitivinicola più significativa, con una superficie coltivata a vigneti che supera il 70% dell'intera superficie vitata nazionale. Con circa 150.000 ettari dedicati alla viticoltura, Mendoza produce quasi i tre quarti del vino nazionale, consolidando la sua posizione come centro di eccellenza nel settore vinicolo del paese. La regione si caratterizza per un paesaggio dominato da altipiani soleggiati, un clima arido e terreni naturalmente drenanti, condizioni che favoriscono uno sviluppo radicale profondo delle viti. Questi fattori ambientali contribuiscono a creare uve di alta qualità, apprezzate sia a livello nazionale che internazionale. Un elemento strategico per lo sviluppo del settore vitivinicolo è stata la costruzione della ferrovia che collega la regione con la capitale Buenos Aires, facilitando il trasporto e la distribuzione dei prodotti e stimolando ulteriormente la crescita economica. Questa combinazione rende Mendoza un punto di riferimento nel panorama vitivinicolo argentino, con un impatto significativo sulla produzione e sulla qualità.
Ma l’Argentina è una terra immensa e incredibile, che accoglie gli estremi e li trasforma in orgoglio: la provincia di Salta, a nord, custodisce il vigneto Altura Máxima, a 3.111 metri di altitudine, uno dei più alti al mondo, dove l’aria rarefatta, la luce intensa e le escursioni termiche vertiginose forgiano uve dalla buccia spessa, dal carattere minerale e dai tannini di finezza sorprendente.
All’opposto, verso sud, in Patagonia, si incontra un progetto che intreccia radici e resistenza: nella provincia di Chubut, a Trevelin, sorge uno dei vigneti più meridionali del mondo, voluto da Sergio Rodriguez, figlio di emigranti friulani. Qui, tra inverni che scendono fino a −17 °C, estati che superano i 35 °C e notti improvvisamente gelide, nascono vini dal frutto puro, dall’acidità vibrante e dai profili aromatici sottili e memorabili.
Non basta più parlare in termini generici di nord, centro e sud, oggi il racconto del vino argentino si addentra nelle singole regioni, nelle province, nei vigneti, nei terreni, fino ai dettagli più minuti dei suoli e dei microclimi. È un viaggio che dal grande abbraccio della terra si fa sussurro di particolari, rivelando sfumature prima taciute. Una viticoltura che, passo dopo passo, è diventata coscienza del luogo, poesia dell’identità e celebrazione della bellezza nascosta in ogni vite.
La città di Mendoza si trova a circa 800 mt slm, verso ovest i vigneti arrivano a oltre 2.000 metri. Le sottoregioni sono Maipu, Luján de Cuyo, Uco Valley, San Rafael e East Mendoza (noto anche come San Martin).

La Valle de Uco rappresenta una delle regioni vinicole più prestigiose e un’istituzione fondamentale è la Bodega Catena Zapata, un nome che ha scritto la storia del vino argentino. Tutto ebbe inizio nel 1902, quando Nicola Catena, originario delle Marche e animato dal sogno di una nuova vita, iniziò la sua attività vitivinicola piantando il primo vigneto di Malbec nella regione di Mendoza, nella parte orientale della provincia, dove il clima era più mite e accogliente.
Nel corso degli anni ha ampliato le proprie tecniche di produzione e gli ettari vitati mantenendo un forte legame con le tradizioni locali.
La svolta arrivò con la terza generazione, guidata da Nicolás Catena Zapata, spesso considerato il “Robert Mondavi dell’Argentina”. Negli anni Ottanta, dopo aver vissuto e studiato in California, portò con sé una visione nuova e rivoluzionaria: introdusse nel Paese un approccio ispirato alle migliori tradizioni europee, puntando sulla viticoltura di qualità, sull’eleganza e sulla longevità dei vini, con l’ambizione di competere con le grandi etichette del mondo. Ma soprattutto, fu un pioniere della viticoltura d’altura, sfidando le altitudini vertiginose dei vigneti ai piedi delle Ande con l’intuizione che avrebbero potuto donare al Malbec, e ad altri vitigni, un carattere unico e irripetibile.
Con quella visione, Catena Zapata non solo ha portato l’Argentina nell’era moderna del vino, ma ne è diventato il simbolo. La sua ricerca instancabile lo ha condotto a Gualtallary, un altopiano a 1.400 metri di altitudine che tutti consideravano inospitale per la vite. Eppure, proprio lì, ha trovato un luogo straordinario: un clima fresco e puro, suoli poveri e magri, quasi privi di sostanza organica, escursioni termiche che regalano fragranza e intensità aromatica. La maturazione procede lenta, sospinta dalla luce costante e generosa del sole andino, mentre un’acqua cristallina, alimentata dal disgelo dei ghiacciai, nutre le radici in profondità.
Un terroir estremo, che sembrava impossibile da domare, e che invece oggi rappresenta una delle espressioni più alte e poetiche del vino argentino.





Il vigneto Adrianna, circa 40 ettari, il più alto e prestigioso della tenuta, è un luogo che racconta la storia della terra e del tempo. I suoi terreni, alluvionali e ghiaiosi, nati da un antico mare e modellati dal passaggio di un fiume, custodiscono sabbia e rocce di diverse granulometrie, con presenza di carbonato di calcio e, a volte, fossili antichi, come se la memoria della natura fosse impressa nel suolo. Questa straordinaria eterogeneità dona ai vini una complessità unica: ogni bottiglia diventa un racconto del territorio, un dialogo tra radici profonde, luce e vento, un’esperienza sensoriale. Non da ultimo è tutto su piede franco.
Ad ogni parcella oggi corrisponde un vino diverso, un’etichetta identitaria che rivela le sfumature più nascoste e preziose della terra. Scopriamole:
I vini condividono la medesima lavorazione: fermentazione spontanea in cemento, maturazione di quindici/diciotto mesi in tonneau di secondo e terzo passaggio, malolattica svolta.
FORTUNA TERRAE 2019
100% Malbec, 13,50%
Fortuna Terrae proviene da una parcella di 5 ettari con terreni profondi, caratterizzati da presenza di sabbia e rocce tonde nel sottosuolo coperte da carbonato di calcio. È un luogo differente, particolare, popolato da moltissimi animali e in cui cresce rigogliosa l’erba, un inno alla vita.
Il colore è intenso e luminoso, una trama violacea che cattura lo sguardo.
Presenta un profilo fruttato carnoso e succoso mosso da tenui folate di rosa canina, violetta, lavanda e soffi mentolati; con il passare del tempo svela ampiezza aromatica con toni di pepe, tabacco dolce e tè nero, fino ad un’eco seducente di liquirizia che rilancia lo sviluppo dei profumi e ne sigilla la presenza olfattiva.
Al palato si distende con eleganza: la trama è definita da una texture setosa e rotonda, che non cede alla staticità, ma trova uno slancio vitale nel contrasto con lo sviluppo teso e vibrante, la spina sapida e i tannini sottili e ben integrati, che sostengono la massa con disciplina ed equilibrio.
RIVER 2020
100% Malbec, 14,00%
Questo "Vino de parcela" trae il nome da un piccolo appezzamento del vigneto Adrianna che un tempo ospitava il letto di un antico fiume. Qui, un suolo poco profondo ma ricco di pietre assicura drenaggio ottimale e la mitiga le temperature estreme.
Il vino ha armonia e sottigliezza, si presenta intenso e violaceo con un bordo più tenue, mostra un’anima più scura e dal profilo decisamente austero, animato da profumi di terra umida, pietre bagnate e sottobosco, accarezzati da accenni di cenere, pepe di Sichuan e un respiro iodato che ne amplifica la freschezza. Il frutto, discreto ma essenziale, si esprime con richiami di prugna in confettura e amarena, arricchiti da sensuali spunti di cola e cuoio. La violetta è nota costante e raffinata, e accompagna un’evoluzione stratificata che rivela sfumature note di salamoia e oliva nera, infine note ematiche ricche e piacevoli.
In bocca rivela sostanza e tannini scolpiti, fitti e decisi nella presa, ma avvolgenti nella tessitura. La struttura potente è bilanciata da freschezza e sapidità che richiamano la natura del suolo siliceo e conferiscono vitalità. La persistenza è lunga e cesellata da una raffinata estrazione che combina forza ed eleganza.
Questo vino si distingue per potenza e un complesso profilo aromatico, che trovano nella lentezza del tempo la chiave per rivelare la sua natura più nobile e sensuale.
MUNDUS BACILLUS TERRAE 2020
100% Malbec, 14,00%
Il nome significa "eleganti microbi della terra", è la parcella più piccola, di soli 1,5 ettari, ed è caratterizzata da un terreno eterogeneo, composto da strati calcarei e depositi marini ricchi di specifici rizobatteri, microrganismi benefici che aiutano le radici delle viti a resistere allo stress e ad assorbire al massimo i nutrienti.
Il colore è sempre molto intenso, vivido e sfuma nel purpureo.
Il naso si apre con un’ondata balsamica ariosa e penetrante, di rara lunghezza e avvolgenza. Progressivamente prendono voce piccoli frutti rossi croccanti e un velo di gelatina di mirtillo, lievi accenti speziati di cannella e cacao, seguiti da erbe mediterranee come alloro e lentisco. Una carezza di nocciola tostata introduce un sottofondo minerale, che alimenta una tensione vibrante, continua.
In bocca l’ingresso è di immediata piacevolezza, ma è la progressione a rivelarne il carattere: inarrestabile, dinamica, nutrita da un’energia che amplifica le sensazioni. I tannini, strutturati ma finissimi, si integrano perfettamente con una freschezza vitale, non isolata ma parte di un equilibrio concertato, in cui ogni elemento concorre all’armonia complessiva.

Nel vigneto Adrianna trovano spazio anche due espressioni di Chardonnay 100%: White Stones e White Bones, entrambi dell’annata 2022 (13% vol.).
Raccontano due anime dello stesso straordinario vigneto, interpretate da suoli diversi che imprimono caratteri unici ai vini. La vinificazione prevede una decantazione a freddo, fermentazione in botti di rovere e successivi batonnage, malolattica parziale e una maturazione dai dodici ai sedici mesi in legno francese di secondo e terzo passaggio.
WHITE STONES figlio del medesimo terreno che ospita il Malbec River, affonda le radici in suoli calcarei ricoperti da rocce e ghiaia, capaci di stimolare la vite con un drenaggio impeccabile e di veicolare maggiore concentrazione negli acini. Ne nasce un vino oro verde dal corpo armonioso e dall’eleganza naturale, profumato e raffinato. Il bouquet si esprime con dolci agrumi e tocchi di lime, impreziositi da sfumature burrose, mela cotogna e suggestioni marine di conchiglie bagnate dall’acqua salata. Non mancano note di selce e fresche evocazioni di mela verde e sedano, che ne esaltano la tensione e la purezza espressiva.
WHITE BONES proviene da suoli alluvionali ricchi di depositi calcarei e di calcio, che guidano le radici in profondità e donano al vino una personalità terrosa e incisiva. Il profilo è più slanciato e vibrante, in cui la componente minerale detta il ritmo, accompagnata da soffi aromatici di erbe, lavanda e cenni salini. Emergono accenti di papaya verde, zenzero, cerfoglio e prugna gialla. Al palato rivela un carattere lievemente pétillant e una gessosità elegante, sapidità netta e freschezza vibrante, arricchita da una sottile speziatura. Il finale si chiude con delicatezza, evocando pesche bianche: fine, elegante, interminabile.
La degustazione si è conclusa con una verticale di Gran Enemigo Gualtallary Single Vineyard, il vino di punta della cantina El Enemigo Wines, progetto nato nel 2007 dall’amicizia e dalla visione condivisa di Alejandro Vigil, enologo di fama internazionale, chiamato da Wine Spectator ‘il Messi del vino!’, e Adrianna Catena, erede della storica Catena Zapata.
Emblema di questa visione è questo rosso: un blend dominato dal Cabernet Franc – vitigno di cui i fondatori sono innamorati e che, dopo approfonditi studi, hanno riconosciuto come perfettamente vocato a questo terroir – con una piccola percentuale di Malbec (in un rapporto solitamente di 85:15). Un vino che è insieme dichiarazione e manifesto, un grido al mondo che racchiude la forza delle idee e la sensibilità di chi lo ha creato. Uno dei grandi rossi argentini del momento. Le uve con cui viene prodotto provengono dalla località di Gualtallary, nella Valle de Uco, e solo le migliori concorrono alla vinificazione di Gran Enemigo.
Tra le peculiarità della cantina spicca la scelta di affidarsi ai lieviti autoctoni, lasciando che la fermentazione avvenga spontaneamente. La vinificazione si svolge in moderne uova di cemento, che garantiscono armonia e continuità ma utilizza anche botti di rovere alsaziano, materiale tradizionale di Mendoza, che importate, tostate e riassemblate, rappresentano un omaggio alla memoria dei vignaioli pionieri della regione. Parte del fascino di El Enemigo è questo terroir estremo: i vigneti dell'azienda si trovano a circa 1.470 metri sul livello del mare.
Dal 2017 al 2021, il calice ha custodito un colore fedele a sé stesso: un rubino concentrato, intenso e luminoso, segno distintivo di identità e costanza. Eppure, dietro questa veste simile, ogni annata ha raccontato una storia diversa, con voce propria.
La 2017 si è presentata esplosiva, dominata da un Cabernet Franc vibrante: note piraziniche nette, tocchi di canfora e corteccia, bergamotto, frutta scura carnosa, quasi in gelatina, il tutto attraversato da una freschezza carezzevole a sostegno di un corpo sinuoso e dinamico.
Con la 2018 la trama si fa più piena e avvolgente. Emergono toni dolci e profondi: mandorla e carrube, menta, tabacco dolce e cacao che dialogano con gelso nero, noce moscata e mora. La bocca si dilata, mostrando un corpo voluminoso, maturo e appagante.
Ma è l’annata 2019 a segnare una pietra miliare: una sinfonia complessa e affascinante. Regala una moltitudine di registri eppure tutti orientati nella stessa direzione: dalla crème de cassis al cranberry, dai delicati cenni fungini alla odorosa rosa canina, fino a riverberi officinali e sfumature di tarassaco e agrumi, ogni nota si unisce all’altra con armonia ed eleganza. In bocca, la freschezza si distende delicata, portando in superficie la vena salina e preparando l’epilogo: un tannino vigile e vellutato, che dona slancio e persistenza.
Nell’annata 2020 il calice si illumina di riflessi fucsia, preludio a un bouquet vibrante: melograno e geranio si intrecciano a lampone, menta e pepe verde, rivelando l’energia della giovinezza. Anche al palato il vino conferma un’indole affilata e scattante, slanciata da una freschezza incisiva.
Con la 2021 il registro si fa più delicato ed elegante. Toni croccanti di ciliegia e visciola dominano la scena e si uniscono a soffusi aliti floreali e balsamici, mentre in bocca il sorso procede con garbo, morbido e scandito da un timbro tannico levigato, chiudendo su sensazioni fruttate piene e succose. Fresco, godibile e di grande armonia.
Un terroir estremo, che un tempo sembrava impossibile da domare, oggi si rivela come una delle espressioni più alte e poetiche del vino argentino. Gran Enemigo non è soltanto la testimonianza di un vitigno e di un territorio: è il racconto di una visione, il frutto di un’amicizia e il simbolo di come passione e ricerca possano trasformare la sfida della natura in pura bellezza.

