Nel momento stesso in cui scrivo che mi piace molto cucinare ronza nella mia testa un incisivo feedback di Greg e Lillo… Lo so, di questi tempi quella dei fornelli è una passione che suona più che mai ordinaria, ma esplorare l’immensa varietà del commestibile resta una splendida emozione primordiale, piacevolmente infantile. I nuovi sapori e le combinazioni che possono venirne fuori mi fanno pensare alle mitiche costruzioni di legno: da osservare, toccare, annusare e persino mettere in bocca prima di scovare il giusto incastro e creare una nuova forma, un piatto, un’esperienza da condividere.
Così giorni fa mi è venuta voglia di giocare con le costruzioni e ho invitato a cena gli amici giusti, quelli pronti a rischiare di fronte a colori, odori e consistenze anche insolite. A tavola ci sarebbe stata una mia libera interpretazione di un piatto Thai. “Allora Gewürztraminer” dico a Botto mentre nel mortaio “costruisco” un curry verde. E Gewürztraminer sia. Sono le otto e prima di sederci a tavola prendiamo un aperitivo. Partiamo con il Traminer più basso in alcol, 12.5 gradi. Paglierino con riflessi verdognoli, ha profumi che dichiarano col punto esclamativo la rispondenza al vitigno: rosa in primis (e anche in secundis), seguita da pesca, agrumi e note erbacee, salvia in particolare. È bello guardare le facce degli altri, beatamente ispirate dal bicchiere, e sapere che la mia non è da meno: effetto Gewurztraminer direi. Ma tutto cambia quando la danza dei bicchieri arriva al gusto. Punti interrogativi, fronti corrucciate e una lieve interdizione modificano le facce dei miei amici. Botto in particolare sembra esserci rimasto male: non è esattamente ciò che si aspettava. La freschezza, decisamente citrina, è senza dubbio l’elemento dominante. La accompagnano accenni fruttati che richiamano il naso, ma soprattutto quelli erbacei che metteranno il punto con una nota amarognola. Decisamente secco, ha un corpo leggero, distante dal sorso pieno, morbido e caldo cui siamo abituati.
Di sicuro, penso, non è il vino che berremo con il mio curry verde di manzo e latte di cocco, con tutto quel peperoncino verde… Eppure per tutta la cena tengo il filo di un pensiero parallelo. Questo vino così antitetico rispetto al Gewurztraminer canonico non esce dalla mia testa. Deduco che i miei sensi l’hanno trovato interessante e, in questo giugno romano arroventato, soprattutto piacevole. Un salmone al cartoccio speziato esalterebbe le sue qualità, su tutte la finezza e l’eleganza che oggi si possono solo intuire ma che più avanti, quando l’acidità si sarà un po’ placata, lo contraddistingueranno. D’altra parte questo Traminer Aromatico 2012 Collio Doc di Alessio Komjanc è andato in bottiglia 3 mesi fa, ha appena 0,3 g/l di residuo zuccherino ed è figlio di un’annata non proprio facile per via del vento freddo di bora in inverno e del caldo torrido estivo.
L’azienda è rigorosamente a conduzione familiare ed è nata negli anni ‘70 in una delle aree più rinomate della Doc Collio Goriziano, a San Floriano del Collio. Dai 24 ettari di vigna si lavorano esclusivamente vini monovarietali, gli autoctoni più alcuni internazionali, e il Traminer Aromatico è stato impiantato prima nel 1984, poi nel 2002 in due piccoli vigneti, uno esposto a sud a 60 metri sopra il livello del mare, l’altro a 100 metri con esposizione a ovest. All’alta densità d’impianto della vite, allevata a casarsa, corrisponde una resa davvero minuta: 6 tonnellate per ettaro. E difatti la produzione del Traminer supera di poco le 3.000 bottiglie. Vendemmiata a mano nella prima decade di settembre, l’uva ha seguito un processo di vinificazione semplice e lineare, mirato all’integrità dei profumi primari: pressatura soffice, fermentazione in acciaio a 18 °C e ancora acciaio fino all’imbottigliamento. Bottiglia interessante anche nel prezzo: meno di 10 euro in enoteca.