No, nel corso del Rodano non ci sono vulcani attivi; la cosa preoccuperebbe, visto che tra Lione e la foce il corso del fiume ospita ben 4 centrali nucleari. Tuttavia, nell’area di quello che è tra i più importanti “fiumi vinicoli” del mondo c’è uno tra i più blasonati produttori di vino francesi: Michel Chapoutier. Estroverso, provocatorio, originale, Chapoutier prese negli anni ’70 le redini dell’azienda di famiglia fondata nel 1879 dal suo avo Polydor, a Tain-L’Hermitage. Inizialmente, la conduzione del vigneto si conformò ai canoni tradizionali della zona, ma nel corso degli anni ’90 Michel iniziò un percorso rivoluzionario, che lo portò in primo luogo alla conversione graduale alla biodinamica, in secondo all’acquisizione di vigneti in Linguadoca-Rossiglione, Alsazia, Provenza, Portogallo, Australia.
Due percorsi apparentemente antitetici. Siamo infatti abituati a pensare alla biodinamica come ad una pratica riservata a vignerons artigianali, vagamente esoterici, poco vocati ed interessati alla commercializzazione. Viceversa, quello di Chapoutier è oramai un piccolo impero, con produzioni di centinaia di migliaia di bottiglie ed una gamma di decine di vini diversi. Tutto questo come si traduce sul piano della qualità dei vini? Iniziamo col dire che il cuore più qualificante della produzione è ancora centrato sugli Hermitage, che la Maison, al contrario della grande maggioranza dei produttori, vinifica per particelle separate. E così, tra i rossi, si va dall’Ermite, da viti vecchissime ed in parte prefillosseriche situate in cima alla collina dell’Hermitage, su suolo granitico, al Le Pavillon, da suoli in parte alluvionali alla base della collina, passando per Le Meal e Le Greffieux. Ogni vino ha le sue caratteristiche: ad esempio, L’Ermite è profumato, etereo, relativamente più leggero, mentre Le Pavillon (forse il mio preferito) è potente, tannico, e sviluppa con l’invecchiamento note classiche di goudron che fanno pensare alla gomma bruciata, pur mantenendo, come tutti i grandi Syrah, quelle impareggiabili e golose note fruttate che mai verranno meno.
Da non trascurare i bianchi, ottenuti dal vitigno Marsanne: accanto a L’Ermite e Le Meal, spicca il De l’Orée, minerale, profumato, suadente, sensuale, di impressionante longevità (il 1991 si beve benissimo ora e promette un altro decennio almeno di puro godimento). La mia visita all’azienda, a Tain, nel 2011, è stata indimenticabile: un addetto ci ha fatto da guida tra i vigneti, entusiasmandosi ad ogni passo ed invitandoci (era agosto) ad assaggiare le bacche di syrah in maturazione, per poi farci constatare le differenze tra i vari tipi di terreno. Differenze che poi vengono illustrate anche nella boutique, che contiene, nel pavimento, uno spaccato dei sei tipi di suolo dell’Hermitage. Anche nella degustazione, siamo stati seguiti con grandissima professionalità, essendoci stati proposti una decina di vini della gamma, comprese molte cuvées de prestige (che Chapoutier contraddistingue con il motto Fac et Spera). Il nostro ospite era quasi rammaricato del fatto che non volessimo assaggiare altro, ma le nostre papille erano ormai meravigliosamente saturate, tenuto anche conto che erano le 10 di mattina. Bevendo questi vini è inevitabile il paragone con l’altro grande vigneron della zona, quel Jean Louis Chave così diverso dal suo rivale: è introverso, la sua azienda è quasi impossibile da visitare, vinifica per assemblaggio di diverse parcelle un solo vino rosso ed uno bianco, oltre alla costosissima ed introvabile Cuvée Catheline prodotta nelle annate superlative. Due filosofie diverse, due splendidi esempi della magia del vino.