Il primo incontro con la famiglia Vajra di Vergne, frazione di Barolo, avvenne per me a Verona, in occasione del Vinitaly 2010. Avevo appena finito il secondo livello del corso da sommelier, quindi mi accostavo con estrema curiosità agli spazi dei produttori. Era uno di quei giorni aperti solo agli addetti del settore, per questo quando arrivai allo stand dell’azienda G.D.Vajra non c’erano molte persone ed io un po’ per timidezza, un po’ per inesperienza, mi misi subito di fronte a questa ragazza dall’aspetto amichevole, molto dolce e fine nei modi, dalla corporatura esile, capelli lunghi e movenze delicate: era Francesca Vaira, l’ultima figlia dei tre eredi della famiglia. Il suo modo di fare, ma soprattutto il sorriso che sfoggiava, mi misero subito a mio agio, iniziammo così a parlare come due coetanee che si rincontrano dopo tanto tempo ed abbattono in un attimo il muro delle formalità. Quando ripenso alla degustazione dei loro vini, vengo assalita da una suggestiva emozione, perché l’approccio era quello di un’assaggiatrice in erba, che timorosa si avvicinava al mostro sacro dei vini... il Barolo! Ricordo poco degli assaggi, sono sincera, all’epoca per me era tutto in fase primordiale, però ho vivo il ricordo delle parole pronunciate da Francesca durante il racconto della storia della sua famiglia. Mi accennò del suo percorso di vita, stava terminando gli studi di economia aziendale all’università di Milano, quando ad un certo punto, si lasciò travolgere da un'appassionata confessione: “Solo quando ci si allontana dalla propria casa, si capisce il valore inestimabile delle proprie origini, perché la nostra terra, il luogo dove siamo nati, le mie Langhe le porto dentro di me ogni giorno, sono un posto da cui ti puoi allontanare ma alla fine ci devi ritornare perché è la natura di cui sei fatto”. Rimasi colpita da queste parole, ma non avendo ancora visitato il territorio non potevo rendermi conto di quale verità Francesca voleva trasmettermi...
A distanza di tre anni da allora e dopo tre viaggi in quei posti, il quadro inizia a materializzarsi ai miei occhi; dolci e verdi colline che si alternano a borghi medievali, dominati da castelli con mura merlate, circondati a giro poggio o ritto chino che si voglia, dai vigneti e dai noccioleti che decorano le pareti dei “bricchi”, il tutto in un armonioso saliscendi di curve che completano questo panorama dipinto da madre natura. Visitare l’azienda della famiglia Vajra è come accedere alle porte di luogo sacro. La Bellezza, intesa come essenza dell’incontro con questa famiglia, è presente sia nell’artigianalità delle loro filosofie produttive, nella passione, nel rispetto della tradizione, nella loro soddisfazione nel fare, ma anche nel loro amore nel comunicare il vino a tutti, accogliendo il visitatore in un’aura spirituale. La stessa spiritualità che trasuda dalle vetrate colorate della cantina, realizzate da Padre Costantino, l’architetto del santuario del Divino Amore a Roma. Ogni singolo passo, mosso in questo luogo, in loro compagnia arricchisce lo spirito interiore; rincontrare Francesca a casa sua è stato un incontro divino, fare la conoscenza di Aldo Vaira, l’artefice della storia che nel 1972 ha iniziato l’attività dell’azienda trasformando le proprie uve (quasi a sfidare un’annata dal raccolto pessimo) anziché conferendole, è stato illuminante; ascoltare il racconto appassionato di una vita accanto a lui, da parte di Milena Vaira (sua moglie) è stato davvero commovente. I Vaira hanno un dono, la capacità di toccare l’animo nel profondo, lasciando chi li ascolta, disarmato di fronte a tanta purezza e solidità morale.
Pulizia, eleganza, complessità, delicatezza sono tutte qualità facilmente rintracciabili nei loro vini, dal Riesling Renano, primo esempio langarolo di sperimentazione di questo vitigno in zona, alla Freisa, alla Barbera fino al Dolcetto interpreti classici ed intramontabili; ma se si desidera un vero incontro spirituale bisogna scomodare sua maestà Nebbiolo con il Barolo Bricco delle Viole 2008.
Il Bricco delle Viole è un vigneto che si trova nella parte più alta del Comune di Barolo, tra i 350 e 480 metri su di un terreno argillo-calcareo di origine Tortoniano risalente a 11 milioni di anni fa. Un vino che insegna come la pazienza sia la virtù dei forti e come un Barolo di Barolo, possa essere delicato ed elegante. Dal colore granato trasparente, il carattere del Nebbiolo è messo subito in evidenza con note di violetta, glicine, fiori di ciliegio primaverili ed un accenno a sentori di radice di liquirizia miste a legno di sandalo; l’assaggio è di tessitura finissima, seta sul palato, tannino in equilibrio e rampante, un gusto perfettamente scandito da accenni balsamici, lungo e persistente con chiusura di spezie fini. È un Barolo da lungo affinamento (42-48 mesi) in grandi botti di Slavonia. Un Barolo poetico, da meritare come un atto d’amore e da condividere solo con paziente attesa e sensibilità.