Sono molte le immagini associate alla Croazia, terra un tempo tormentata e recentemente entrata nell’Unione Europea: la splendida Dubrovnik, il fascino dell’Istria, le incantevoli isole della Dalmazia. Non molti, però, quando sentono “Croazia” ripetono “vino”: come molti Paesi dell’est europeo, la tradizione vitivinicola di questa terra è stata a lungo negletta. Tuttavia, qualcosa sta cambiando, grazie all’entusiasmo di una nuova generazione di viticultori e, soprattutto nella parte più nota al turismo internazionale, la Dalmazia, a un inestimabile patrimonio di vitigni autoctoni, Tra questi, il più noto è senz’altro il Crljenak Kastelanski: non tanto e non solo per i suoi meriti, quanto perché geneticamente identico a due vitigni di primaria importanza nel mondo quali il Primitivo pugliese e lo Zinfandel californiano. Le ricerche più recenti hanno anzi suggerito che proprio questo vitigno dal nome pressoché impronunciabile sia stato portato in Puglia e negli USA, per poi diffondersi e diventare, specie in California, il vitigno nazionale per eccellenza.
Il Crljenak Kastelanski da però, nella sua terra d’origine, vini assai diversi da quelle “bombe fruttate” prodotte altrove: è anzi piuttosto soave, con gradazioni alcoliche non trascendentali, adattissimo per essere vinificato in rosé. I migliori produttori (come ad esempio Vinarja Krolo) cercano infatti la freschezza e l’aromaticità, più che le surmaturazioni e la concentrazione.
Di tutt’altro carattere è il “figlio” del Crljenak Kastelanski, ossia il Plavac Mali (lett. “piccolo blu”). Coltivato soprattutto sull’isola di Hvar e sulla penisola di Peljesak, è adatto nelle migliori versioni a dar vini forti, concentrati, virili ma sempre ricchi di goloso frutto, molto più simili all’idea che si ha del Primitivo (specie di alcuni primitivi, come, tanto per non far nomi, l’Es di Gianfranco Fino). Tra i rossi, è certamente considerato una sorta di vitigno nazionale croato, il che lo rende soggetto ad una qualità assai variabile: produttori più o meno improvvisati, infatti, cercano di sfruttare la moda e vendono vini quantomeno discutibili, sgraziati e con tannini aggressivi. Se però vi imbattete in un Plavac Mali di Frano Milos o di Grgich, potete comprarlo a scatola chiusa, dimenticarlo in cantina e bervi, tra un lustro, un gran bel vino.
Meno noto, ma in grado di riservare bellissime sorprese, è il Babic. Considerato a lungo un vitigno poco interessante e di scarsa qualità, ha avuto negli ultimi anni una riscoperta da parte di alcuni lungimiranti produttori, specie nella zona di Primosten. Qui, coltivato su terreni aridi e scoscesi circondati da muretti a secco, da vini eleganti, strutturati, dai profumi intensi, in grado di invecchiare a lungo persino nella versione rosé. I produttori di riferimento sono Alen Bibich e Suha Punta, creatura, quest’ultima, di Leo Gracin, il più noto professore di enologia croato.
Se però (come la maggior parte degli Italiani) visitate la Dalmazia in estate, forse preferite un bel bianco da accompagnare al pesce locale. Anche in questo caso, c’è qualcosa per voi: il Pošip, nativo dell’isola di Korcula, e più noto vitigno a bacca bianca autoctono dalla zona. Debbo dire peraltro che le belle sorprese avute con i rossi, almeno per me, non si sono replicate con questo vitigno: i vini che ho assaggiato erano infatti decisamente sbilanciati sulle note alcoliche (superavano per la maggior parte il 14,5% in volume) e mi hanno ricordato un po’ certi Marsanne del Rodano, ma senza la straordinaria mineralità che rende unici questi ultimi. Alla fine, con il “brudet” croato (non sorprendentemente analogo al brodetto dell’altra sponda dell’Adriatico.) ho preferito bere un bel Babic Rosé, o magari ancor meglio un giovane Crljenak Kastelanski servito fresco.
Insomma: qualcosa sta cambiando, ed ora in Dalmazia si può andare anche a caccia di vini nuovi, diversi e - dato fondamentale - spesso anche ottimi. A prezzi, per ora, decisamente abbordabili per gli appassionati italiani.