Ci è sempre stato raccontato che al monaco benedettino Dom Pierre Pérignon spetta il merito di aver inventato lo Champagne. Una storia che ci piace raccontare ai meno esperti del settore e che colpisce gli animi del pubblico poco dotto, colorando l’immagine del frate dedito al vino anche quando affetto da cecità distingueva le cuvée che con grande cura selezionava personalmente dai vigneti parcellizzati, dotato di un naso sovraffino capace di intuire le minime sfumature. Non c’è alcun dubbio che a Dom Pérignon il mondo dello Champagne deve riconoscere la capacità di aver capito sin da subito l’arte del blending: oggi la tecnica più sofisticata di questo straordinario prodotto che ci permette di distinguere lo stile di ogni grande Maison. Dobbiamo però doverosamente ricordare che quando fu chiamato come nuovo capo cantiniere all’Abbazia di Hautvillers, nel 1668, nessun nobile francese desiderava vino frizzante. Lo stile impresso nei ricordi aristocratici era un vino fermo d’impronta borgognona, che sino a circa un secolo precedente aveva imbandito le tavole dei re. Ma sembra che a cavallo tra XV e XVI secolo l’Europa subisca un drastico cambiamento climatico con un irrigidimento delle temperature che non portavano più a termine le fermentazioni. Così ci si trovò di fronte ad un vino pétillant che rifermentava in bottiglia con la primavera, quando le temperature naturalmente subivano un rialzo. I nobili francesi lo consideravano un difetto e il povero Dom Pérignon, a quel tempo solo ventinovenne, si trovò di fronte ad un grande rompicapo perché in quelle condizioni climatiche e senza alcuna conoscenza scientifica, non poteva far fronte al problema richiesto.
Fortunatamente, per lui, di lì a poco ci fu un’inversione di tendenza che nasceva dal Regno Unito presso la corte di Carlo II. Gli inglesi, da sempre grandi consumatori di vino, avevano iniziato ad apprezzare ciò che i francesi sdegnavano, essendosi già da qualche tempo abituati a questi vini spumanti che sembra fossero in commercio molto prima del monaco benedettino. Comprando vino francese in grandi botti, all’arrivo in Inghilterra, veniva imbottigliato aggiungendo dello zucchero che non solo faceva rifermentare il vino, ma innalzava anche il grado alcolico. Il fisico-scienziato Christopher Merrett (1614/5-1695 - nell’immagine qui a fianco) nel suo scritto “Some Observations concerning the Ordering of Wines”, per la neonata Royal Society di Londra, nel 1662, analizzava gli effetti dell’aggiunta di zucchero e melassa al vino, quella che oggi chiamiamo la liqueur de tirage, la miscela necessaria per la rifermentazione in bottiglia, anticipando di sei anni Dom Pérignon e di oltre un secolo la vedova Clicquot a noi cui tutti attribuiamo la fama e lo splendore di quello che diventerà un fenomeno mondiale. Possiamo dunque ipotizzare che lo Champagne fu una scoperta inglese piuttosto che francofona? Personalmente trovo molto convincente una primogenitura anglosassone, nulla togliendo al frate benedettino e a coloro che ereditarono la sua abile sapienza. E se proprio vogliamo continuare a raccontare la storia così come ci hanno sempre abituati, per lo meno facciamolo con coscienza dando credito anche a colui che la storia dello Champagne sembra aver dimenticato.