Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
L’altra Francia, i “satelliti” della Loira
Pubblicato il 11/04/2014
Fotografia

Il successo di un’area vinicola, si sa, è al contempo una benedizione e un dramma per le aree adiacenti; che possono, questo si, usufruire di un effetto di traino, ma al tempo stesso rischiano di rimanere oscurate e schiacciate dal successo dei “vicini”. Un esempio del primo caso può essere costituito dai cosiddetti satelliti delle grandi Aoc del Libournais, che hanno intelligentemente indicato la loro prossimità ai più illustri vicini (Lalande de Pomerol, Montaigne St. Emilion ecc.). Un esempio del secondo, che ho già avuto modo di citare in un altro articolo su Bibenda7, è quello delle aree del Sud-Ouest più vicine a Bordeaux, come Bergerac, che persino per i Francesi sono pressoché sconosciute.

Nel caso della Valle della Loira, molte piccole denominazioni non hanno il successo che meritano, pur offrendo vini buoni, spesso eccellenti, a prezzi assolutamente concorrenziali. Queste denominazioni sono significativamente quasi tutte collocate nella regione del Centre, in prossimità dei grandi fari di Pouilly Fumé e Sancerre. Sono ad esempio una grande e piacevole sorpresa i vini di Menetou-Salon, di origine antichissima, tanto è vero che documenti risalenti all’XI secolo già menzionano i doni di vigne dal feudatario locale agli ordini monastici. Qui si coltivano i classici vitigni della parte orientale della Loira, il Sauvignon Blanc per i bianchi ed il pinot noir per i rossi. Il suolo ha caratteristiche di grande interesse, essendo costituito di marne kimmeridgiane ricche di calcare, che danno ai vini una profonda mineralità. Le rese massime (65 hl/ha per i bianchi, 63 per i rosé, 59 per i rossi) sono evidentemente volte a consentire una buona qualità del prodotto…che, effettivamente, presenta caratteristiche di grandissima godibilità, specie nei bianchi, gustosi, beverini, spesso assolutamente omologhi per qualità ad un buon Sancerre, a meno della metà del prezzo. Eppure, quanti li hanno bevuti? Persino peggiore è la situazione di Reuilly, che ha oltretutto la sfortuna di avere un nome molto assonante, almeno per chi non abbia una perfetta padronanza del francese, con due denominazioni situate in aree completamente diverse, Rully (Borgogna meridionale) e Brouilly (Beaujolais), con comprensibili equivoci quando si prova ad ordinarlo al ristorante. I vitigni utilizzati, anche in questo caso, sono Sauvignon Blanc e Pinot Noir, con l’ulteriore possibilità, piuttosto rara in Francia, di fare vini rosé utilizzando Pinot Gris in purezza. I suoli sono leggermente diversi, sabbiosi ed argillo-calcarei, dando vini leggermente più grassi e meno sottili. Anche in questo caso, i prezzi sono veramente un affare rispetto alla qualità.

Tuttavia, la denominazione più notevole e sorprendente tra le “minori” è Cour-Cheverny, sconosciuta ai più, così come sconosciuto è il vitigno qui coltivato, il Romorantin (nella foto). Eppure, si tratta di un vitigno di origini nobili, che Francesco I di Francia, nel XV secolo, portò qui dalla Borgogna, ove era all’epoca ampiamente utilizzato. Si tratta di un parente dello chardonnay, ormai coltivato quasi esclusivamente in questa piccola enclave tra Tours e Mons, anche a causa della sensibilità alla muffa grigia ed alla irregolarità della resa. Peccato, perché le spiccate caratteristiche di freschezza e mineralità ne fanno un vitigno ad alto potenziale qualitativo. Non è solo questo, tuttavia, a rendere notevole l’area: qui si trova infatti la più vecchia vigna in produzione di tutta la Francia, attualmente di proprietà del Domaine de la Carmoise. Si tratta di una minuscola particella di 0,36 ha, che per tradizione orale è risultata essere stata piantata nel 1850, e dunque prima del flagello della fillossera. Viti dai grandi tronchi nodosi e contorti, dalle quali si vinifica un vino, il Provignage, che ho avuto recentemente modo di assaggiare nell’annata 2007. Le attese non sono state deluse: un naso che ricordava nettamente la selce e la pietra focaia (il terreno è ricchissimo di silicio), non lontano da uno Chardonnay di Borgogna, ma con meno opulenza e più sottigliezza, unito ad una bocca di spiazzante freschezza e di lunghissima persistenza. Non nascondo l’emozione che ho provato nel bere quello che, per certi aspetti, è il frutto di un monumento storico. Ecco: il vino sa regalare anche la consapevolezza del suo valore culturale, che entra in meravigliosa sintonia con l’appagamento sensoriale, creando un caleidoscopio che nutre lo spirito, prima ancora del corpo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA