Avete mai sentito parlare delle stelle Simbiotiche? Tra le più interessanti tematiche dell’astronomia moderna, di fatto, queste stelle non sarebbero altro che una sottoclasse se la peculiarità della loro relazione - uno speciale spettro di radiazione - non le differenziasse nettamente dalle parecchie centinaia di milioni di sistemi binari che esistono nel sistema solare. Dalla stella più grande, rossa e fredda (l’unica visibile sulle lastre fotografiche), si ha un trasferimento di materia a quella più piccola bianca e calda che, almeno una volta nella vita, però è capace da sola di espellere la materia in un getto ben collimato, simile a quelli legati alle galassie attive a ai quasar. È grazie ai satelliti che di questa coppia di stelle si cominciano finalmente ad avere più dati. E sebbene siano ancora molti i misteri che circondano le Simbiotiche, la loro dinamica si presta bene alle nostre più semplici similitudini sulla terra. A far brillare in Italia i primi giorni di questo Aprile climaticamente indeciso non è stata soltanto a Verona la 48esima edizione del Vinitaly, ma da dietro le quinte ha conquistato la sua visibilità l’appuntamento a Sarego, in provincia di Vicenza, di VinNatur, quella che dopo undici anni è diventata la più grande manifestazione in Europa di vini prodotti con dei limiti più stringenti rispetto ai regolamenti europei in materia ambientale. Si pensi che proprio durante la fiera una commissione preleva da ogni produttore due bottiglie da sottoporre ad analisi meticolose (tra le altre, l’analisi residuale di oltre 83 principi attivi di fitofarmaci, compreso il rame, che è l’unico prodotto chimico consentito per gli aderenti), con pena l’esclusione. Dunque è per due ragioni fondamentali abbiamo deciso di spostare i riflettori su quella che potrebbe sembrare la stella più piccola di un unico sistema. Una ragione pratica, l’altra culturale. La prima. VinNatur sta conducendo da anni importanti ricerche che hanno destato attenzione e coinvolto nel tempo personaggi autorevoli del mondo del vino e della divulgazione scientifica. Va premesso infatti che l’associazione, presieduta dal noto produttore veneto Angiolino Maule, riunisce piccole aziende, provenienti da sette paesi, che condividono una filosofia produttiva basata, allo stesso modo delle aziende con certificazione biologica, sul rifiuto in vigna di pesticidi, diserbanti, concimazioni al terreno e alla foglie di derivazione chimica di sintesi. In previsione del possibile divieto nel 2016 dell’uso del rame, uno degli studi più importanti di VinNatur è sicuramente quello di testare in campo sei formulati naturali contro peronospora e odio. Il progetto è condotto con il Centro sperimentale per la Viticoltura Sostenibile di Panzano in Chianti, sotto la direzione dell’agronomo Ruggero Mazzilli, nei vigneti situati sia nel biodistretto in Toscana sia in aziende all’avanguardia, dette “oltre il bio”, in Piemonte, Veneto, Emilia e Campania. Di più, con l’enologo Franco Giacosa, l’associazione che non ammette l’uso in cantina di prodotti enologici (dai lieviti selezionati agli additivi) ma consente soltanto l’uso di basse quantità di solforosa, sta portando avanti il progetto “Vinificazioni spontanee, ma con padronanza”. E ancora, altre ricerche relative al patrimonio di fertilità e vitalità dei vitigni e infine, con l’Università di Roma Tor Vergata, sul rapporto tra effetti sulla salute umana e metodo di produzione del vino. Obiettivi concreti, che come facile immaginare, mai aziende di piccole dimensioni, ma come sappiamo quanto mai fondamentali per il mantenimento del territorio, avrebbero potuto sostenere se da sole.
Nondimeno sebbene sia ormai imprescindibile per chi s’interessa di vino il fatto che l’Italia si sia confermata il secondo paese al mondo per produzione vitivinicola biologica, con il suo 7% su 57 mila ettari, mentre questa attenzione all’ambiente è la conditio sine qua non per gli scambi commerciali con paesi come Nord Europa, America del Nord ed Estremo Oriente, la fama di associazioni come VinNatur funziona da propulsore di una nuova attenzione al vino. Se vogliamo allora capire, sentire, interpretare, ma anche da semplici appassionati amare un vino e poterlo raccontare, dobbiamo essere pronti a cogliere gli orientamenti di un epoca, quel complesso e mutevole patrimonio di consapevolezze, necessità e tendenze che ci predispone ad apprezzare e preferire ai nostri giorni delle cose piuttosto di altre. Dare la giusta attenzione al gusto. Dunque, se da una parte, produttori sensibili ma anche enotecari, tecnici e divulgatori registrano sempre più in costante aumento la richiesta di un vino che recuperi la sua funzione di alimento, digeribile e non dannoso per la salute, E se dall’altra, si pone mente al fatto che in Francia la storia di vini siffatti, da noi chiamati ora “naturali” e “veri” ora addirittura “nudi” e “puliti”, ha quasi un secolo, è giunto il momento di imparare a degustare questi vini. Da tempo, si è già fatta strada la considerazione che non trattandosi di vini filtrati e chiarificati, all’analisi visiva, essi potranno talvolta non risultare limpidi o essere meno brillanti. Va osservato inoltre che sebbene tutti i vini per dirsi buoni devono essere fatti bene, prima di attribuire velocemente difetti olfattivi ai vini realizzati senza aggiunta di prodotti enologici, si rende a volte necessario realizzare alcune condizioni al fine di goderne: il giusto tempo di permanenza nel bicchiere, che risolve la riduzione, ossia il debito d’ossigeno che può capitare di avvertire; imparare a confrontarsi con acidità volatili che possono talvolta essere superiori alla norma ma che sovente si incontra in quanto elemento cercato al fine di ottenere un prodotto più bevibile e gastronomico. Infine accettare il fatto, valido fino a qualche decennio fa, che non tutte le uve e non tutti i territori possono dare vini con particolari nuance di frutto o di fiori e tenere presente che l’intento precipuo dei produttori di questi vini è quello di proporre un vino che rispetti la qualità delle uve che hanno coltivato e raccolto in una data annata. Al salone di Sarego, numerosi sono stati i vini degni di nota. Senza voler fare torto a nessuno ne ricordiamo soltanto alcuni. Si spaziava da spumanti e champagne delicati ed eleganti, uno su tutti, il Grand Cru Brut Initial Blanc de Blancs di Jacques Selosse agli sperimentali bianchi veneti da vitigno Durello, a quelli di Garganega, agli ottimi bianchi dell’Alto Adige da uve Manzoni, quali il Fontanasanta di Elisabetta Foradori oppure proseguendo, tra le numerose malvasie, quella notevole dei Colli di Parma di Camillo Donati. Passando per il centro Italia, poi, decise e intriganti le interpretazioni di zone e vitigni, come il Brunello di Montalcino di Casa Raia o il Camalaione delle Cinciole di Panzano in Chianti e ancora l’originale Cesanese del Piglio di Mario Macciocca, dal profumo di lavanda e tra i vini dolci invece meno presenti, la sorpresa - omonima tra l’altro - di Pacina, in provincia di Siena, che a volte è passito altre Vin Santo per una questione di gradi alcolici, dalla madre di lieviti autoctoni di oltre un secolo, dominato da un sentore di caffè che al gusto diventa avvolgente e paradossalmente rinfrescante. Arrivando per concludere al Sud, con strepitosi Aglianico, quale il Maschitano di Musto Carmelitano o le proposte siciliane di Frappato e Nerello Mascalese, di cui tra gli altri quelli di Frank Cornelissen e di Lamoresca e i numerosi vini da vitigno Bovale, in aria di rinnovamento, dalla Spagna.
*L’uovo-biscotto dell’ultima immagine è opera della Cake Designer Claudia Deb