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Amor di Langhe
Pubblicato il 10/10/2014
Fotografia

Autostrada Roma-Torino, uscita Asti est e dopo un po’ di chilometri sono nelle Langhe, da quest’anno Patrimonio dell’ Unesco. Il mio alloggio è a La Morra e passando da Santa Maria, piccola frazione di La Morra appunto, l’amore è a prima vista e non potrebbe essere altrimenti. Ettari ed ettari di vigne “pettinate” senza neanche una foglia in disordine e con tantissimi grappoli sulle piante mi lasciano a bocca aperta. Il paesaggio è davvero mozzafiato. Alcune di queste vigne stanno cambiando colore, le loro foglie stanno diventando rosse e a breve cadranno andando incontro al riposo della pianta in vista dell’inverno. Queste sono le colline del Dolcetto ovvero il primo vitigno che si raccoglie perché matura prima, soffre maggiormente il freddo e la sua buccia è sottile. Continuo ad arrampicarmi percorrendo la stradina statale che costeggia le vigne ed assaggio gli altri acini a disposizione, la Barbera mi colpisce per la sua spiccata acidità, mentre il Nebbiolo mi attrae per tannino e dolcezza. Arrivata in cima alla collina scendo dall’auto e mi affaccio dal belvedere di La Morra. Ai miei piedi una distesa di vigne, almeno 180° di visuale. Ci sono tanti piccoli fazzoletti disegnati e si potrebbero anche riconoscere i diversi cru - Arborina, Sarmassa, Cannubi, Cannubi Boschis, Castellero, Annunziata… - ma non sono così brava. La nebbia avvolge la base delle colline, su alcune di queste sono adagiati gli storici castelli feudali e mi rendo conto di quanta storia ci sia.

La temperatura sta diventando freschina così mi dirigo verso casa e sono ad ovest. Il tramonto rosso sul Monviso mi da un ulteriore benvenuto. È tutto molto romantico. Passerò qui qualche giorno e per il mio viaggio ho scelto di confrontare due realtà diverse: cantine con più di un milione di bottiglie prodotte, sale di vinificazione e barriccaie asettiche e saloni di degustazione con numerose opere d’arte, ma anche e soprattutto piccoli produttori lontani dalle 100.000 bottiglie che mi parlano con i loro occhi profondi e mi fanno assaggiare i loro mosti in fermentazione nonché i loro grandi vini in affinamento nelle botti di Slavonia dai 20hl in su. Alcuni grandi mi aprono le loro porte, mentre altri, sebbene mi presenti come giovane di settore, no. Le realtà affermate mi fanno assaporare i numeri, l’internazionalità ed il dinamismo che il vino ha raggiunto nel XXI sec., gli interessi in gioco, l’organizzazione nel minimo dettaglio di una vera Azienda. Nulla è lasciato al caso e nulla è grossolano. Fortissimo l’impatto con gli studi di psicologa del marketing e che cosa sia veramente un brand. Assaggi prima dell’imbottigliamento vietati.

I piccoli produttori invece mi raccontano di quanto siano realmente contadini e di come è avvenuta l’acquisizione delle loro terre dopo il 1870. Mi mostrano le prime vendemmie imbottigliate e narrano il passaggio dal vino sfuso alla produzione propria. Sono fieri dei loro mosti e dei loro prodotti a breve sul mercato, orgogliosi delle passate generazioni e fiduciosi nei riguardi delle future. Un grandissimo 64enne sognatore e rivoluzionario che ha sempre guardato lontano mi dice che ha appena acquistato una vigna perché i suoi figli devono realmente sapere come si alleva la vite dal principio. Rimango impressionata dalla preziosità del suo infinito sapere… Il dato di fatto che riesco a toccare con mano è che anche i piccoli, sebbene fatichino di più, hanno il loro affezionato mercato. Il privilegio di paragonare diverse annate è raro visto che facendo sapientemente vino da 3 o 4 generazioni hanno venduto quasi tutto. I loro vini sono meravigliosi ed i loro clienti storici lo sanno bene infatti si affrettano a prenotare in anticipo la vendemmia futura prima che venga richiesta all’estero. Ritengo che questa sia un’ottima conquista italiana, la vendita anticipata basata sulla qualità di un prodotto è non più solo francese e/o blasonata. Tornando al mio mini tour - 6 giorni, 12 cantine e 3 appuntamenti al dì - posso affermare e non sono affatto la prima che nelle Langhe ed in particolare nei comuni più vocati tra gli 11 di Barolo ed i 3 di Barbaresco non c’è solo Nebbiolo atto a Barolo Docg o Barbaresco Docg.

Tantissimi i vitigni assaggiati anche in diverse versioni ed interpretazioni. C’è la semplicità e l’immediatezza della Nascetta e della Favorita, l’internazionalità con diversa espressione di Chardonnay e Riesling Renano, la tradizione e l’attaccamento contadino piemontese al Dolcetto, la Barbera D’Alba o Superiore vinificata solamente in acciaio o elevata in barrique o botte grande a seconda della filosofia aziendale. Mi ha poi colpito la particolarità del Ruchè e del Brachetto che si sono espressi in terroir diversi dai consueti Monferrato ed Acqui. La vigna del Ruchè infatti è davvero antica e si trova a Barolo, mentre il Brachetto l’ho assaggiato in versione ferma e secca. Entrambi molto piacevoli e beverini soprattutto con quei salumi e formaggi da urlo da merenda Sinoira. Anche la Freisa è un tipico vitigno piemontese e nei miei diversi assaggi è sempre risultata floreale, vegetale e molto fresca. Indiscussa invece la rinomata eleganza del Nebbiolo. Non c’è nulla da fare, questo vitigno ha una marcia in più, protagonista in personalità ed eleganza. E’ profondo e raffinato sia questo un “semplice” Langhe Nebbiolo o Nebbiolo d’Alba. Da tutti è conosciuto per la sua longevità, ma un grande vino è grande fin da subito e pertanto Barolo o Barbaresco che sia deve avere insito in sé un tendenziale equilibrio guida. Con l’auspicio di tornare al più presto in questo splendido territorio e capirlo a pieno annoto i miei ricordi più vivi non potendo fare una lista esageratamente lunga.

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