La quarta edizione del mercato dei vini della Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti si è svolta anche quest’anno a Piacenza nelle giornate di sabato 29 e domenica 30 novembre. Custodire, tutelare ed acquisire una maggiore chiarezza sul mercato globale , valorizzando al meglio l’impareggiabile patrimonio di biodiversità che l’Italia possiede a livello mondiale è l’obiettivo delle 800 piccole imprese vitivinicole che si prendono cura di 8.000 ettari vitati in tutte le regioni Italiane e che insieme producono ogni anno 56 milioni di bottiglie esportando anche all’estero per un valore pari a 200 milioni di euro. In occasioni come queste educazione e cultura si intrecciano legando ad ogni bottiglia un viso e ad ogni sorso l’intelligenza della natura che questi viticoltori possiedono. Vino, vignaiolo e terroir trasferiscono ad ogni assaggio il gusto di un’esperienza unica e semplice, dove la tradizione italiana di considerare il vitigno servo del territorio ed il viticoltore il diretto ed unico responsabile dell’intera filiera produttiva, esprimono al meglio la capacità di produrre un alimento di grande qualità ed un mezzo per recuperare la dignità del Popolo Italiano nel mondo.
La qualità dei molti vini degustati in questa due giorni di gusto e civiltà è ottima ed il rapporto qualità/prezzo straordinario. L’ego dei vignaioli presenti ha riempito la Fiera di Piacenza di allegria e buon umore. Si sono riscontrate punte di eccellenza in quelle realtà in cui i vigneti sono condotti a regime biologico/biodinamico, che nel caso degli associati alla Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti, ammontano a circa il 49% mentre il restante 41% è secondo la viticoltura convenzionale ed il 10% secondo i principi della lotta integrata. Assaggiare i vini-capolavoro di Leonildo Pieropan, Beppe Rinaldi, Emidio Pepe e Selvapiana, solo per citarne alcuni, sono state occasioni uniche e momenti imperdibili che hanno reso queste degustazioni guidate delle vere e proprie Lectio Magistralis. Nel caos tutto ha una ragione d’ essere, anche nel vino italiano che ha la sua fortuna nelle radici di vigne che devono essere valorizzate al meglio e nel lavoro dei tanti contadini che non vanno dimenticati dalle istituzioni nella solitudine che spesso accompagna gli eroi. Una bella sintesi di questa realtà è data dalla storia tutta italiana della famiglia Pepe. Oggi tre diverse generazioni vivono immerse nei vigneti per capire le cure e gli accorgimenti di cui la vigna necessita. La perfetta conoscenza del territorio, del vento, dei colori, delle piante, degli insetti e del sole ci consegna un Montepulciano d’Abruzzo 2003 capace di portarci a spasso nel tempo e nel bellissimo territorio di Torano Nuovo.
L’annata 2003 sorprende per la sapienza e la capacità di lettura in vigna ed in cantina di un’annata molto calda e difficile, che ha visto l’utilizzo di sole uve provenienti dagli allevamenti a tendone perché quelle a filare troppo penalizzate dal calore estivo. Questo dettaglio denota come il metodo di lavoro di Emidio Pepe sia quello di assecondare con la delicata mano dell’uomo quello che la natura ogni anno diversamente dona. Diraspate rigorosamente e delicatamente a mano da più di 50 anni in tini di legno, le uve vengono fatte fermentare sane in piccole vasche di cemento senza l’aggiunta di lieviti selezionati per poi attendere naturalmente che l’uva diventi mosto ed il mosto vino. Imbottigliato a mano, non filtrato e non chiarificato viene riposto in cantina dove il tempo farà la sua parte. Durante la degustazione il vino a contatto con l’aria si apre, muta ed esplode. L’intensità e la complessità olfattiva, che richiamano note ferrose, speziate, radici e macchia mediterranea, confermano il grande lavoro dei lieviti naturali che partendo da ceppi molto diversi tra loro ci regalano un vino gustoso, ampio ed invitante all’assaggio. In bocca è rotondo, morbido, moderatamente fresco, persistente e maturo. Decisamente femminile per un vitigno spesso considerato un maschiaccio da addomesticare.
Il vino è vivo. Considerato come creatura sin dalla bottiglia. L’annata messa in primo piano, vuole informare chi l’aprirà che è stata lei stessa ad imprimere al vino la sua forza di invecchiare e la sua stessa essenza. Il suo matrimonio d’amore potrebbe consumarsi con i tipici spaghetti alla chitarra (pasta all’uovo larga 2-3 mm, lunga e di forma squadrata) conditi con ragù di cinghiale in una bella giornata di primavera, tra mare e montagna con l’aria fresca che riempie i polmoni , circondati dai sorrisi migliori delle persone più care.
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