Non capita tutti i giorni di imbattersi in personaggi come Giuseppe Mazzocolin, gestore, insieme al suocero Domenico Poggiali, della rinomata Tenuta di Fèlsina in quel di Castelnuovo di Berardenga, terra di frontiera tra il Chianti Classico e le Crete Senesi. Lo incontriamo a Roma in una veste insolita che non parla del suo vino conosciutissimo e molto stimato, ma della produzione di olio che da sempre la famiglia fa convivere con l’attività vitivinicola, in un contesto toscano di naturale bellezza. Giuseppe si racconta, durante la lezione del 13° Corso di Sommelier dell’olio, in un crescendo che lascia con il fiato sospeso e nessuno in platea ha il coraggio di interrompere le parole calibrate e sincere che nascono da un cuore vero, tutto italiano. A volte chiude gli occhi e con le mani quasi giunte, china il capo cercando di farci cogliere un messaggio penetrante quello che parla di una cultura “tutta nostra” che stiamo totalmente dimenticando e che l’industria, sempre più potente ed arrogante, sta eclissando nell’oblio facendoci credere altro.
L’olio sembra scorre tra le sue vene e la pianta d’olivo nascergli dentro: “è una nostra responsabilità - afferma deciso - a cui ognuno di noi deve dare risposta. Non possiamo lasciare che il patrimonio olivicolo, ancor più antico della vite, venga portato via, il simbolo sacro di Atena, la dea greca che scelse il ramo d’olio come simbolo della civiltà, deve riappropriarsi della sua veste sacrale”. Le sue parole fanno eco dentro il mio cuore incredulo, un uomo che di primo acchito mi era parso molto pacato e remissivo, dalle mani forti lavoratrici, di chi la terra la coltiva vivendola. Uomo quasi schivo, privo di glamour, circondato da un’aura di umiltà oserei dire monacale, più volte richiamato dal relatore a farsi avanti verso di noi, ma dotato di così tanta caparbietà e determinazione da sembrare un paradosso. Fedele credente al messaggio “veronelliano”, dagli anni Ottanta accoglie l’appello di Gino sposando a pieno un innovato modo di fare olio extra vergine d’oliva. Comincia con una nuova consapevolezza del territorio e delle varietà locali che da secoli dipingono le colline toscane convivendo con la vite e il bosco. Alle varietà Moraiolo, Raggiolo e Leccino identifica le proprietà del Pendolino: una cultivar usata come impollinatore e mai ritenuta capace di donare olio di qualità. Identifica tre zone all’interno dei 500 ettari di proprietà, perché il concetto di cru ha un valore qualitativo come per il vino. Si munisce di un mini frantoio, per avere il controllo totale dell’intera filiera olivicola e per poter portare a frangitura immediata le olive appena raccolte. Si impone con fermezza di recidere il frutto, al momento dell’invaiatura, quando le olive iniziano a cambiare colore e le proprietà polifenoliche, fondamentali per la nostra salute, sono al massimo della loro espressione.
Come sono i suoi oli? L’annata 2014 non ci ha regalato nulla di promettente e Giuseppe, come altri produttori seri, ha portato a casa quasi nulla, così assaggiamo le sue mono cultivar del 2013, escluso 2 campioni d’annata tra cui un Pendolino strappato alla natura. Custodisce gelosamente la bottiglia tra le braccia, un campione prodotto in soli due esemplari: uno tenuto per il consumo proprio, l’altro offerto a noi futuri Sommelier dell’olio. Tutto sommato potrei anche non assaggiarne il contenuto, mi emoziona il gesto nobile, il coraggio di mettersi in gioco e di sfidare le impervietà della natura che di certo, nel 2014, hanno messo in ginocchio molti. La batteria di oli a noi offerti inizia con un Leccino in purezza denocciolato del 2013 caratterizzato da un giallo verde limpido piacevolmente vegetale che ricorda il cardo ed il carciofo, c’è anche qualche nuance floreale. In bocca ritornano le percezioni di verde, aprendosi l’amaro senza invadenza. Segue la mono cultivar di Pendolino 2013 dove il giallo spicca sul verde nella finezza olfattiva di un vegetale evoluto. Qui si perdono le sensazioni amare per lasciar spazio al piccante in chiusura. La varietà Raggiolo 2013, si apre floreale, delicata e sottile e la mandorla dolce risalta come riconoscimento primario. La si ritrova anche in bocca in un’altalena amaro-piccante ben equilibrata e composta, di lunga persistenza. Il Moraiolo non scende a compromessi, soprattutto in bocca, dove l’amaro, che lo caratterizza, si rivela netto: qui si sente maggior struttura ed evoluzione dei sentori. Finalmente arrivano gli oli d’annata, tenendo in considerazione le difficoltà, il blend 2014 dichiara al naso una sensazione più propriamente erbacea, il mallo di noce e la mandorla appena pelata. Intenso e strutturato, desidero premiarlo con qualità eccellente, in un contesto stagionale dove la famigerata qualità a dato pochi frutti. Qui c’è stata la sapienza di aver unito diverse cultivar presenti in azienda, per compensare le carenze di ogni singola varietà. Il Pendolino 2014 chiude la batteria, quella bottiglia gelosamente custodita da Giuseppe appena entrato in sala. Verde giallo il colore, limpido e luminoso. Al naso rilascia sentori di erbe aromatiche, di timo e maggiorana, intenso e complesso, promette bene, ma la bocca è di d’altra fattura tradita da una grassezza gustativa che riempie il palato senza progressione. Onestamente la sala tace e dopo un attimo di totale silenzio si apre spontaneo un profondo applauso, nessuno può negare la bravura di Giuseppe, il coraggio e la determinazione e ce ne andiamo tutti con un unico pensiero che uomini così ce ne vorrebbero di più!
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