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Castelmagno, un nobile proletario
Pubblicato il 23/01/2015
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Il Castelmagno Dop è un formaggio di forma cilindrica con peso variabile tra i 2 e 7 chili, semigrasso, a pasta semidura, di breve o lunga stagionatura. Nasce circa mille anni fa nelle valli Occitane del Piemonte, e prende il nome dall’omonimo comune in provincia di Cuneo, anche se l’attuale Dop si estende ai comuni limitrofi di Pradlves e Monterosso in Grana, per un totale di appena 5.000 ettari di territorio (la Dop più piccola d’Italia). La strada che da Cuneo attraversa la Valle Grana fino al Santuario di Castelmagno ricorda le antiche mulattiere e man mano che la si percorre diventa sempre più stretta e proibitiva. I natali del Castelmagno sono umili in quanto questo formaggio veniva prodotto in ogni nucleo familiare di qualsiasi estrazione sociale ed economica. In tutte le frazioni del territorio ogni rifugio montanaro diventò una malga preposta alla produzione di formaggio, anche in quantità molto ridotte e con forme di peso variabile, in relazione ai capi vaccini posseduti e alla quantità di latte necessaria alla produzione che spesso veniva raggiunta in 2-3 giorni. A questo motivo si deve attribuire anche l’attuale tecnica di produzione del Castelmagno che prevede il rimescolamento di cagliate di giorni diversi. L’economia della zona è tutta incentrata sulla produzione lattifera, il 70% del bestiame è di famiglia bovina (razza Demonte in prevalenza) e il trifoglio occupa una porzione significativa delle coltivazioni, al pari di orzo, segale e patate.

I primi cenni storici sul Castelmagno risalgono al 1277, quando il formaggio veniva utilizzato per il pagamento di una tassa annuale da versare al Marchese di Saluzzo per l’usufrutto di alcuni pascoli. Nel 1722 a mezzo di un decreto di re Vittorio Amedeo II si faceva obbligo alla popolazione di integrare con formaggio il pagamento al feudatario locale. Nell’800 il Castelmagno vive la sua epoca d’oro, grazie alla nascita di sempre più numerosi ristoranti soprattutto a Parigi e Londra, l’umilissimo formaggio dei Malgari conquista i palati più fini con la sua tipicità e diventa il re indiscusso delle tavole europee. Il metodo di produzione è rimasto fedelissimo alle origini; il latte impiegato è prevalentemente vaccino (con rare aggiunte di piccole percentuali di latte ovino e caprino, non superiori al 20%) e alla mungitura mattutina viene aggiunto il latte della sera precedente. Il Castelmagno è normalmente denominato “prodotto della Montagna” ma, può ottenere la menzione aggiuntiva “di Alpeggio” se prodotto in pascolo alpino tra maggio e ottobre. Per ottenere la cagliata viene utilizzato il presame liquido di vitello, con alta percentuale di chimosina. L’innesto del caglio viene effettuato nel latte crudo successivamente riscaldato fino a 38°C. A questo punto la cagliata subisce una rottura alle dimensioni di un chicco di mais e successivamente appesa in un telo detto “risola” che ne favorisce l’eliminazione del siero residuo. La pasta viene immersa nuovamente nel proprio siero per favorire lo sviluppo di alcune fermentazioni molto importanti ai fini del carattere tipico del formaggio, rimescolata e pressata rimane 2-3 giorni nelle fascere. Segue la salatura a secco e la stagionatura in grotte naturali per 2-5 mesi, rinomate sono quelle di Campofei. Il Castelmagno è un formaggio che può cambiare radicalmente a secondo del grado di stagionatura. Nei primi 2-3 mesi il formaggio si presenta con una crosta sottile e liscia color giallo o aranciato, la pasta è friabile color avorio, nessuna presenza di occhiature. Il profumo di foraggio e fiori ( soprattutto se prodotto in alpeggio) ed il sapore acidulo, fine e delicato. In fase di stagionatura avanzata la crosta si presenta più spessa e rugosa color ocra con possibile presenza di muffe. La pasta granulosa, ocra anch’essa, può presentare delle venature blu- verdastre, più o meno evidenti, dovute all’attacco spontaneo di muffe del tipo penicillium ( in rari casi l’attacco di muffe viene agevolato con perforature della crosta). I profumi richiamano il fieno, il dado da brodo, l’humus e i funghi. Grande struttura e tattilità accompagnata da una discreta nota piccante. Chiaramente l’abbinamento con il vino è un gioco tutt’altro che scontato. Nella prima fase di stagionatura ben si abbina a vini rossi di corpo (ad esempio il Nebbiolo in tutte le sue declinazioni come Barolo e Barbaresco) che sappiano tener testa alla struttura del Castelmagno, che possano ingentilire le note dure con apporto glicerico e tenere a bada la succulenza indotta con alcol e tannino e soprattutto che non cedano il passo al lungo finale del formaggio. Quando la pasta del Castelmagno comincia a presentare le tipiche striature dovute all’erborinatura, bisogna mettere in campo maggior residuo zuccherino, alcol e morbidezza. Ottimo il binomio territoriale con l’Erbaluce di Caluso Passito, questo vino nella versione passito mostra tutta la sua straordinaria poliedricità, con i suoi profumi di miele e scorza di agrume candito ben si sposa al formaggio che è da sempre considerato adattissimo all’abbinamento con miele e confettura. 

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