La nostra partecipazione alla udienza del Papa il 21 gennaio scorso ha costituito un evento unico che può però prestarsi a molteplici letture: un omaggio del mondo del vino italiano a un grande Capo di stato (il più grande?); un pellegrinaggio al centro mondiale della fede ed al suo Sommo Pastore; un evento giubilare nel Cinquantesimo anniversario della nostra fondazione. Sono tutte certamente considerazioni di profondo significato e grande spessore; e il racconto del nostro presidente trasuda un emozione che vibra ancora in tutti noi che c’eravamo. Vorrei anche io condividere le riflessioni che questo momento ha suscitato in me.
Nel racconto evangelico delle Nozze di Cana l’evangelista Giovanni riferisce che, dopo aver mutato l’acqua in vino Gesù ordina:”portatene al Maestro di tavola”. Cristo dunque, certamente sicuro dell’efficacia del suo miracolo, esige tuttavia che la bontà del suo vino venga attestata e confermata da chi, in quel consesso, ha la competenza ed il discernimento riconosciuti per farlo. Orbene, nella Chiesa il maestro di tavola è proprio il Papa, che ha l’incarico e l’autorità di indicare ai fedeli e al mondo il vino buono di Cristo. Il conferimento a Papa Francesco del diploma da sommelier honoris causa, oltre ad essere un comprensibile omaggio da parte nostra, acquista dunque un profondo significato spirituale perché si carica di una valenza simbolica straordinaria, concentrando in sé il senso della missione stessa del Sommo Pontefice.
Ma la visita al Soglio pontificio e l’omaggio al Successore di Pietro ha costituito anche un evento storico; e non solo, ovviamente per la nostra Fondazione, ma anche perché, per la prima volta, ha colmato una lacuna che la storia mondiale del vino ancora registrava: il riconoscimento grato ed ufficiale di una verità fondamentale: che se al mondo esiste il grande vino lo dobbiamo alla Chiesa. E non solo perché nel Medioevo essa salvò la viticoltura dalla barbarie, ma perché dal Medioevo in poi i Monaci crearono la viticUltura, ossia scoprirono che un vino può anche raccontare un territorio (Borgogna docet…), e posero dunque le basi di un apprezzamento umanistico del vino, cioè delle sue potenzialità estetiche al di là del mero utilizzo cultuale. Sarebbe infatti ingenuo pensare che i monasteri producessero vino solo per la celebrazione dell’Eucaristia; non sarebbe certo servita la preziosa e minuziosa zonazione dei cru borgognoni; o forse che l’abate Dom Pérignon intendeva celebrare a Champagne?
Senza le fede cristiana, dunque, oggi non ci sarebbe il grande vino (e nemmeno la grande birra: ricordate Suor Hildegard Von Bingen?); e forse non ci sarebbe nemmeno la degustazione di esso dato che, come abbiamo detto, il primo produttore di un grande vino a richiedere una valutazione competente del proprio fu proprio Cristo alle nozze di Cana (nell’immagine le Nozze di Cana nel dipinto del Veronese, 1563, Louvre). Per un amante del vino, dunque, l’anticlericalismo è ingratitudine; ed io ringrazio Franco Ricci per aver pensato e realizzato un evento del genere che ha colmato quel vuoto secolare assumendo i contorni di una Giornata del Ringraziamento: non solo a Dio per il frutto della vite e del lavoro dell’uomo, ma anche alla Santa Madre Chiesa, Vigna del Signore, che entrambi ha conservato e valorizzato. Ed è veramente cosa buona e giusta.