È ormai consolidata l’idea che la vitis vinifera abbia avuto origine nell’antica Mesopotamia e che le prime testimonianze di consumo di vino provengano proprio da un’area che nella geografia odierna coincide con l’Iran e Iraq. Sembra un paradosso pensare che le origini della cultura vitivinicola rimandano a luoghi dove da lungo tempo la coltivazione di tale pianta non esista più, tanto meno la produzione di vino e il suo consumo, bandito da dettami religiosi fortemente contrari ad esso. Personalmente mi sono sempre chiesta il perché di questa censura, scavando nei meandri della storia per cercare di tracciare un filo logico che in qualche modo possa aiutarmi a capire che cosa sia successo e come si sia giunti a tanto radicalismo, quando le origini sembrano risiedere proprio qui. Capire i primordi aiuta a svelare le verità celate, quelle manipolate nel corso dei secoli da coloro che hanno avuto interesse a farlo, ed aiuta ad ampliare le nostre conoscenze per non cadere nella trappola dei giudizi affrettati e grossolani privi di fondamento.
A Godin Tepe in Iran, nella valle del Kangavar nella provincia di Kermanshah, secondo alcuni studiosi, risale la prima testimonianza di una giara contenente tracce di vino databile circa al 3.500-3.100 a.C. La scoperta del sito archeologico (nella foto accanto) è del 1961, riconosciuto come snodo strategico e commerciarle di pietre preziose e metalli, estratti dalla vicina montagna di Zagros, tra l’attuale Afganistan e la storica Mesopotamia, dove i primi insediamenti umani sono testimoniati dal 5.000 a.C. Nella stanza di ritrovamento dell’artefatto in discussione, furono rinvenuti altri oggetti di valore tra cui una rarissima collana di perle bianche e nere, tra le più preziose di tutta la cittadina, a prova che si trattava di una stanza abitata da personaggi di alto rango sociale. Curiosa la forma di questa giara dalla parte superiore molto allungata, creata sicuramente per contenere un liquido e da un foro a circa dieci centimetri dalla base, usato, tra le ipotesi, o per rilasciare gas formatosi all’interno, o per creare una contro pressione durante la mescita; ma tra le versioni più plausibili fatto, forse, per versare il liquido senza disturbare la base solida di accumulo. Capire se il residuo rosso, pervenuto sino a noi, sia davvero vino dell’antichità non è cosa facile e pone diversi quesiti analizzati molto bene dallo scrittore Patrick E. McGovern nel suo libro “Ancient wine” edito dalla Princeton University Press. Non desidero entrare nei dettagli che ci porterebbero molto lontani, tuttavia suggerisco la lettura di questo studio molto attento che fondamentalmente ci fa capire un concetto di base utile ad inquadrare una situazione sociale, religiosa e politica. Se le prime tracce di vino riconducono al mondo arabo, c’è da capire perché il consumo del vino sia pian piano caduto nel peccato, allontanando (secondo quanto professato) l’uomo da Dio e dalla preghiera. Innanzitutto dobbiamo sottolineare che la cesura definitiva del consumo di vino prende una svolta concreta 200 anni dopo la morte di Maometto (8 giugno 632), a seguito dei numerosi califfi che lo hanno succeduto, diretti eredi del messaggio profetico. La presa di potere sempre più autarchica e dispotica impose, nel corso della storia, sistemi autoritari fondati sull’omissione e sull’esaltazione di alcuni brani del Corano che potessero in qualche modo avvalorare principi egemoni. In questo senso, nel caso del vino, furono interpretati solo quei passi dedicati agli aspetti negativi del bere, giustificando come sacra l’abolizione di una pratica molto comune nel mondo arabo.
Possiamo supporre che probabilmente l’uso disturbava il regime autarchico (erano noti i consumi eccessivi di vino) e che l’omissione potesse in qualche modo rappresentare una contrapposizione ad Ebraismo e Cristianesimo: religioni legate al vino per fini eucaristici. C’è da ricordare che molti sono i principi che uniscono questi credi ai loro esordi, e lo stesso Maometto (ultimo erede di Abramo) fece propri diversi fattori delle religioni a lui predicesse. Il teologo Hans Kung, nel suo libro “Islam. Passato, presente e futuro” edito Bur, analizza dettagliatamente questo profondo legame dimostrando che le distanze di oggi, non sono quelle che esistevano ai primordi. Ma come accade spesso, quando un messaggio profetico crea svolte epocali, coloro che si assumono la responsabilità di portare avanti un credo, manipolano la verità rivelata per interpretarla a proprio interesse. E così sembra essere successo per il vino, eclissato nella storia più profonda. Il potere da sempre acceca l’uomo e lo fa vittima di una sensazione d’immortalità capace di cambiare intere società, il potere crea odio, corruzione, fomenta presunzioni di superiorità e radicalismo estremo. In questa macchina dispotica la dignità dell’uomo assume valore di marginalità ed i piaceri del vivere, come quello di condividere un bicchiere di vino con amici, diventano tabù punibili.
Così facendo si cancella una storia millenaria spostando l’asse della nostra percezione verso valori e concetti lontani dalle radici profonde che ci accomunano. La ricerca e la cultura hanno il dovere di raccontare i fatti, facendo luce su quanto nascosto, perché conoscere insegna ad essere persone migliori.