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Le ostie di Agnone
Pubblicato il 20/03/2015
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Sembra quasi si riaccendano i colori e i suoni che accompagnavano la lunga preparazione delle famose ostie di Agnone, ad ogni assaggio di questa prelibatezza molisana. A ciascun morso, rivivono i colori del camino acceso e le tonalità invernali, il dolce riecheggiare delle zampogne e del vociare dei bambini che partecipavano attivamente alla realizzazione della farcitura.

Un clima idilliaco anticipava la novena dell’Immacolata, quando le famiglie si riunivano, di sera, attorno al fuoco, impegnate a schiacciare le noci, a sminuzzarne i gherigli, abbandonandosi al profumo delle mandorle tostate, che piacevolmente avvolgeva la cucina e le stanze attigue. Inebriati dagli aromi e allietati dal clima dominante di serenità misto ad attesa per il Natale, i più piccoli si lasciavano ammaliare dal fascino della leggenda che, ancor oggi, cinge la storia di questo dolce. Avvolta da un alone di mistero, la tradizione fa risalire la nascita delle rinomate ostie al peregrinare di un cavaliere errante che trovò, tra le mura di un convento benedettino di Agnone, la proverbiale ospitalità delle genti locali. Narrò ai conventuali delle proprie battaglie con una superbia addirittura oltraggiosa nei confronti della fede e del sobrio stile di vita dei monaci. Consapevole di aver offeso quell’ordine cui doveva riconoscenza, chiese alle Clarisse di preparare un dolce da portare in segno di scusa e per rendere omaggio.

Mito e verità si accavallano vicendevolmente nel ricostruire le origini delle ostie; pare si rincorrano l’un l’altro per giungere, però, alla medesima conclusione: si racconta che, nell’avvalersi di un’ostia appena sfornata per raccogliere una noce caramellata caduta sulla dispensa, una Clarissa rimase stupita dall’aroma risultante. Sorpresa della bontà dell’abbinamento, propose al cavaliere di realizzare un dolce a partire da quella gustosa alchimia che il caso aveva creato. Oggi come allora, rivive questo peculiare connubio tra sapori genuini e saperi di un tempo, tramandati di generazione in generazione. Ogni ostia non è, dunque, un mero peccato di gola, ma la biografia di una famiglia, una sorta di albero genealogico che dispiega progressivamente le proprie radici e rivive in ogni particolare del noto dolce. I ferri per la cottura dell’involucro erano di proprietà delle discendenze borghesi, alle quali i meno fortunati facevano anzitempo richiesta, per assicurarsi la disponibilità di quell’utensile, nel desiderio di non interrompere un rito e di non tradire le aspettative dei bambini. A segnare il senso di appartenenza ad una famiglia contribuiva la mano della massaia, dedita a ripetere quei gesti che, da decenni, assicuravano una sfoglia sottile, capace di accogliere il ricco ripieno, senza sovrastarne il sapore. E così, ci si riuniva nuovamente attorno alla piastra, per perdersi nel piacevole sfrigolio dell’impasto che, perdendo l’acqua per evaporazione, si caricava di note appena caramellate e croccanti. Erano “rumori” e odori evocativi il rigirare le ostie sul ferro e il ritagliarle attentamente; era ed è un sapore immutabile quello dei bordi (ritagli, in dialetto chiamati “rapecci”), per antonomasia “la” merenda dei più piccoli e i ricordi degli oramai “cresciuti”.

Erano settimane (circa un paio) di gioia, durante le quali si cuoceva l’involucro e si preparava il ricco contenuto; i giorni scorrevano veloci, fissando – prima di coricarsi – il calendario, nella speranza si accorciasse velocemente il tempo che mancava al “Grande giorno”, quello della farcitura. Una festa vera e propria aveva inizio un paio di giorni prima della Vigilia, quando, con passione mista ad attesa, si riempivano a mano le ostie con zucchero bruciato, miele filante, cacao o cioccolato, noci, mandorle, buccia di arancia o limone. Una pietra miliare più che un dolce, un unicum fatto di leggende, terroir e antiche tradizioni. Le stesse che oggi rivivono grazie all’artigianalità senza compromessi della Dolciaria Carosella, da oltre 150 anni paladina del proprio territorio, cui ogni preparazione tiene fede. Ciascuna di esse, infatti, racchiude l’impeto di una passione e le immagini di una famiglia che, quotidianamente, si spende a difesa delle sue radici, sancendone l’appartenenza a quell’arroccato paese di Agnone. E così, ad ogni ora del giorno, il profumo del caramello delle ostie nel periodo natalizio, delle mandorle confettate ricce (brevettate e uniche nel loro genere), dei mostaccioli e di ogni altra prelibatezza realizzata rigorosamente a mano, inebria gli abitanti del posto. Una piccola bottega del gusto che fa della propria fedeltà al “sano” e della veemenza con cui rifugge da ogni tipo di preparato industriale, il proprio segno distintivo.

Differente l’interpretazione della storia locale che la dolciaria Labbate Mazziotta fornisce con le proprie creazioni. Fondata nel 1974 da Nino Labbate e Ines Mazziotta, decise di specializzarsi nell’arte del cioccolato che, nel laboratorio di via degli Osci, prende le forme più svariate: dalla famosa Campana di Agnone (un dolce a base di farina di mandorle e ricoperta di cioccolato), ai confetti e alle ostie, le consuetudini delle ricette tipiche si fondono armonicamente con un processo di lavorazione semi-artigianale. Un iter produttivo che, non dimentico dei trascorsi di un popolo, cerca di veicolarli tra artigianalità e innovazione. Un savoir faire apprezzato anche dal Pontefice Giovanni Paolo II, il quale, giunto ad Agnone per onorare gli artigiani della Valle il 19 marzo del 1995, riconobbe in Nino Labbate il mediatore della valenza culturale racchiusa nell’Ostia di Agnone.

Dolciaria Carosella
Corso Vittorio Emanuela 235 - 86081 Agnone (IS)
Sito web: www.dolciariacarosella.com - Tel. 0865 78247

Dolciaria Labbate Mazziotta
Via degli Osci, 5 - 86081 Agnone (IS)
Sito web: www.labbatemazziotta.it - info@labbatemazziotta.it

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