Londra, lavoro in un’enoteca-wine bar a Fitzrovia, uno dei quartieri più dinamici e vibranti di questa città. Vivo qui da un mese e finalmente sto iniziando a prendere confidenza con questa grande metropoli che prima di questo momento avevo vissuto solo in vacanza. Sembra che la città non dorma quasi mai, è stracolma di persone di tutte le etnie, immerse nelle loro rispettive dimensioni e alla ricerca di assestarsi nella dimensione “comune”. Penso che una sola vita non basterebbe per provare tutti i bar, wine-bar, ristoranti, pub e caffè che ci sono; tutto è in movimento, tutti corrono e tutto gira. Ci sono “seimila” eventi al giorno e tante tante degustazioni ogni settimana alle quali, essendo nella capitale del Wine Trade, possono partecipare solo persone del settore. Qui conta decisamente più il denaro della passione e lo spazio per i sentimenti appare risicato. Protagonisti di queste righe sono California, Oregon e Washington presenti con i loro vini alla degustazione “GOWEST”, tenutasi lo scorso 9 marzo al Queen Elizabeth II Conference Centre (nella foto sotto).
Tantissimi gli importatori, molto di più dei produttori, e innumerevoli sono i vini da assaggiare, ma sulla lista dei presenti avevo diligentemente “studiato” da chi andare così, nel grande caos, mi trovo a mio agio. Solo per citarne qualcuno, ho assaggiato i vini di Robert Mondavi Winery, Rutherford Hill, Schramsberg, Ridge Vineyard, Silver Oak Cellars, Spring Mountain, Clos Pegase, Joseph Phelps, Beringer Vineyard, Trinchero Napa Valley e tanti altri ancora. Generalmente Cabernet Sauvignon e Zindanfel si esprimono con grande corpo e struttura, accompagnati da una valanga di frutta rossa e nera - lampone, mora, ciliegia nera, mirtilli, prugna - e ahimè poco altro vista l’eccessiva presenza del legno, non solo nuovo, ma per di più americano e “tostatissimo”. Il Cabernet Sauvignon in vetta alla classifica è il 2010 della Robert Mondavi Winery. Rubino scuro impenetrabile, decisamente consistente, presenta sentori di more e mirtilli neri, erba tagliata e peperone, note balsamiche, cioccolato e cannella. Sapido e di bella freschezza, con un uso del legno corretto, ma parlando dell’archetipo mi sarei meravigliata del contrario. Sempre in generale, giudizio nel complesso non positivo grazie a sensazioni amare causate invero non solo dai tannini gallici. Aspettative deluse? Un po’ perché Napa Valley, Sonoma County e Mendocino County, con le loro rispettive sottodenominazioni, hanno potenzialmente grandissime e distinte personalità. Ogni sottozona ha una diversa tessitura del terreno con una conseguente e particolare mineralità. Forte, anzi fortissimo poi il contributo dell’Oceano Pacifico così vicino e potente, importante l’influenza dei fiumi, ottima l’esposizione, così come il clima e allora mi chiedo seriamente perché togliere l’anima ad un vino o meglio a un vitigno quando questo ne ha una addirittura prepotente? Al di là di queste perplessità la delusione non è stata totale e diversi vini hanno lasciato il loro segno nella mia memoria.
Iniziamo con gli spumanti, uno in particolare, al quale mi sono avvicinata con aria sicura, perché comunque nutrivo delle aspettative, e allo stesso tempo con aria “di sfida”. Ma come si dice, “buon sangue non mente” e il NV Anderson Valley Quartet della Roederer Estate mi colpisce per la sua pulizia ed eleganza. Assemblaggio di Chardonnay al 60% e Pinot Nero al 40, quindi almeno 24 mesi sui lieviti, regala un perlage finissimo, seguito da un naso minerale e agrumato, con toni di mela renetta e fiori bianchi. Il palato è fresco, sapido e molto persistente. Finale perfettamente in linea con il naso nonché ulteriore conferma che l’esperienza con tradisce, perché lo stile è sempre quello della grande e storica Maison, anche se siamo a Mendocino, e in particolare, nella sottodenominazione Anderson Valley. Dallo Stato di Washington rimango affascinata dall’Eroica Riesling 2013 dello Château St. Michelle & Dr. Loosen. Incontro tra collaborazione e sapienza di due mondi lontani - separati da innumerevoli paesi e un grande oceano - che si trovano poi incredibilmente vicini quando si parla di qualità. Assaggiando questo vino ritrovo un connubio di sapienza, pazienza e passione. Ha tutto ciò che un Riesling deve avere. Tipica mineralità bruciata, lime e mandarino, frutta esotica, alchechengi e litchi. Freschissimo e sapido, chiude agrumato con un particolare sentore di albicocca. Oregon. Dentro le mie orecchie risuona “Pinot Noir”. Dopo tanta barrique, confetture e colori compatti, mi avvicino alla The Eyrie Vineyard e ai suoi Pinot Nero “sbiaditi” rispetto agli standard della giornata. Bellissima scoperta. Inoltre, l’importatore mi dedica tempo e si mostra perfettamente in linea con la mia filosofia. Anche qui i mondi sono lontani, ma parliamo la stessa lingua. Inizio la degustazione dei vini iniziando con il Pinot Noir 2012. Oserei con un colore bordeaux trasparente, molto diverso dai nostri, abbastanza consistente e con un naso fine e complesso, sebbene sia molto giovane. Trovo humus e foglie secche, arancia rossa, rosa e violetta. Fresco e molto sapido, quasi salato direi, il suolo vulcanico gli conferisce grande personalità arricchendo il suo profilo gusto-olfattivo. Il Pinot Noir 2011 è sicuramente più pronto e aperto, caratterizzato da una decisa mineralità vulcanica, seguono note di pietra focaia, pot-pourri di fiori e tè, lamponi, fragola e un accenno di crostata di ciliegie. Importante spalla fresco-sapida per entrambi, entrambi dei bei vini affinati in barrique di rovere francese di François Frères strausate con un 8% di barrique nuove. La giornata di degustazione giunge al termine e, al di là delle critiche, il bilancio è caso positivo avendo avuto la possibilità di assaggiare numerose interpretazioni di territori che si trovano per così dire non proprio a “portata di mano”. Il prossimo evento sarà “Champagne de Vignerons” e sono in attesa della lista dei presenti. Grazie London City.