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Quel che resta di un corso, dalla conoscenza di una bevanda alla scoperta di una forma d’arte
Pubblicato il 03/04/2015
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Con la proclamazione e il conferimento delle insegne da sommelier di venerdì 10 aprile 2015, definitivamente il sipario sul 51° corso da sommelier della Fondazione Italiana Sommelier. In un lasso di tempo di 15 mesi, tanto è durato il corso, si è affrontato il pianeta vino sotto i più svariati punti di vista,  tracciando un affascinante percorso, partendo dalla vigna per arrivare allo scaffale o al tavolo del ristorante,  con un accento particolare sugli abbinamenti con il cibo, momento che dovrebbe rappresentare la massima esaltazione dell’uno e dell’altro. Ma, ora che il corso è ormai terminato, cosa rimane di tutto ciò? Interpretando il pensiero di ciascun partecipante, credo di poter tranquillamente affermare che il motore  motivazionale fosse il desiderio di conoscere sempre meglio e sempre più il mondo del vino. Grazie alla preparazione e alla professionalità di ciascuno dei nostri docenti, è bastato frequentare assiduamente per raggiungere quest’obiettivo importante, ma quasi secondario rispetto alla consapevolezza che questo corso personalmente mi ha lasciato. Non so definire e classificare il mio grado iniziale di conoscenza della materia rispetto alla media generale dei miei compagni di corso ma, al fine di esemplificarlo per renderlo comprensibile, dirò che tra le altre cose, ritenevo che le denominazioni Doc e Docg corrispondessero per forza di cose ad una qualità migliore dei vini. Non avevo ben chiara la differenza tra ciò che si definisce propriamente e solamente vino, rispetto ad esempio ad un vino aromatizzato o ad uno spumante, del quale non conoscevo bene neanche la differenza tra le varie metodologie di produzione. Potrei portare altri esempi che però  altro non farebbero che appesantire la lettura. Ciò che  qui mi preme è aver dato un’idea di  quello che era il mio stato di consapevolezza iniziale. Dopo un relativamente breve periodo di tempo, credo che 15 mesi non possano essere definiti diversamente, ormai ho ben chiare in mente queste e tante altre cose, mentre lentamente vado acquisendo quell’esperienza di degustatore che solo l’esercizio e non la consapevolezza razionale può darmi. Appurato che ho compreso quale dovrà essere la continuazione del mio percorso, ancora però non ho rivelato ciò che di più bello ed importante, almeno per quel che mi riguarda, ho ricevuto da questo corso. Qual è dunque quella che, almeno per me, è una scoperta straordinaria? Poco a poco, mentre le varie chiavi di lettura e comprensione fornitemi cominciavano a svelarmi il vino e mentre mi incamminavo sulla strada della conoscenza dello stesso, intuivo che vi era qualche cosa di più, una sorta di possibile conoscenza che, trascendendo quella del vino,   ad essa fosse strettamente ed indissolubilmente connessa. Solo verso la fine del corso ho messo a fuoco quanto man mano intuivo: tutte le chiavi di comprensione del vino mi aprivano varie porte che alla fine mi hanno condotto ad una grande porta che non ho esitato a riconoscere nel  vino stesso. Ecco cosa veramente questo corso mi ha dato, la consapevolezza che certamente si può conoscere il vino ma che la cosa più importante è vedere e considerare il vino stesso come una chiave  di lettura o una finestra aperta che affaccia   sul mondo, sull’animo umano e sul nostro proprio mondo interiore.

Personalmente provengo da una formazione musicale e, al momento giusto, non ho avuto difficoltà a trovare veri e propri parallelismi, autentiche corrispondenze e risonanze tra l’universo musicale, la visione e le conoscenze che dalla musica discendono, con quelle offerte e derivanti dal vino. In primis musica e vino, pur utilizzando canali d’accesso diversi alla mente e al cuore dell’uomo, giungono nei medesimi reconditi luoghi, attivando i medesimi effetti: senso di benessere, comunione, serenità, calore, gioia, allegria, euforia e chi più ne ha più ne metta. Ma c’è di più: così come da uno stesso strumento scaturirà una musica diversa se suonato da differenti musicisti, si può affermare che una cosa equivalente avviene nel vino ove il vitigno è paragonabile allo strumento, mentre suolo, clima e uomo rivestono il ruolo di musicista. Altra similitudine si riscontra anche nella dimensione narrativa dell’elemento vino e dell’elemento musica. Entrambi si svelano poco a poco, mutando lentamente, dando risalto ora ad un profumo anziché ad un’altro, come nella musica avviene con l’alternanza e il dipanarsi e il succedersi di alterne fasi e frasi musicali, ora con un timbro ora con uno  differente. Se poi consideriamo l’affascinante e sterminato mondo degli abbinamenti, come parallelo musicale altro non potremo scegliere ciò che avviene in un concerto o nell’interplay che si instaura tra i musicisti di jazz. Qui è sempre un dialogo, ma un dialogo vivo, a volte sereno, altre nervoso; dinamico e scattante un momento, mentre un attimo dopo è rilassato e trasognante. Così, i mutevoli e mutanti dialoghi musicali, mi suggeriscono di ricercare abbinamenti cibo vino, ora conformi alla tecnica insegnataci e da raffinare, ora tentando consapevolmente qualcosa di azzardato, procedendo empiricamente per prove ed errori, alla ricerca di sempre nuove e stimolanti consonanze e dissonanze, tensioni e distensioni. 

Eppure, tra tante similitudini, vi è qualche differenza che definirei enorme ma che non di meno aiuta da una parte nella comprensione del vino e dall’altra al recupero di un mondo fatto di memorie personali, stante che la memoria del vino è ancora, al giorno d’oggi, inalienabile. Tutto quanto inerisce alla memoria del vino, ancora oggi è comparabile con lo stato della musica prima dell’avvento della registrazione. In realtà, per certi versi, il vino è ancor più sfuggente e legato alla sola memoria di quanto lo fosse la musica prima che vi fosse la possibilità di fissarla su un supporto tecnologico che ne consentisse la riproduzione ad libitum. Se la musica poteva essere in qualche modo fissata su carta se pur con un codice approssimativo e quindi poteva essere riprodotta da qualcuno che quel codice conosceva, una bottiglia di vino, di qualunque tipologia e o qualità, rimane un individuo a sé  stante, risultando in ciò più vicina all’unicità del singolo essere umano che ad una composizione musicale. Quando l’ultima goccia di una bottiglia di vino termina, sparisce un unicum irripetibile, con i suoi pregi e i suoi difetti. Nulla può fermare le sensazioni di quella data bottiglia se non i nostri ricordi fallaci, che anno dopo anno si evolvono e si stingono. In certi casi a poco serve fissare su carta con termini più o meno tecnici o poetici le nostre sensazioni del momento, in primo luogo perché le parole, come la notazione musicale, non possono univocamente e in assoluto fissare ciò che sentiamo, in secondo luogo perché, quanto appuntato oggi , domani potrebbe non corrispondere più al mio modo di sentire e valutare che nel frattempo si sarà evoluto e dunque sarà mutato. 

Tralasciando la musica, non credo si faccia particolare fatica a riscontrare le medesime affinità e similitudini tra il vino e le altre forme d’arte quali pittura, scultura, letteratura ecc. Cambiano i canali d’accesso all’essere umano ma non la meta da attingere. Curiosamente però, gusto ed olfatto, sensi principali per la degustazione del vino, a differenza della vista e dell’udito, non sono considerati come possibili vettori di istanze artistiche poiché troppo spesso relegati ad una sommaria e grossolana valutazione, dalle più o meno variegate sfumature, di gustoso e disgustoso, profumato o puzzolente. In effetti però, anche vista, udito e tatto, fino al manifestarsi della creatività artistica dell’uomo, altro non erano che sensi utili alla conoscenza del mondo circostante e alla salvaguardia dell’individuo. Poi musica, pittura, scultura, letteratura, poesia e, più recentemente, il cinema, hanno elevato quei sensi a vettori di istanze artistiche. La già accennata poca considerazione di veicoli per l’arte di cui gusto ed olfatto godono nel mondo moderno, unitamente alla funzione del vino d’essere anche un alimento, hanno fatto sì che quest’ultimo per secoli fosse sì apprezzato, ma non ricondotto, così come dovrebbe essere, ad una pura espressione artistica, con peculiarità proprie. Il vino è una forma d’arte che, più di ogni altra, è frutto di una collaborazione e creazione simbiotica tra uomo e natura. Quest’ultima infatti, con le sue stagioni sempre mutevoli, con i suoi capricci e sbalzi d’umore, con i suoi eventi ora favorevoli, ora contrari, condiziona in maniera determinante l’esito del prodotto artistico. Ecco dunque la cosa più importante che questo corso mi ha dato, credevo di imparare a conoscere una bevanda, invece ho scoperto una forma d’arte, la più simbiotica tra umanità e natura.

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