Molto spesso sentiamo parlare di “sentieri” con significati diversi. Eppure quello che più si avvicina ad ognuno di noi è legato alla “magia”, ovvero ai sogni. Cosi immaginiamo di camminare sul “sentiero della vita”, di percorre il “sentiero della spiritualità” o di fermarsi su un “sentiero di montagna”. In ognuna di queste situazione la mente ospita immagini, emozioni sensazioni, che prendono forma a seconda di come le vogliamo “vestire”. Nascono così racconti che vanno alla ricerca di storie per poter vivere e i ricordi iniziano a fare la loro parte affiorando copiosi alla mente. In questo stato inebriante percorro una passerella tra le gole della Salentze, all’imbrunire, rivolgendo lo sguardo ai vigneti sottostanti non riuscendo a identificarli ma con la consapevolezza che erano laggiù, mentre io restavo sospeso a diversi metri di altezza. Un piacere misto alla curiosità si faceva strada in me, e mentre percorrevo questo tratto, breve ma emotivamente lungo, mi lasciavo suggestionare da ciò che la leggenda narra essere accaduto proprio su quella passerella. Joseph-Samuel Farinet (nella foto sotto) un bandito, un falsario, un rocambolesco personaggio dal cuore grande, che ha segnato con la sua leggenda il cantone Svizzero del Vallese. Tutto intorno a me sembra scandire la fuga di quest’uomo che braccato dai gendarmi, correva nascondendosi tra le rovine del castello di Nus, portando con sé le monete che abilmente aveva coniato e che distribuiva alla gente come un “Robin Hood delle Alpi”. Di lui narra la leggenda, che morì suicida proprio per sfuggire ai finanzieri Svizzeri. Lentamente mi avvicino alla fine del “Sentiero delle Vetrate”, in compagnia della presenza amica di questo uomo che affascina ancora oggi moltissime persone con la sua leggenda.
Il senso di libertà ha accompagnato Farinet, la sua indiscussa bontà dalla quale sprigionava una tale forza che lo portò a sfidare lo Stato, creando anche notevoli fastidi a coloro che della corruzione ne avevano fatto la bandiera dell’ingiustizia. Amato a tal punto dalle persone delle montagne che la comunità di Saillon gli ha dedicato una Vigna fatta solo di tre ceppi, conosciuta come la “Vigna più Piccola del Mondo”, su una superficie di 1,67 metri per 2 e un monumento di bronzo. La particolarità di questa vigna, un tempo di proprietà dell’Abbe’ Pierre, ed oggi del Dalai Lama, consiste nel fatto che con il mosto ricavato dai tre ceppi e mescolato con il migliore Cru del Vallese, si producono 1.000 bottiglie, che vengono battute all’Asta e il ricavato donato in beneficienza. Continua a vivere il Mito di Farinet, di questo uomo che non ha mai deluso la sua gente, pur infrangendo le regole e riscrivendole a modo suo, senza mai tralasciare bisogni, aspettative e sogni delle persone. A lui è stata dedicata un’Associazione “Les Amis de Farinet”. Una parte del suo cuore è legata alla nostra terra, e vive nel vino che si produce in suo onore perché Farinet nasce in Val d’Aosta e muore in Svizzera.
Cammini nella vigna insieme al “mondo”, circondato da testimonianze scritte da chi ha voluto lasciare un segno del suo passaggio e senti comunque quel profumo del mosto così intenso pur essendo una piccola quantità, ma tale da lasciarti inebriato. Così la mente si abbandona ad altri ricordi, alla ricerca di colui che in una parte dell’Italia, in Maremma, nello stesso periodo si esprimeva nelle gesta con la medesima filosofia di vita: Domenico Tiburzi detto il “Domenichino”. Un Brigante buono, che non accettò l’umiliazione del suo “padrone” che lo multò per aver falciato dell’erba facendone una fascina e dopo una notte insonne si ripropose a lui scaricandogli addosso la doppietta e ferendolo a morte. Condannato a 18 anni di carcere, nel 1872 riuscì a fuggire dandosi alla macchia in compagnia di altri galeotti. Reo di molti crimini, ma con un personale senso di giustizia, che proteggeva la gente sfinita dall’arroganza dei grandi proprietari terrieri. Braccianti fieri ma schiacciati dai soprusi, il nostro Robin Hood diventa il simbolo di quella Maremma che non accetta le ingiustizie. Il senso personale della legge, lo rendeva nobile agli occhi della gente, e sempre più potente e imprendibile, nascosto in un territorio fatto di macchie, grotte e tutto quello che poteva essere identificato come un rifugio sicuro. Per ben 24 anni tenne in allarme il Governo Giolitti, perché astuto e amato dal suo popolo. Ma cosa hanno in comune queste due figure leggendarie così tanto amate dallo loro gente? L’amore per la terra, il rispetto per i suoi prodotti, l’accettazione dell’unica Legge che non hanno mai violato: quella di Madre Natura. Ma la magia che accompagna ogni leggenda, non conosce l’usura del tempo, non ammette confine di sorta, ma continua sul “sentiero” di quell’unica verità che solo Madre Natura ci può raccontare. E come Saillon nel Cantone Vallese-Svizzera continua a vivere la leggenda di Farinet con la sua vigna fatta solo di tre ceppi e con il vino prodotto, accompagnato durante la vendemmia anche da noti personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, così nella Maremma in un Borgo già esistente nell’Età del Bronzo, ma con notizie più certe anche dalla fine dell’anno Mille, la presenza del “Dominichino” e dei suoi luogotenenti Briganti non cessa di ammaliare la vita di Montemerano.
Questo Paese ambito e conteso tra gli Aldobrandeschi di Santa Fiora e Siena, che lo acquistò, e occupato nel 1400 dal Capitano di Ventura Giovanni Giacomo Piccinino, tornò successivamente a Siena per poi nel tempo diventare fiorentina. In questo splendido Borgo, protetto dalla sua storia vive Maurizio Menichetti, un punto di riferimento di tutta la Cultura del Vino italiano ed estero. Solitario nel suo modo di essere, rapito anche lui dalla leggenda, amato dalle persone, vive esprimendo la storia della Maremma. Nel Ristorante Da Caino, lo Chef di raffinata eleganza ed intuito e sua moglie Valeria portano avanti una tradizione dell’eccellenza che li vede protagonisti nei più ambiti scenari della ristorazione italiana ed internazionale. In Menichetti vivono i segreti di una professione che ha radici nel suo stesso talento, nella raffinatezza del palato, nella ricerca di quell’autenticità impressa nel suo DNA. Così come il “Dominichino” si nascondeva nella macchia, creando passaggi segreti nel cuore della terra, cosi Maurizio Menichetti con la stessa determinazione ha costruito insieme alla sua famiglia, la Cantina, dove l’esperienza sensoriale inizia scendendo i primi gradini (1.800 etichette, 22.000 bottiglie) ponendola di diritto tra le molte meraviglie del mondo. Non puoi sottrarti di nuovo alla magia del luogo, che Maurizio Menichetti ben interpreta, producendo un vino dedicato a suo padre, “A Carisio”, di sole 500 bottiglie.
Sangiovese e Malvasia Nera sono i protagonisti dei sapori racchiusi in un nettare di straordinaria autenticità. Il numero esiguo delle bottiglie è l’espressione di una ricerca nella qualità, che parte nella vigna, e come per l’Abbe’ Pierre un tempo e il Dalai Lama oggi, Maurizio Menichetti interpreta l’umiltà con il suo prodotto, raro nel concepimento, straordinario nell’intensità del suo aroma, mettendolo a disposizione per nobili cause, dove viene battuto all’asta e il ricavato dato in beneficienza. Ora il “sentiero” si ricongiunge, una linea viene tracciata, come quel solco nella terra, che parte dal Vallese e arriva alla Maremma. Questo è il “Sentiero della Passione” dove Menichetti cammina ogni giorno, donando al mondo la sua storia, la sua professionalità, il suo talento, il suo naso, e le sue preziose ed uniche bottiglie. Come per la Vigna di Farinet, la “più piccola del mondo”, il vino A Carisio rappresenta una tra le “più piccola produzione” di bottiglie di eccellenza al mondo. Ciò che li accomuna è la Storia, fatta di leggenda del territorio, di amore per la gente, e di unicità.