I riflessi dorati del grano prossimo alla trebbiatura, l’immagine delle spighe cariche di chicchi ed il rumore della mietitrebbia che lascia dietro di sé squarci di terreno ormai nudo. È questa la sinestesia che la pasta è in grado di suscitare e che, lentamente, lascia scoprire a chiunque si appresti alla degustazione. Un profumo di pane liquido avvolgente, capace di segnare in maniera indelebile la memoria olfattiva di ciascun bambino che, una volta “grande”, ripeterà quel rituale, a lungo osservato, del cuocere in acqua bollente salata la pasta, la quintessenza della natura. Emblema del nostro Paese nel mondo, demarca i confini territoriali dell’Italia, offrendo una vastità di formati e tradizioni, e ammaliando con il fascino delle sfumature aromatiche delle infinite tipologie di grano. Un patrimonio genetico senza pari, insediato dal pericolo di estinzione nel dopoguerra, quando, per fronteggiare una domanda crescente, si avvertì l’esigenza di coltivare varietà più produttive, a scapito dell’autoctona varietà e variabilità. Si tratta di grani oggi recuperati e designati come “antichi”, in quanto eredi del passato, custodi del tesoro di biodiversità italiana e testimoni della cultura di un territorio. Dal sapore deciso, si caratterizzano per un equilibrato rapporto tra amido e glutine che permette, al termine di un attento processo di lavorazione e trafilatura, di ottenere una pasta mordace, rugosa e dal ridotto contenuto di zuccheri. Pregi, questi, che mal si adeguano ai ritmi imposti dalla produzione industriale che ha rischiato di trasformare tali varietà in un mero ricordo.
Numerosi, tuttavia, i produttori che, resistendo alle lusinghe della standardizzazione, hanno intrapreso un percorso di recupero e valorizzazione di grani prima dimenticati. Tra questi, Carla Latini, madrina della pasta artigianale per antonomasia, assai caparbia nell’avviare un lavoro di ricerca propedeutico alla realizzazione di una pasta unica, la “sua” pasta. Una pasta che rispecchiasse appieno la propria indole determinata - e assieme, elegante -, il personale cammino di costante crescita e la sua storia. Ed infatti, con il suo aroma delicato (ma non arrendevole) e con il suo sapore deciso (ma mai preponderante), la pasta sembra svelare il carattere di Carla e raccontarne la biografia: fondamentale l’incontro (nell’agosto del 2014) con la famiglia Stoppani, indiscussa protagonista dell’enogastronomia meneghina di eccellenza (si pensi a Peck) e depositaria dell’arte imprenditoriale di selezione di prodotti di qualità. Un savoir-faire e un know-how oramai connaturato alla famiglia, impegnata dagli anni Settanta, nello scouting e divulgazione del Made in Italy autentico.
Ed il risultato del fortunato incontro non poteva che confermare la passione e la professionalità dei due grandi interpreti; nasce, così, una pasta figlia di un’accurata selezione dei grani duri, di una trafilatura in bronzo, di un’essicazione lenta e a temperature diversificate in base al formato. Nel piatto, si ritrova una raffinata combinazione tra porosità, elegante cottura al dente, inebriante profumo di pane… Quasi una poesia che, in pochi versi ermetici, sintetizza e spiega quel nome (600.27), a primo acchito incomprensibile, che troneggia su ogni pacco: tra le oltre 600 varietà di grano selezionate nella sua attività, Carla ha scelto quelle più tenaci, colorate e saporite per declinarle in 27 tipi di spaghetti. Il pathos di Carla non si esaurisce nell’anafora degli spaghetti, ma riesce a plasmare “Senatore Cappelli” e “Taganrog” in numerosi formati, raggiungendo, però, l’apice espressivo nel famoso truciolo di Marchesi. Ispirato alle creazioni di Maurizio Riva (imprenditore del legno), nasce dal desiderio di recuperare, valorizzandoli, gli scarti di un qualunque lavoro al fine di reimpiegarli nella realizzazione di una nuova, differente opera. È quasi una conchiglia incompiuta simile alla corolla di un fiore questo truciolo dall’indole volubile e dinamica; è essenziale nelle sue linee “non ruvide” ma porose, ottenute a seguito di una ricerca sulle temperature, per non rinunciare ai grani antichi e alla trafilatura in bronzo. Ne nasce un’alchemica combinazione di gusto e tecnica, che si traduce in una pasta dal cuore “al dente”, figlio della scelta della dimensione della cartella della trafila (determinante lo spessore). Abbandonarsi ad un piatto di pasta diventa, pertanto, un lungo viaggio emozionale, un piacevole perdersi tra i campi, lasciandosi accarezzare dalle spighe sulla scia di quell’inconfondibile profumo di grano.
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