È il fulcro del panorama abruzzese. È l’alternarsi di mutevoli paesaggi, dal bucolico al lussureggiante; di centri abitati ricchi di pregevoli testimonianze di un mirabile passato; di risonanze letterarie e storiche; di un alone di leggende miste a fosche imprese di briganti. Il Massiccio della Maiella si svela così, lentamente, al visitatore che non fatica ad abbandonarsi alle lusinghe di un ambiente maestoso, laddove - in alcuni tratti - terra e cielo sembrano confondersi, non in un’indistinta lontananza, ma in un’apparente assenza di soluzione di continuità. E quest’atmosfera irreale, tra scorci panoramici di struggente suggestione, si fonde con i vigneti di quel vitigno che in queste terre ha trovato il suo habitat ideale: il Montepulciano.
Tra mito e leggenda, le fonti ne collocano le origini all’epoca dei Romani, quando Plino il Vecchio e Orazio Flacco si riferivano a nettari pregiati, quasi masticabili e bisognosi di filtrazione. Sebbene recenti studi sostengano la provenienza greca del vitigno, le ricerche più accreditate indicano la Valle Peligna, non distante dalla Maiella, come culla del Montepulciano. La sua personalità, del resto, ne tradisce i natali: è un vino di montagna, ribelle e a volte austero, spigoloso, di difficile lettura, con un corredo olfattivo in perenne equilibrio. Note “cupe” e di rovo, infatti, solo progressivamente cedono il passo a sfumature più “croccanti” che ricordano la mora, la marasca e la visciola. Esuberante in gioventù, con quella verve di freschezza capace di “rapire” e di sorprendere anche i palati più avvezzi alla degustazione di questo vitigno “energico”; eppure, è proprio questa sua “esplosività”, questo suo incontenibile desiderio di imporre un’indole decisa a costituire le fondamenta del suo invecchiamento. Ed ecco allora emergere sensazioni aromatiche, figlie di quel tempo che ha saputo domare l’espressività senza compromessi di un Montepulciano “giovane”: tabacco, fine speziatura, fiori appassiti e una frutta - a tratti - “marmellatosa”, sono il preludio di un sorso profondo, carico di un’eleganza dimentica della spigolosità giovanile e portatrice di quel calore e di quelle note “selvatiche” che lo rendono unico.
Re dell’Abruzzo enologico, il Montepulciano acquisisce caratteri differenti in funzione della zona di coltivazione: lungo la costa (area del Montepulciano di Abruzzo Docg), si esprime con vini più tersi, avvolti da ricordi di macchia mediterranea e frutta rossa, mentre la fascia montana (da Loreto Aprutino a Prezza), sta oggi rivelandosi particolarmente vocata, con un piacevole pullulare di cantine dedite al rispetto di un vitigno così identitario ed emblematico di un popolo. È su queste basi che poggia la filosofia di Praesidium, cantina fondata da Enzo Pasquale e dalla moglie Lucia nel 1988, a Prezza, piccolo borgo dell’entroterra aquilano, roccaforte e presidio del territorio di Corfinio, l’antica capitale dei popoli italici. Una realtà ancor oggi familiare, fortemente ancorata alla terra natia, a quei cinque ettari di colline (400 m s.l.m.), esposte a Sud-Est, ove le viti spingono in profondità le proprie radici, alla ricerca del nutrimento in un terreno alluvionale, ricco di scheletro e sostanza organica, protetto da uno strato di silice che facilita il drenaggio.
A colpire sono gli occhi carichi di orgoglio e le mani segnate dal sole, aduse alla vendemmia e all’indole scontrosa di quei filari di Montepulciano, lasciati liberi di esprimersi, assecondandone il ciclo vitale, rifuggendo dall’impiego di sostanze chimiche o di sintesi. In vigna, il ripetersi della ritualità di un tempo, del sovescio e del letame, della pratica di estirpare le erbe infestanti con la sola zappa è sintesi del profondo legame tra la famiglia Pasquale e la terra di origine. È un legame che quotidianamente si rafforza, mai compresso dalle fatiche di una “quotidianità agricola”, ma rinvigorito da una passione che trasuda in piccoli gesti e piccole accortezze imposte da un “grande” vitigno. Prorompente, il mosto del Montepulciano di Praesidium fermenta spontaneamente, senza aggiunta di lieviti, mal sopportando prassi invasive in cantina: nessuna filtrazione né pastorizzazione, ma semplice decantazione naturale, per non alterare il succo di quell’uva rara, accarezzata dal vento, riscaldata dal sole e protetta dai rilievi della Maiella.
La veste rubino lucente (pervasa da riflessi purpurei in gioventù) anticipa un portamento leggiadro nel calice, mai denso ma percorso da un fitto disegno di archetti a ricordare l’importante dotazione alcolica; al naso, si apre timidamente con note di mora, gelso, sottobosco e visciola, che poi virano verso quelle di tabacco, garrigue, confettura. Al palato, invece, s’impone con veemenza esigendo rispetto, con un continuo rincorrersi tra morbidezza e freschezza, con una trama tannica mai esageratamente aggressiva che procede, lenta e quasi infinita, veicolata da una progressiva dilatazione pseudocalorica.
Il Cerasuolo (prima Doc d’Italia di vino rosato) ne imita la matrice, su una scala più delicata nella quale dominano, però, sensazioni fruttate. Ogni sorso riporta a quell’angolo d’Abruzzo dominato dalla sagoma della Maiella, a guardia delle sue valli e dei vigneti di Montepulciano.
Agricola Ottaviano Pasquale
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