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Le Denominazioni Comunali: una questione di cittadinanza
Pubblicato il 04/12/2015
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Si discute ancora molto di Denominazioni Comunali, o De.Co., nate da una brillante intuizione di Luigi Veronelli. La prima traccia si rinviene in una lettera del 21 aprile 1998 che il Giornalista scrive a Riccardo Illy, allora Sindaco di Trieste. Il ragionamento di Veronelli parte dalla constatazione che i mercati globali, sostenuti dalle normative CEE, spingono verso acquisti che escludono i prodotti della “nostra terra”, ponendo ai margini un intero mondo economico e sociale popolato da contadini, vignaioli, piccoli artigiani. La possibilità di far leva sull’intelligenza del consumatore e garantire il “rinascimento” delle vitali produzioni contadine, dovrebbe fondarsi sulla forza del partito dei Sindaci, in grado di imporre le Denominazioni Comunali quale nome controllato del luogo di produzione. Il passo successivo, nel numero 45 di Ex Vinis sui Giacimenti Gastronomici, è il tentativo di una prima elencazione di prodotti che per storia e tradizione qualificano sul piano gastronomico un territorio, rendendolo “unico”. Nel pensiero di Veronelli le De.Co si poggiano su due concetti. Il primo ha valenza politica: riconoscere al Comune, anziché allo Stato, la potestà di certificare. Il secondo è che la Denominazione debba garantisce solo l’origine e non la qualità. La consapevolezza di Veronelli risiede nel fatto che non può concepirsi una corsa all’impazzata dai vari territori verso la certificazione di qualità dei singoli prodotti, se non a rischio di banalizzare e svilirne il concetto stesso. Viceversa i Sindaci ben possono certificare l’ “unicità” del prodotto, intesa come correlazione storica e tradizionale tra questo e il territorio di provenienza. Per Veronelli la denominazione avrebbe evitato di incorrere nel concetto errato di “tipicità”: sostenere che un prodotto è “tipico”, ossia conforme ad un archetipo astratto e dunque riproducibile, significa negarne l’“unicità”. La sfida lanciata da Veronelli trova proseliti tra giornalisti, opinionisti e amministratori pubblici. La stessa normativa italiana, su autonomia locale e decentramento amministrativo, ne conferma la legittimità. Tuttavia i trattati internazionali sugli investimenti e sugli scambi delle merci e la stessa disciplina europea vedono nella certificazione dell’origine una “restrizione” al libero mercato e alla concorrenza. I toponimi devono essere limitati, e sempre che la loro previsione risulti ragionevole, giustificata, proporzionata. L’Europa del Mercato Unico attrae a sé anche la regolamentazione sottraendola ai singoli Stati. Le regole europee su Dop e Igp - che certificano qualità e origine - si pongono spesso in conflitto con le De.Co. Per i prodotti non certificati si arriva al divieto, in fondo paradossale, di poter indicare in etichetta il luogo di effettiva origine. In alcuni casi al consumatore è pressoché impedito di sapere la provenienza di quei prodotti che non siano etichettati come Dop o IGP. Il che ha ripercussioni negative sulla tracciabilità delle materie prime. A questo punto, di fronte all’Europa del futuro, il dibattito politico, culturale e socio-economico non sembra sopito. Le Denominazioni Comunali hanno ancora “cittadinanza”? E in quale misura?

Qualche spiraglio viene dalla Corte di Giustizia UE, organo supremo sull'interpretazione e la creazione del diritto europeo, che si è pronunciata sui toponimi e sulle indicazioni di provenienza geografica. Questi sarebbero legittimi se non si sovrappongono a Dop e Igp e non confondono il consumatore. Sarebbero anche legittimi se intesi come marchi collettivi, protetti dal Codice sulla proprietà industriale o come strumenti di valorizzazione culturale del territorio. In sintesi le De.Co. hanno ancora oggi diritto di cittadinanza. Tuttavia le stesse perdono "efficacia" per incompatibilità con il diritto europeo, e dunque decadono, se viene in essere in epoca successiva una Dop o Igp, con esse contrastante. In tal caso il conflitto non può che essere risolto a favore del sistema Dop e Igp, esaustivo e  prevalente. Sono spazi angusti, certo, ma ancora esistenti. Anzi, proprio il sistema delle autonomie e la valorizzazione del patrimonio culturale possono salvaguardare la ricchezza dell'eccellenza italiana. Finalità che impone una visione coesa e unitaria dell'Italia, nel più ampio Consesso europeo. La questione del diritto di cittadinanza non è solo giuridica, ma piuttosto politica. Attiene al carattere identitario di una comunità, che può certo espandere i propri confini, ma non perdere le radici e il senso di sé, come aveva ben intuito Veronelli.

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