Ossia, sei declinazioni di Cervaro. è sempre emozionante, anche per un degustatore “collaudato”, guidare la verticale di un vino simbolo come il Cervaro della Sala; tanto più, se alla degustazione partecipa il padre di questo vino, Renzo Cotarella.
La cornice è quella, sempre affascinante, di Altarocca Wine Resort, e l’organizzazione, impeccabile, è della Delegazione orvietana della Fondazione Italiana Sommelier Umbria. Tanti i partecipanti, tra visi noti a chi frequenti le attività della Fondazione e nuovi appassionati che da poco si stanno affacciando a questo mondo. Renzo Cotarella, con la schiettezza e l’immediatezza che gli sono proprie, racconta la genesi del vino: quell’illuminazione (o folgorazione?) sulla capacità evolutiva dei grandi bianchi francesi, il desiderio di fare qualcosa di analogo in Italia, l’intuizione di affiancare allo Chardonnay un saldo di Grechetto, a donare freschezza e territorialità, le prime delusioni e poi, con l’annata 1986, il successo. Proprio quella 1986, che ebbi occasione di assaggiare la prima volta nella lezione sullo Chardonnay al Bibenda Executive Wine Master, e che così mi emozionò…
Sei, questa volta, le annate proposte. Si parte con la 2001: un vino di quindici anni che ancora, sia nella brillantezza dorata del colore, sia nella nitidezza dei profumi, rivendica una longevità che lo porterà ulteriormente lontano. Una natura solare, aperta, ove le note più terziarie (cera d’api, mela cotogna) sono continuamente incalzate dalla nota floreale e agrumata. La proverbiale freschezza del Cervaro, dissetante, si distende in bocca, accompagnando la persistenza.
Con la 2004, si cambia parzialmente registro: il vino è più minerale, pirico, ma anche incredibilmente salmastro, con profumi di alghe. Non manca una nota piccante, che ricorda lo zenzero. La percentuale relativamente inferiore di Grechetto (qui il 15%) non va a scapito della freschezza.
La 2006 è un’annata importante per due motivi: anzitutto perché, pur essendo considerata straordinaria per i rossi, ha fatto “soffrire” le più precoci uve bianche con picchi di calore in vendemmia; secondariamente, perché in quell’anno si inizia a vinificare nella nuova cantina, dedicata proprio al Cervaro. Renzo Cotarella ricorda una certa apprensione con la quale affrontarono l’esperimento… ma il vino rivendica subito la sua grandezza, con note che richiamano decisamente la polvere da sparo, ma anche l’ostrica. Immediato, viene alla mente il ricordo di alcuni grandi Chablis, magari di Les Clos. La longevità, qui, è palese: è un vino per le nuove generazioni, da conservare gelosamente in cantina.
Si passa alla 2008, annata nella quale il mosto venne macerato dieci ore sulle bucce per estrarre colore e sostanza. L’impressione di trovarsi di fronte ad un vino decisamente giovane è immediata: il profilo dolce (netta la mela cotogna) è incalzato da una severa mineralità, che si spiegherà nel prossimo futuro su note più fungine, che richiamano immediatamente il territorio. Non manca, in chiusura, una nota torbata, quasi da whisky, che si accentua con l’ossigenazione nel bicchiere.
Con la 2010, scendiamo ad un saldo di Grechetto del 10%. E’ evidente che il vino deve ancora esprimersi e che attualmente è in bilico tra note secondarie di frutta gialla matura e miele ed una terziarizzazione che deve ancora completarsi. Spicca, però, la nota di pepe bianco, che suggerisce sin da ora il tipo di evoluzione speziata che il vino potrà avere nel prossimo futuro. In potenza, grandissima annata.
Si chiude con la 2012, suadente ma ancora compressa. Si percepiscono note di tè verde e camomilla, e quando azzardo paragoni con i giovani Trebbiano di Valentini, si vede che Renzo Cotarella non è dispiaciuto del parallelo. In fondo, il vino di Francesco Paolo è anch’esso, come il Cervaro, un esempio della grandezza e della longevità che anche in Italia, fuori da qualsiasi complesso di inferiorità, possono raggiungere i grandi bianchi.
Castello della Sala
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