In terra etrusca, lungo il tracciato dell’antica Clodia che si snoda ripercorrendo le “vie cave” tra i monti Cimini e i Sabatini, prende vita il progetto di Emanuele Pangrazi. Ci troviamo in Comune di Blera, non troppo lontano dal sito archeologico di San Giovenale, l’antica Contenebra, tra la costa e i laghi vulcanici del viterbese. È una giornata di febbraio ma la brezza marina già intiepidisce l’aria. Per arrivare fin qui, senza l'aiuto di segnalazioni lungo la strada, si attraversa l’abitato di Blera che si erge su uno stretto e tortuoso pianoro chiuso dalle due profonde valli di erosione incise dal Fosso Biedano e dal suo affluente. Paesaggi spaventosi, a strapiombo, gole di tufo che hanno suggerito nei secoli leggende di draghi, diavoli e sacrifici umani. In direzione Barbarano Romano, in cima alla sommità di un colle, si scorge l’azienda agricola, circondata dalla corona dei boschi del Parco Marturanum. Poi, volgendo lo sguardo a est, appare quasi d’improvviso, maestoso, il Mare Tirreno, i cui riflessi intensificano e scaldano la luce mattutina.
Intorno alla bellissima cantina, un’opera architettonica frutto delle più avanzate tecniche di bioedilizia, vi sono antichi alberi di mandorlo e i nuovi impianti intensivi di viti rodaniane, tra cui Marsanne e Roussanne. Arrivano fino a 11.000 i ceppi per ettaro e rientrano nel progetto di sperimentazione dell'Arsial, l'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura. L'Habemus nasce qui, grazie ad una fortunata e condivisa intuizione. Questo luogo suggerisce a Emanuele Pangrazi e al suo amico e consulente Marco Casolanetti che vi è un’affinità elettiva con la valle del Rodano: suoli argillosi, luce e clima ventilato.
La scelta cade sui vitigni caratteristici di quella parte del Sud della Francia, prevalentemente Syrah, Grenache, Carignan, ma con la convinzione profonda della loro origine tutta mediterranea. Quasi una culla al centro del Mare Tirreno, da cui si sarebbero diffusi lungo tutte le coste. La tesi non sembra affatto azzardata. Molti studiosi sono oggi convinti dell’origine sarda, pre-nuragica, del Cannonau. La transumanza dei pastori avrebbe poi contribuito alla diffusione di alcuni biotipi di Grenache attraverso il centro Italia: il gamay del Trasimeno, il tocai rosso, il bordot nelle Marche. Nei secoli passati sono documentati i continui contatti tra le coste sarde e quelle toscane, divenuti fiorenti a partire dai tempi del dominio etrusco su questa terra. Gli stessi scavi archeologici di San Giovenale, che hanno avuto inizio verso il 1950, grazie alla passione del Re Gustavo VI di Svezia, confermano una forte vocazione vitivinicola dell'areale, confortata da alcuni toponimi come il Vignale e, soprattutto, dagli intensissimi scambi commerciali. In cantina sembra invece dominare l’influenza francese, e soprattutto borgognona. La ricerca dell’essenza e della forte concentrazione del frutto è valorizzata da una selezione attenta e scrupolosa dei legni delle barrique, in cui il vino matura per almeno 20 mesi.
Gli assaggi da botte del Syrah e del Grenache mostrano grande vitalità, concentrazione, energia. L’interazione con il legno indirizza visibilmente la maturazione verso sentori fruttati e minerali, che preludono verso sensazioni avvolgenti e piacevolmente integrate. L’ulteriore affinamento in bottiglia, che purtroppo ci tocca attendere, non può che enfatizzare le sensazioni di piacere provate in cantina e la forte personalità dell'Habemus.
San Giovenale Agricola
Loc. La Macchia
01010 Blera (VT)
Tel. 06 6877877
www.sangiovenale.it