Il Made in Italy sta diventando sempre meno italiano. In questi ultimi anni stiamo assistendo al crescente fenomeno di aziende e marchi storici del nostro paese che vengono acquisiti da holding straniere; ne sono stati coinvolti l’industria, il settore della moda e il comparto del food&beverage. A quest’ultima categoria appartengono casi eclatanti come la cessione di Pernigotti da parte dei Fratelli Averna alla famiglia turca Tokzos, la vendita della Peroni alla sudafricana Sabmiller nel 2003 e il passaggio di Gancia nelle mani dell’oligarca russo Rustam Tariko nel 2011. Tra tanti esempi di dispersione dell’italianità, proprio dal mondo del vino ci viene una storia inversa, una storia che ci piace e che merita di essere raccontata, quella della casa vinicola Bolla, fondata nel 1883 nel comune di Soave. Negli anni Trenta la famiglia Bolla acquisisce una seconda cantina in Valpolicella, dando vita a un ventaglio di etichette che spazia dal Soave al Bardolino, passando ovviamente per l’Amarone. Nel secondo dopoguerra Bolla è la prima a esportare il “marchio Amarone” all’estero, soprattutto negli Stati uniti e in Gran Bretagna; inizia quindi a collaborare con diversi distributori internazionali, tra cui Brown-Forman, la corporation americana più importante nel campo del vino e dei distillati. Questa nel 1971 acquisisce il 40% di Bolla che diventa il 100% nel 2000. Provvidenzialmente in questa storia si inserisce il Gruppo Italiano Vini che nel 2006 acquista la cantina di Pedemonte e nel 2009 rileva l’intero pacchetto azionario, riportando in Italia la proprietà di un nome di spicco della nostra enologia.
L’eccellenza di Bolla nella produzione di Amarone è arcinota, vogliamo quindi puntare i riflettori su un’altra delle sue etichette, il Soave Superiore Tufaie. Questo vino nasce nella zona Classica del Soave Superiore, nel comune di Monforte d’Alpone, da vecchie vigne di Garganega e Trebbiano di Soave ancora allevate con l’antico sistema della pergola veronese per evitare l’eccessiva esposizione dei grappoli ai raggi solari. Rispetto ad altri esemplari pur di notevole impatto, tutti fiori e frutta come il Soave Le Bine di Campagnola o ricchi e strutturati come il Soave La Rocca di Pieropan, questo vino si presenta con un profilo sensoriale molto particolare, con caratteristiche solo sue, non riscontrabili in altri vini della stessa tipologia. Certamente i terreni di provenienza ricchi di tufo hanno influenzato non solo il suo nome quanto piuttosto il suo DNA, marcato anche da una tecnica di produzione piuttosto elaborata. Infatti dopo la diraspatura gli acini macerano a freddo per alcune ore, per passare poi alla pressatura soffice e alla fermentazione. La struttura è arricchita con una lunga permanenza sulle fecce fini e con l’aggiunta di un 10% di vino dell’anno precedente fermentato e maturato in barrique. Dopo tante cure le aspettative sul risultato finale sono molto alte e non sono mai disattese; a un’annata in particolare vogliamo assegnare il palmares, la 2013. Dal calice risplende un colore paglierino dalle intense sfumature dorate; lussureggiante l’ensemble olfattivo in cui si riconoscono glicini e campanule, frutta esotica e susine, buccia d’uva e cedro, il tutto poggiato su un fitto tappeto di ghiaia e polvere di marmo. La matrice minerale impronta fortemente anche il sorso; il calore alcolico, seppur percettibile, passa in secondo piano rispetto al binomio freschezza-sapidità che rappresenta la vera spina dorsale di questo vino e la garanzia di una lunga evoluzione.
Bolla
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