Aprire una bottiglia di vino a volte diventa evento ancor prima di assaggiarne il contenuto. Con i vini spumante succede spesso per via del carattere celebrativo insito nella tipologia. Quando, come nel mio caso, si apre, al di fuori di compleanni e feste santificate, una Riserva del Fondatore Giulio Ferrari 2001 si può godere di un evento essenziale: l’accesso alla leggenda del primo spumante millesimato italiano che riposa a lungo sur lie. Un vino che, fin dalla sua prima annata concepita nel 1972 e uscita nei primi anni ’80, si fregia di aver vinto qualunque premio e che è stato appellato con i più sontuosi aggettivi. Di tutti i complimenti quello che più mi è piaciuto è stato coniato, durante una cena privata, nella quale alcuni spumanti vennero serviti alla cieca. Una volta scoperte le bottiglie il Giulio Ferrari venne definito “miglior champagne italiano” a spiegazione dell’equivoco precedentemente creato. La verve minerale e la profondità di questo vino, infatti, ricordano molto da vicino i meravigliosi effetti prodotti dai terreni gessosi d’oltralpe. La profondità, inoltre, è il risultato della passione che ha guidato gli oltre cento anni di storia della cantina Ferrari. Giulio Ferrari la fondò nel 1902 scegliendo immediatamente la via della qualità per contrastare lo strapotere francese in materia di metodo classico. Mettendo in pratica quanto appreso all'Imperial Regia Scuola di Agricoltura di San Michele all'Adige (oggi Fondazione E. Mach) e in seguito alla scuola di viticoltura di Montpellier e al Botanisches Institut di Geisenheim, dove apprese le tecniche di vinificazione sui lieviti, il giovane ventitreenne iniziò l’attività con solo 1024 bottiglie, prodotte con uve provenienti dal vocato territorio trentino. Gli eccellenti risultati gli consentirono, già nel 1906, di ottenere il primo riconoscimento all’Esposizione Internazionale di Milano. Privo di eredi, il fondatore decide, nel 1952, di cedere l’azienda, giunta alla produzione di 8.800 bottiglie sempre provenienti da vigneti di proprietà, a Bruno Lunelli, proprietario di un enoteca a Trento e sincero appassionato. I suoi figli, Franco Gino e Mauro, decideranno negli anni ’70 di dedicare a Giulio Ferrari la migliore delle selezioni, ricavate da sole uve chardonnay provenienti dal vigneto di Maso Pianizza situato a seicento metri di altitudine, sulle pendici esposte a sud ovest del massiccio della Marzola, pochi chilometri a sud di Trento. Prodotto solo nelle migliori annate (1996, 1999, 2000, 2001, 2002 e 2004 le ultime prodotte), sosta sui lieviti per 7 anni, 10 dal 2004. La data del degorgement non è indicata in etichetta, il 2001 fu presentato alla critica nel 2010 ma molte bottiglie vennero ultimate e commercializzate anche negli anni seguenti. All’apertura il tappo ha perso gran parte del suo rigonfiamento il che fa pensare che sia trascorso qualche anno dal suo inserimento. Finalmente, dopo i lunghi indugi, lo verso nel bicchiere e subito, alla vista, il prezioso nettare mi appare allegro e vivace, brillante e leggiadro pur se sostenuto da una buona consistenza. Più che un esame visivo sembra la descrizione dei tempi di una partitura musicale.
Il pensiero va immediatamente ad un movimento classico che corrisponda a questa lettura. Inevitabilmente la scelta cade sulla Primavera di Vivaldi, questo il link per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=4fdfqu8z4Z0 oltre alla perfetta assonanza visiva, il profumo dei fiori, il cinguettare degli uccelli e i tiepidi raggi solari conducono presto la musica verso le mie orecchie e i profumi del vino verso il mio naso. E i sensi rispondono all’unisono al risveglio primaverile. L’allusione sensuale pervade musica e vino, segnando il sorso di fresche vibrazioni sapide, che rimandano a quelle di un corpo femminile che freme dell’effervescente desiderio di sprigionare il suo vigore dopo aver atteso per un lungo inverno. Tanta eccitazione richiede una pausa, un “adagio” che dia spazio alla spessore minerale dello spartito enologico e alla profondità espressiva della partitura musicale. Nuvole scure scorrono in cielo cariche di quella benefica pioggia che riporta la vita nei nostri sensi assopiti dal letargo invernale. Così per mano danzano verso il crescendo finale che riporta il sereno, la gioia e l’armonia melodica con intensi ritorni di fiori schiusi, cinguettii allegri e tepore solare.
Per dovere di cronaca, Le Quattro Stagioni sono i primi quattro concerti della serie di dodici “Il cimento dell’armonia e dell’inventione (Opus 8), pubblicati nel 1727 ad Amsterdam dall’editore Michel-Charles Le Cène e dedicati al Conte di Morzin. Composti tra il 1723 e il 1725, i concerti per violino, archi e basso continuo sono concepiti, come evidenzia il titolo stesso, per il piacere della sperimentazione. In particolare la Primavera, il primo dei quattro concerti, è diviso in tre movimenti che descrivono tre fasi della stagione: il cinguettio degli uccelli (allegro), il riposo del pastore con il suo cane (largo) e la danza finale (allegro). I concerti de Le quattro stagioni sono accompagnati da sonetti descrittivi anonimi, probabilmente scritti dallo stesso Vivaldi. Questo quello della Primavera.
Giunt' è la Primavera e festosetti
La Salutan gl' Augei con lieto canto,
E i fonti allo Spirar de' Zeffiretti
Con dolce mormorio Scorrono intanto:
Vengon' coprendo l'aer di nero amanto
E Lampi, e tuoni ad annuntiarla eletti
Indi tacendo questi, gl' Augelletti
Tornan di nuovo al lor canoro incanto:
E quindi sul fiorito ameno prato
Al caro mormorio di fronde e piante
Dorme 'l Caprar col fido can' à lato.
Di pastoral Zampogna al suon festante
Danzan Ninfe e Pastor nel tetto amato
Di primavera all'apparir brillante.
Il secondo bicchiere, dopo che“di primavera l’apparir brillante”, sfuma inevitabilmente nella “stagion dal sole accesa”.
Foto delle bottiglie di Luca Busca