Pochi giorni fa sono stato ad una cena tra amici, una di quelle nelle quali si aprono bei vini grazie ai quali diventa facile fare anche belle chiacchierate. Dopo virtuosismi francesi a base di Champagne e Borgogna, sia bianchi sia rossi, è stata la volta di un nostrano molto spontaneo, il Tenores di Dettori, in una delle sue migliori declinazioni: l’annata 2006. Il vino è un Cannonau in purezza proveniente dal vigneto di Badde Nigolosu che vanta piante ormai secolari. Secondo i dettami di Alessandro Dettori, profeta della biodinamica sarda e italiana, il lavoro in vigna avviene secondo la tecnica di“ passeggiare la vigna e masticare l’uva” mentre il lavoro di cantina è fondato sul principio de “il minimo essenziale”. Tradotto: utilizzo esclusivo di preparati biodinamici per fertilizzazione e difesa, solo acciaio e cemento in cantina. Il risultato nel bicchiere è un “Canto a Tenores (che) in Sardegna e? potente e irruente ma allo stesso tempo dolce ed armonioso, un’espressione di potenza ed eleganza di un territorio”. Per continuare ad usare le parole di Alessandro Dettori: un vino che “… non ha accettato compromessi”, cosa che appare evidente già al primo sguardo, il granato vira verso l’aranciato e la buona trasparenza ci svela l’assoluta mancanza di filtrazione. Al naso la tipica volatile convoglia, in armonica dissonanza, un’ampia partitura di sensazioni territoriali intatte nonostante i dieci anni trascorsi dalla vendemmia. Mirto e macchia mediterranea “squillano” a tempo con pot pourri floreale e piccola frutta di bosco, che “strimpellano” sulla base ritmica della profonda mineralità, tratta dal terreno ricco di humus e dal vicino mare condotto qui dalle sferzate del maestrale. Al sorso emerge la forza di questa terra, dura, arsa dal sole e dal vento della Sardegna. Viti antiche profondamente radicate nel terreno, tanto da essere parte della storia intima, riservata e sofferta come solo quella isolana può essere. Un vino che geme e stride per urlare al mondo la durezza del suo cammino dalla vigna al bicchiere. Un grido che esprime un pieno equilibrio armonico alternando la potenza del tannino e della nota alcolica alla leggiadria di morbidezza e freschezza.
Scontato, quindi, l’abbinamento territoriale e tradizionale con il “Canto a Tenores” che ha ispirato il nome del vino (https://www.youtube.com/watch?v=EsS9xYFKy6c). Ma pur riconoscendo la perfezione del connubio culturale tra vino e coro, la mia formazione mi conduce verso lidi lontani. In assonanza con nome e potenza si potrebbe sfidare qualche “Do di petto” tratto da un’opera lirica. Ma l’assolo di un tenore per definizione è scevro da qualsiasi dissonanza, anche la purezza della sua forma, poi, confonde la sofferenza. Più semplice forse scovarla in un duetto con il soprano destinata, da secoli di misoginia librettistica e musicale, a farsi carico dei tormenti e delle pene dell’opera intera. Ma a quel punto, scegliendo ad esempio Addio, del passato bei sogni ridenti nella splendida versione della Netrebko (https://www.youtube.com/watch?v=cSr7hh9mbyg) sarebbe emersa l’evidente contraddizione rappresentata dall’assenza di qualsiasi Tenores in scena, oltre alla secolare incongruenza di una tisica in fin di vita che canta con così tanta energia! Ho quindi scelto un brano del tutto diverso: Summertime nella versione live del 1969 di Janis Joplin https://www.youtube.com/watch?v=bn5TNqjuHiU. Questa “aria” fu scritta da George Gershwin per l'opera Porgy and Bess del 1935. Il testo è di DuBose Heyward (autore della novella che ispirò il componimento) e Ira Gershwin, ed è un inno nero che aspettava da anni una versione blues che, ironia della sorte, oltre ad essere scritto, in questa caso è anche eseguito da un’interprete bianca. Il brano in realtà fu reso eterno da Ella & Satchmo (https://www.youtube.com/watch?v=lnXLVTi_m_M), che alla vista forse incarnano meglio il duro lavoro nei campi di cotone e la figura della mommie nera che ninna il bimbo del padrone. Secondo me Janis Joplin con la sua voce acida, però, esprime ancor meglio l’armonia creata in dissonanza dalla volatile, vera cifra stilistica del vino, che diventa “graffio” nell’interpretazione musicale. Il brano risulta così potente e leggiadro in perfetta sincronia con il medesimo dualismo del vino. La chitarra in accompagnamento e in assolo ribadisce il crescendo della voce, alternando forza e morbidezza e contribuendo alla costruzione della lunga ed armonica chiusura. Il testo, semplicissimo, ricalca le note in totale accordo, replicando il contrappunto musicale con quello lirico del duro lavoro nei campi e la fragilità del bambino che piange:
Summertime, time, time,
Child, the living’s easy.
Fish are jumping out
And the cotton, Lord,
Cotton’s high, Lord, so high.
Your daddy’s rich
And your ma is so good-looking, baby.
She’s looking good now,
Hush, baby, baby, baby, baby, baby,
No, no, no, no, don’t you cry.
Don’t you cry!
One of these mornings
You’re gonna rise, rise up singing,
You’re gonna spread your wings,
Child, and take, take to the sky,
Lord, the sky.
But until that morning
Honey, n-n-nothing’s going to harm you now,
No, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no
No, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no
No, no, no, no, no, no, no, no, no,
Don’t you cry,
Cry.
Facile a questo punto finire la bottiglia con un tributo a Janis Joplin …
https://www.youtube.com/watch?v=gJhKmU9Nkv4
o, se preferite assolvere il dovere enciclopedico della conoscenza universale, con una bella spiegazione del Canto a Tenores:
https://www.youtube.com/watch?v=-h2IbeGdGd0