Dall’incontro con Pierluigi Cocchini, wine maker, è scaturita un’interessante chiacchierata sulla Tintilia di cui è stato tra i principali fautori della riscoperta e della rivalorizzazione, sfatando anche alcune “leggende”, così le chiama, che da sempre circolano su questo vitigno e sul vino che se ne produce.
Ma almeno è vero che la Tintilia è un vitigno autoctono molisano?
Sì, è il vero vitigno autoctono del Molise. Ne sentii parlare per la prima volta 23 anni fa, quando chiesi a un collega se ci fosse almeno un vitigno autoctono della regione, e mi rispose che c’era la Tintilia, ma era in via di estinzione.
L’andai a cercare nell’elenco ufficiale delle uve da vino, ma non la trovai sulle prime, perché era sotto la voce “Bovale Grande”, vitigno sardo, come sinonimo di quest’ultimo. Poco tempo dopo arrivarono dei finanziamenti in Assessorato da destinare a una sperimentazione, così decisi di investirli nella ricerca genetica della Tintilia.
Fu una collaborazione con l’Università del Molise, no?
Sì. Dopo aver individuato alcuni vigneti in aree interne della provincia di Campobasso, si procedette con l’analisi genetica di una ventina di campioni di Tintilia, che risultarono perfettamente identici tra loro e del tutto distinti non solo dal Bovale Grande, ma anche dal Bovale Sardo.
Non persi tempo, contattai subito un amico e collega a Rauscedo, dicendo “moltiplicatemi questo vitigno, ci saranno belle soddisfazioni!”, immediatamente dopo chiesi il riconoscimento della Tintilia e il suo inserimento nella DOC Molise.
Nel frattempo, alcuni produttori cominciarono a credere nel recupero di questo vitigno, a reimpiantarlo e vinificarlo. Tra i pionieri, Cipressi, Cianfagna, poi sono seguiti altri. Nel 2011 ottenemmo la denominazione, Tintilia del Molise D.O.C.
Vitigno autoctono molisano, ma di origini spagnole...
Anche questo è vero. È arrivato dalla Spagna, passando per la Sardegna, di qui la confusione con il Bovale, ma ormai è in Molise da più di 300 anni, perciò lo possiamo considerare autoctono. Indagini scientifiche hanno rivelato affinità tra la Tintilia e certi vitigni del sud della Spagna. Alle Canarie, in particolare, c’è un’uva chiamata Tintilla. Pochi, però, la vinificano in purezza, solo qualche azienda di Fuerteventura e Lanzarote. Mi hanno mandato un paio di bottiglie, ma loro utilizzano parecchia barrique, perciò voglio andare ad assaggiare la loro Tintilla prima del passaggio in legno, per capire le differenze con la nostra, anche perché lì viene da un terreno vulcanico, con clima molto più caldo.
E che destino ha incontrato la Tintilia in Molise?
Non sempre felice. Inizialmente moltiplicata per marze dai contadini delle zone interne di Campobasso, è stata pian piano abbandonata, perché poco produttiva, e poi difficile da allevare e da gestire.
Il problema della Tintilia è la cascola durante l’allegagione, cioè si distaccano gli acini nella fase iniziale della maturazione, per cui fa dei grappolini spargoli, con acini piccoli, di massimo 9 mm, poca polpa e vinaccioli grandi. Il suo vero declino cominciò negli anni ’60: dopo la bonifica delle aree di più bassa collina, molti terreni furono dati a contadini che non erano molisani, bensì abruzzesi, con i loro tendoni di Montepulciano e Trebbiano. La Tintilia non poteva competere con le alte rese e la produttività garantite da questi due vitigni.
Ancora oggi, nonostante il tanto lavoro e il tanto impegno per il recupero e la rivalorizzazione di quest’uva, del vino che produce, del territorio da cui nasce, ci sono appena 100 ettari scarsi di Tintilia in tutto il Molise.
In realtà, io ho trovato una soluzione per renderla più produttiva: con la potatura verde si possono eliminare i germogli più aggressivi e limitare la cascola, ma non lo faccio, perchè cala la qualità, vengono fuori dei grappoloni grossi, tra l’altro soggetti a rischio di muffe.
Credo che ora inizino le leggende. La Tintilia è un’uva tintoria?
Sì, nel senso che è una leggenda. L’equivoco viene dall’etimologia del nome, dallo spagnolo “tinto”, che però significa “rosso” e non “che tinge”.
Ma la polpa non è colorata?
No, la polpa della Tintilia è chiara, può esserci una certa tendenza alla trasmigrazione degli antociani dalla buccia alla polpa, ma solo quando è molto matura.
E quei vini da Tintilia dal colore così intenso?
Dunque, il colore di una Tintilia in purezza non solo non è così intenso ma, già dopo un anno, cede e diventa granato. Solo che alcuni, come già in passato, giocano sull’idea di Tintilia-tintoria, vino “tinto che tinge” e allora, per compattare il colore, usano un po’ di Merlot.
Già ai tempi della sperimentazione, quando andavo per i pochi vigneti rimasti, in mezzo alla Tintilia, trovavo ogni tanto qualche pianta di Montepulciano, e i contadini mi spiegavano: “sa dotto’, serve per il colore”.
E poi, la Tintilia non è fruttata, i sentori dominanti sono lo speziato e il floreale. Quando trovi una Tintilia dal colore e dal fruttato intensi, allora c’è il Merlot.
Un’altra leggenda riguarda la struttura: non è un vino “ciccione”, la sua tendenza è essere elegante e sottile. Però, attenzione, ha un bel corredo tannico e acidità, perciò, pure qua, usano Merlot per arrotondare il tutto.
Ovviamente sto parlando di Tintilia del Molise D.O.C. delle zone più vocate, ad alta o altissima quota. Il disciplinare fissa un minimo di 200 m s.l.m., che per me è un po’ basso per la Tintilia, ma c’è chi la produce là e anche un po’ più sotto, rimanendo fuori dalla denominazione. Qui, sì, il clima è più caldo, si possono trovare dei Tintilia più strutturati, con un sottofondo di prugna, tipo quella della California, caratteristiche che non trovi, o non dovresti trovare, nelle zone fredde e molto più elevate. Io lavoro su vigneti tra i 500 e gli 800 m d’altitudine.
Alcuni Tintilia fanno legno, che ne pensa?
Male, perché il legno per la Tintilia è devastante, la copre. La soluzione migliore è affinamento in bottiglia per 2 o 3 anni.
Veniamo a VINICA e al suo lavoro per questa azienda.
L’azienda nasce per volontà e passione del dottor Rodolfo Gianserra, odontoiatra che ha vissuto e lavorato a lungo anche negli Stati Uniti. Nel 2008 decide di tornare nella regione natia, il Molise, acquista un appezzamento di 220 ettari a Ripamolisani (CB), e inizia a produrre vino, olio e ortaggi. Attualmente, i vigneti coprono 22 ettari e, come dicevo, sono distribuiti tra i 500 e gli 800 metri di altezza. Sceglie me come tecnico dell’azienda, e siamo subito in sintonia sulla produzione con metodo biologico, per il quale avremo il certificato quest’anno, e sull’utilizzo dei tappi a vite.
Mi pare di capire che c’è un nesso tra queste scelte.
Certo. La premessa fondamentale è avere sempre un’uva sana e matura. Lascio partire la fermentazione spontaneamente, solo con lieviti indigeni, quelli selezionati sono troppo aggressivi, senza controllo delle temperature, non faccio aggiunte né correzioni, non filtro. La solforosa la utilizzo, ma pochissima: la quantità totale nei vini, sia rossi sia bianchi, va tra i 35 e i 50 mg/litro. Ciò significa che devo trovare il modo per evitare l’ossidazione, e il tappo a vite sigilla totalmente, non fa entrare altro ossigeno oltre a quello già presente.
Come incide tutto questo sulla vita dei vini?
L’affinamento in bottiglia con il tappo a vite richiede tempi di evoluzione più lunghi. Il vino evolve molto lentamente, ma resta integro. Anche la Tintilia che, come dicevo, è tannica e di spiccata acidità, con questa tecnica trova un perfetto equilibrio, conservando freschezza e fragranza aromatica.
Ultimamente in Molise si sta lavorando anche per il recupero di altri vitigni tradizionali a bacca bianca…
Abbiamo da poco etichettato il passito La Nuvola del Piè, 70% Moscato di Montagano e 30% Riesling Renano, ottenuto con appassimento su graticci. Solo 198 bottiglie da 0,500. Però una parte del Moscato di Montagano del 2014 è ancora in cisterna, e prossimamente uscirà in purezza.
Per quanto riguarda il Campanino, sono quasi certo che si tratti di una varietà di Bombino Bianco, ha il grappolo più piccolo ma, come il Bombino, può essere una buona base spumante. Sono in fase di sperimentazione, ho fatto qualche bottiglia di prova di spumantizzazione con metodo classico. Staremo a vedere ma, come è già accaduto con la Tintilia, sono molto ottimista.