Barolo Otin Fiorin Piè Rupestris
La cantina Cappellano e la storia del notaio
Pubblicato il 01/12/2016
La storia della cantina Cappellano ha antiche origini con un album ricco di avvenimenti che posa le proprie fondamenta lungo tutta la storia del Barolo. Tutto iniziò con il notaio Filippo Cappellano, ricco possidente con la passione per il vino, che a quarantotto anni fondò l’azienda che, all’epoca, contava di circa sessanta ettari di terreno coltivabile.
Fu il figlio Giovanni, enologo, che dopo la sua morte, proseguì nella conduzione dell’azienda, ristrutturando la cantina e realizzando due impianti alberghieri ad Alba e Serralunga, muniti dei migliori servizi per soddisfare il turismo ligure-piemontese. A Serralunga ideò la famosa “cura dell’uva”, istituendo un servizio di carrozze per il collegamento con la stazione ferroviaria di Alba.
Fu il figlio Giovanni, enologo, che dopo la sua morte, proseguì nella conduzione dell’azienda, ristrutturando la cantina e realizzando due impianti alberghieri ad Alba e Serralunga, muniti dei migliori servizi per soddisfare il turismo ligure-piemontese. A Serralunga ideò la famosa “cura dell’uva”, istituendo un servizio di carrozze per il collegamento con la stazione ferroviaria di Alba.
Non solo, durante l’esposizione Universale di Parigi, la stessa in cui fu eretta la Tour Eiffel per commemorare il centenario della Rivoluzione Francese, la cantina Cappellano vinse la medaglia di bronzo; più avanti e parallelamente Giuseppe, fratello di Giovanni, laureato in farmacia, scelse la strada industriale vinicolo–farmaceutica dove inventò il Barolo Chinato.
Purtroppo l’avventura da industriale di Giuseppe durò poco: nel 1912 suo fratello Giovanni morì, colpito da una febbre tropicale contratta in Tunisia, dove si era recato per cercare un vitigno resistente alla fillossera, e Giuseppe scelse pertanto di occuparsi di vino e dell’azienda di famiglia.
Purtroppo l’avventura da industriale di Giuseppe durò poco: nel 1912 suo fratello Giovanni morì, colpito da una febbre tropicale contratta in Tunisia, dove si era recato per cercare un vitigno resistente alla fillossera, e Giuseppe scelse pertanto di occuparsi di vino e dell’azienda di famiglia.
Francesco Augusto Cappellano, anch’egli enologo, proseguì la strada tracciata dai suoi avi, lasciando il testimone al figlio Teobaldo, sul finire degli anni ’60.
Dopo un’infanzia trascorsa in Eritrea, Teobaldo prese il timone dell’azienda modificandola completamente: dimensioni ben più ristrette e massima attenzione alla qualità, secondo direttrici chiare.
Le Langhe di quegli anni, ben lungi dall'attuale riconoscimento, erano terra difficile che Teobaldo s’impegnò a promuovere e difendere attraverso un'attiva e instancabile partecipazione al Consorzio del Barolo e Barbaresco e come presidente dell'Enoteca Regionale del Barolo. Al contempo, la recente fama e le difficoltà economiche di chi produceva vino rendevano troppo allettanti le incursioni di un approccio industriale alla viticoltura. Teobaldo fu tra i primi ad affermare la necessità di un ripensamento della produzione, ritrovando l'armonia con le radici del lavoro contadino e assumendo la responsabilità di una tutela ambientale. D'altro canto l'orientamento alla qualità imponeva un’attenzione al Barolo Chinato, che negli anni Sessanta stava conoscendo un momento sfortunato a causa del proliferare di nuovi concorrenti di scarsa fattura. Teobaldo continuò puntigliosamente a credere nella ricetta scritta dallo zio Giuseppe, ricevuta dal padre Francesco in busta chiusa e sigillata. Con la delicatezza e la perseveranza che gli erano propri, combatté i pregiudizi che avevano investito il Barolo Chinato.
Dopo anni di lotte riuscì nel suo intento, riportando l’elisir al prestigio che gli spetta di diritto e che ora vanta; custodendo gelosamente, sia nel periodo difficile che in quello fortunato, la ricetta dell’avo e difendendone l’artigianalità.
Dopo un’infanzia trascorsa in Eritrea, Teobaldo prese il timone dell’azienda modificandola completamente: dimensioni ben più ristrette e massima attenzione alla qualità, secondo direttrici chiare.
Le Langhe di quegli anni, ben lungi dall'attuale riconoscimento, erano terra difficile che Teobaldo s’impegnò a promuovere e difendere attraverso un'attiva e instancabile partecipazione al Consorzio del Barolo e Barbaresco e come presidente dell'Enoteca Regionale del Barolo. Al contempo, la recente fama e le difficoltà economiche di chi produceva vino rendevano troppo allettanti le incursioni di un approccio industriale alla viticoltura. Teobaldo fu tra i primi ad affermare la necessità di un ripensamento della produzione, ritrovando l'armonia con le radici del lavoro contadino e assumendo la responsabilità di una tutela ambientale. D'altro canto l'orientamento alla qualità imponeva un’attenzione al Barolo Chinato, che negli anni Sessanta stava conoscendo un momento sfortunato a causa del proliferare di nuovi concorrenti di scarsa fattura. Teobaldo continuò puntigliosamente a credere nella ricetta scritta dallo zio Giuseppe, ricevuta dal padre Francesco in busta chiusa e sigillata. Con la delicatezza e la perseveranza che gli erano propri, combatté i pregiudizi che avevano investito il Barolo Chinato.
Dopo anni di lotte riuscì nel suo intento, riportando l’elisir al prestigio che gli spetta di diritto e che ora vanta; custodendo gelosamente, sia nel periodo difficile che in quello fortunato, la ricetta dell’avo e difendendone l’artigianalità.
L’azienda non vede però elevata qualità esclusivamente nel Barolo Chinato, al contrario l’intera produzione vanta di riconoscimenti e apprezzamenti in tutto il mondo. Non è un caso che le vigne del Barolo Otin Fiorin Piè Rupestris provengano dal vigneto Gabutti di Serralunga d’Alba, considerato uno dei crus di maggiore pregio dell’intera zona del Barolo. Si trova nel cuore di un territorio straordinariamente vocato per la coltivazione del Nebbiolo.
L’annata 2011 mostra un calice rubino dal bordo lievemente granato. Il naso è dapprima timido e sembra esprimere solo frutta rossa matura come ciliegia e fragola; basta meno di un minuto per iniziare ad avere rinfrescanti note balsamiche e spezie dolci, sottobosco e una continua sensazione floreale di viola. Il sorso è pieno, di buona sapidità; colpiscono l’integrità e la possanza del tannino che sono mitigate dalla concentrazione del sorso; il finale è lungo e notevolmente coerente.
L’annata 2011 mostra un calice rubino dal bordo lievemente granato. Il naso è dapprima timido e sembra esprimere solo frutta rossa matura come ciliegia e fragola; basta meno di un minuto per iniziare ad avere rinfrescanti note balsamiche e spezie dolci, sottobosco e una continua sensazione floreale di viola. Il sorso è pieno, di buona sapidità; colpiscono l’integrità e la possanza del tannino che sono mitigate dalla concentrazione del sorso; il finale è lungo e notevolmente coerente.
CAPPELLANO
Via Alba, 13
12050 Serralunga d'Alba (CN)
www.cappellano1870.it
Via Alba, 13
12050 Serralunga d'Alba (CN)
www.cappellano1870.it