Naturale ma non troppo
Degustatori di vino o leoni da tastiera?
Pubblicato il 01/12/2016
Recentemente si sono aperti innumerevoli astiosi filoni di discussione “social” (ma tutt’altro che “sociable”, per dirla in inglese), sulla sempre aperta e di gran moda questione dei vini “naturali”. La questione che si dibatteva era in merito alla presenza di odori anomali nel vino, di puzze o sentori sgradevoli, e traeva in un caso spunto da un articolo del prof. Luigi Moio (ordinario di Scienze e tecnologie alimentari, Dipartimento di Agraria, Università Federico II di Napoli) sul fatto che le puzze e gli odori sgradevoli del vino non sono tipicità, ma omologano i vini rendendoli tutti uguali. Il ragionamento del prof. Moio è solidamente logico, le puzze proprio perchè sono sgradevoli risultano dominanti sui sentori tipici del vino, sui marcatori del territorio, rendendoli così indistinguibili, e l’effetto di questi sentori sgradevoli è tanto maggiore quanto meno aromatico è il vitigno che viene vinificato; ad esempio il sentore di Brettanomyces è esemplificativo, essendo un chiaro indicatore di sporcizia o poca igiene in cantina, quindi di poca cura, benché sia accettato in alcuni paesi come la Francia (ma all’estero anche il bidet è sconosciuto...).
A questo punto gli strenui difensori del “naturale” affondano il loro colpo vincente (ma fin troppo prevedibile) affermando che anche l’eccesso di barrique omologa i vini; già, vero, peccato che la barrique non sia però un odore sgradevole, e faccia parte del corredo olfattivo che in alcuni casi è proprio (al di là degli eccessi, che non sono mai desiderati e positivi) delle tecniche di produzione che fanno parte di tradizioni territoriali da centinaia di anni. La discussione si fa quindi più accesa e si passa immediatamente alla “troppa chimica nel vino”, all’industrializzazione contro l’artigianato del vino (memorabile fu l’intervista a Edoardo Valentini, che peraltro creava semplicemente un distinguo tra due tipi di produzione diversa), e da lì il passo è breve a cimentarsi in argomentazioni su gli effetti del vino e della chimica sulla salute fino ad arrivare (non aspettavo altro) alla parolina magica “la scienza ufficiale”.
Da uomo che ha lavorato nella ricerca scientifica per una quindicina d’anni, questo è un campanello d’allarme; parlare di scienza “ufficiale” come se esistesse dall’altra parte una scienza “informale” o “ufficiosa”, significa una cosa sola: la disinformazione ha vinto. La voglia di risposte semplici, definitive, ci piace. Se vedendo i crateri della luna li si spiegasse a un bimbo dicendo che è fatta di formaggio, senza dubbio si catturerebbe la sua attenzione, e il bimbo ci crederebbe. La realtà è ben altra, e la scienza non da risposte facili e comprensibili a tutti, ma è indubbiamente più facile catturare l’attenzione delle folle con teorie “new age” e facili da comprendere e da divulgare, piuttosto che avere fiducia negli uomini della scienza; basti pensare a quanto ci si lascia abbindolare da teorie complottiste su scie chimiche, terremoti e altro.
Fu proprio il prof. Moio a stimolare un approfondimento, con un suo brillante intervento, dopo aver tirato le orecchie al sottoscritto in diretta durante una degustazione a Vinitaly; furono sufficienti pochi suoi ragionamenti per capire che la pulizia al naso e la perfezione stilistica non omologano assolutamente i vini; semplicemente è più facile giustificare con le parole “carattere”, “personalità”, “territorio” quelli che in realtà sono difetti, piuttosto che continuare ad allenare il proprio naso e palato di degustatori a percepire sfumature di bouquet sempre più fini e delicate, perché unicamente queste possono condurre con precisione all’identificazione del territorio e dell’annata.
Così da una critica nacque uno sprone, per applicarsi e studiare, per degustare e visitare, per non sentirsi mai arrivati e continuare a sfidare i propri sensi, per ascoltare il proprio naso e palato, per analizzare in profondità e con il tempo le sensazioni, per migliorarsi come degustatori in definitiva.
Fu proprio il prof. Moio a stimolare un approfondimento, con un suo brillante intervento, dopo aver tirato le orecchie al sottoscritto in diretta durante una degustazione a Vinitaly; furono sufficienti pochi suoi ragionamenti per capire che la pulizia al naso e la perfezione stilistica non omologano assolutamente i vini; semplicemente è più facile giustificare con le parole “carattere”, “personalità”, “territorio” quelli che in realtà sono difetti, piuttosto che continuare ad allenare il proprio naso e palato di degustatori a percepire sfumature di bouquet sempre più fini e delicate, perché unicamente queste possono condurre con precisione all’identificazione del territorio e dell’annata.
Così da una critica nacque uno sprone, per applicarsi e studiare, per degustare e visitare, per non sentirsi mai arrivati e continuare a sfidare i propri sensi, per ascoltare il proprio naso e palato, per analizzare in profondità e con il tempo le sensazioni, per migliorarsi come degustatori in definitiva.
Ma c’è chi preferisce semplificare e rimanere un leone seduto comodo dietro una tastiera.