A Roma, Nicolas Joly, il Signore della Biodinamica
Il discepolo di Rudolf Steiner ha presenziato il primo di una serie di incontri sull’universo della biodinamica. Un evento straordinario, catalizzante. Per chi non c’era, cronaca ed emozioni qui raccontate da due voci ispirate e sensibili.
Pubblicato il 31/01/2017
UN DIRETTORE D’ORCHESTRA TRA TERRA E CIELO
Immaginate un’orchestra dove i fiati sono il vento, il ronzio delle api i violini, gli zoccoli dei cavalli le percussioni. Gli orchestrali le viti su un palcoscenico di erbe officinali, timo e rosmarino, camomilla e ortica. Poi immaginate che a dirigere l’impasto sinfonico di note ancestrali ci sia un uomo capace di creare sonorità che catturano e affascinano sempre più persone portandole a intonare un canto nuovo.
Bene, tutto questo è Nicolas Joly, il portavoce mondiale della biodinamica in viticoltura, l’uomo, o meglio il “direttore d’orchestra tra terra e cielo” che sul suo biglietto da visita ha fatto scrivere “assistente della natura e non produttore di vino”. Il vignaiolo francese che ha regalato al mondo del vino il celebre Clos de la Coulée de Serrant e ha portato la sua musica, la biodinamica appunto, a trovare sempre più estimatori.
Non è facile descriverlo, così come è difficoltoso imparare a leggere la complessa partitura della biodinamica, disciplina ispirata ai principi elaborati agli inizi del ’900 da Rudolph Steiner, filosofo, pedagogista, esoterista, artista, riformista sociale austriaco e fondatore dell’antroposofia, spiegarla e far ricredere anche i più scettici in merito agli effetti incredibili che può avere sulla coltivazione delle viti. Effetti che scopriamo poi, inattesi e sorprendenti, nel calice di vino. Ma dopo aver sentito parlare Nicolas Joly tutto torna. E capisci che può proprio “funzionare”, e non farci solo sorridere, quel metodo che utilizza “corno letame” per incentivare le correnti di energia provenienti dalla terra e “corno silice” per favorire quelle originate dal cosmo.
Non è facile descriverlo, così come è difficoltoso imparare a leggere la complessa partitura della biodinamica, disciplina ispirata ai principi elaborati agli inizi del ’900 da Rudolph Steiner, filosofo, pedagogista, esoterista, artista, riformista sociale austriaco e fondatore dell’antroposofia, spiegarla e far ricredere anche i più scettici in merito agli effetti incredibili che può avere sulla coltivazione delle viti. Effetti che scopriamo poi, inattesi e sorprendenti, nel calice di vino. Ma dopo aver sentito parlare Nicolas Joly tutto torna. E capisci che può proprio “funzionare”, e non farci solo sorridere, quel metodo che utilizza “corno letame” per incentivare le correnti di energia provenienti dalla terra e “corno silice” per favorire quelle originate dal cosmo.
Per questo, incontrarlo in casa della Fondazione Italiana Sommelier a Roma, mentre inaugura il ciclo di incontri sulla biodinamica, fortemente voluto e sapientemente condotto da Daniela Scrobogna, cambia la visione d’insieme del mondo vitivinicolo e insegna ad aprire l’orecchio all’ascolto di quelle nuove sonorità. Fortunato chi era presente, illuminato chi ha avuto il privilegio di ascoltarlo. Difficile sottrarsi al suo indiscutibile carisma e non rimanere contagiati dal suo entusiasmo verso i precetti steineriani. Nicolas Joly è un impasto di genio e sregolatezza, ma non va mai sopra le righe, un concentrato di potenza che si ritrova poi nei suoi vini. Che, ça va sans dire, gli somigliano.
Il “palcoscenico” di Joly è a Savennières, la cui “appellation”, appena una decina di chilometri che si dipanano lungo il corso della Loira, ha conquistato il mondo del vino proprio grazie alle sue etichette, tant’è che il Clos de la Coulée de Serrant ha “incassato” nel 2011, insieme alla AOC Savennières Roche aux Moines, una denominazione tutta sua.
Qui, sui ripidi pendii che guardano al fiume, nel XII secolo i monaci cistercensi piantarono il vigneto della Coulée de Serrant. Ancora oggi c’è un piccolo monastero dove a poche centinaia di metri era costruito il castello della Roche aux Moines poi smantellato durante le guerre di religione. Un luogo di grande fascino di appena sette ettari che vanta vigne di Chenin Blanc tra i 35 e gli 80 anni esposte verso sud/sud-est su un suolo di scisti. Un vigneto curato rigorosamente a mano e con l’utilizzo del cavallo, proprio per la sua forte pendenza, dove dal 1984 a scandire tempi e modalità di coltivazione è l’agricoltura biodinamica.
A spingere Joly verso questa disciplina fu la necessità di fermare il rapido declino della qualità del vigneto acquistato alla fine degli anni Settanta, fino ad allora gestito con metodi convenzionali. Folgorato dagli scritti di Steiner scoperti quasi per caso, iniziò ad abbandonare l’impiego di diserbanti che, racconta, “uccidono i microrganismi del suolo impedendo alla vigna di nutrirsi” e ad abiurare concimi chimici che, tentando di rigenerare quella vita andata distrutta, avvelenano la linfa delle piante. Un nuovo approccio che lo portò a utilizzare in vigna solo rame e zolfo vulcanico per curare le piante, un compost a base di piante officinali e letame bovino versato nel corno della vacca per nutrirle. Un concentrato di energia vitale potentissimo per ripristinare “l’equilibrio della natura” andato perduto.
“La qualità del luogo è come la qualità di uno strumento – ha spiegato – il terreno è infatti uno Stradivari perfetto, ma tutto dipende da come lo suonate. Quando spieghiamo cosa sia la biodinamica dobbiamo parlare di forze, di quei processi che hanno permesso alla materia di venire alla luce. La forza di gravità da un lato e l’attrazione solare dall’altro. Dobbiamo quindi immaginare i preparati della biodinamica come numeri di telefono tra il sistema solare e la terra. Uno strumento in grado di ristabilire il flusso di informazioni alterato dalle interferenze che l’uomo ha prodotto. Ecco perché è essenziale utilizzare il corno di vacca per dare fertilità alla terra. La vacca è infatti un animale legato al sistema solare attraverso le sue corna, un animale con una grande forza digestiva che riceve gigantesche onde cosmiche per digerire. Il letame versato nel corno della vacca e poi sotterrato per l’intero inverno nutre il terreno più di qualsiasi fertilizzante chimico”. E vogliamo parlare della fotosintesi? È un miracolo, aggiunge “è favolosa la capacità della pianta di catturare l’energia solare e siderale. Per questo se vogliamo che le peculiarità di un vitigno si esprimano, dobbiamo accompagnare questo processo e smetterla di avvelenare il suolo e la linfa”.
Un invasato, potrebbe dire qualcuno ascoltando queste parole. Un visionario, quando afferma che se si asseconda il ritmo della natura si può anche fare a meno dell’enologo, o che i lieviti aggiunti non servono se la vigna non è stata “uccisa” dalla chimica. Un folle quanto dice che una volta pigiata l’uva e messa in barrique (rigorosamente mai nuove) puoi anche “andare in vacanza perché il succo d’uva ha tutte le informazioni per sapere come comportarsi, se svolgere la malolattica o se la fermentazione deve essere lenta”. Un rivoluzionario pericoloso quando racconta che “la biodinamica avvicina al mondo segreto e invisibile. Agli spiriti elementari”.
Rimane il fatto che i suoi vini sono apprezzati e ricercati in tutto il mondo, generano emozioni e sono la rappresentazione tangibile della concretezza e del successo delle sue teorie.
(E.M.)
LA DEGUSTAZIONE
Quando si assaggiano i vini di Nicolas Joly dobbiamo partire ad un principio: mai fermarsi a una prima valutazione. Perché i suoi vini mutano costantemente con il passare dei minuti e delle ore. E forse definire la Coulée de Serrant un “vino da meditazione” non sarebbe poi così azzardato.
Clos de la Coulée de Serrant 2010
Giallo dorato intenso e luminoso con toni ambrati. Un naso inizialmente serrato, fatto di fungo e sottobosco che poi si svela con note di albicocca, lavanda e timo. Erbe aromatiche. Un assaggio ricco e appagante, accompagnato da un’onda acida che non ti molla e si staglia su richiami di albicocca, erbe aromatiche, zenzero, accenni di senape. Persistenza lunghissima. Un vino tridimensionale.
Giallo dorato intenso e luminoso con toni ambrati. Un naso inizialmente serrato, fatto di fungo e sottobosco che poi si svela con note di albicocca, lavanda e timo. Erbe aromatiche. Un assaggio ricco e appagante, accompagnato da un’onda acida che non ti molla e si staglia su richiami di albicocca, erbe aromatiche, zenzero, accenni di senape. Persistenza lunghissima. Un vino tridimensionale.
Clos de la Coulée de Serrant 2011
Giallo dorato brillante. Naso intenso, generoso. Un soffio di botritis, fiori bianchi appena accennati, caramella d’orzo, miele, accenni di frutto esotico. Mineralità inizialmente timida, soffusa, che poi si mostra con maggiore intensità. In bocca il vino decolla con una grande freschezza che porta verso la sapidità. Zafferano, miele, erbe aromatiche. Elegante, persistente e appagante.
Giallo dorato brillante. Naso intenso, generoso. Un soffio di botritis, fiori bianchi appena accennati, caramella d’orzo, miele, accenni di frutto esotico. Mineralità inizialmente timida, soffusa, che poi si mostra con maggiore intensità. In bocca il vino decolla con una grande freschezza che porta verso la sapidità. Zafferano, miele, erbe aromatiche. Elegante, persistente e appagante.
Clos de la Coulée de Serrant 2012
Giovanissimo, ma come le altre annate in degustazione si veste già di un giallo dorato intenso e luminoso. Al naso le sensazioni aromatiche evolvono minuto dopo minuto. Accenni di ginestra, acacia, fiori d’arancio e pesca. Litchi e agrume candito. Bocca sferzante ma in equilibrio tra acidità e sapidità. Ritorno di erbe aromatiche. Promettente.
Giovanissimo, ma come le altre annate in degustazione si veste già di un giallo dorato intenso e luminoso. Al naso le sensazioni aromatiche evolvono minuto dopo minuto. Accenni di ginestra, acacia, fiori d’arancio e pesca. Litchi e agrume candito. Bocca sferzante ma in equilibrio tra acidità e sapidità. Ritorno di erbe aromatiche. Promettente.
Le Vieux Clos 2011
Giallo brillante. Al naso erbe aromatiche, spezie, si percepiscono accenni di zenzero, zafferano, mela cotogna, caramella d’orzo. In bocca l’ingresso è morbio sapido ma poi svela una grande freschezza. Ritornano miele, zafferano e zenzero candito. Una bocca completa con una vivacità di assaggio affascinante nonostante i suoi 15°.
Giallo brillante. Al naso erbe aromatiche, spezie, si percepiscono accenni di zenzero, zafferano, mela cotogna, caramella d’orzo. In bocca l’ingresso è morbio sapido ma poi svela una grande freschezza. Ritornano miele, zafferano e zenzero candito. Una bocca completa con una vivacità di assaggio affascinante nonostante i suoi 15°.
Le Vieux Clos 2012
Giallo intenso. Luminoso. Naso più nascosto, erbe aromatiche soffuse mentre le note di mela cotogna si fanno più evidenti rispetto al 2011. All’assaggio si svela rotondo, morbido, nonostante una buona acidità.
Giallo intenso. Luminoso. Naso più nascosto, erbe aromatiche soffuse mentre le note di mela cotogna si fanno più evidenti rispetto al 2011. All’assaggio si svela rotondo, morbido, nonostante una buona acidità.
(E.M.)
LA BIODINAMICA E IL SENSO DELLA VITA
“L’amore, l’attenzione e la cura, donate in modo naturale, costante e diligente… questi i primi e insostituibili ingredienti per ottenere una terra non malata, che garantisca frutti sani e di qualità. Si può arrivare all’optimum della fertilità, e ovviamente ad un vino di qualità, con una terra addomesticata, non domata, e la qualità dei suoi frutti dipende dal modo in cui la si tratta e la si considera, e il domani sarà un’agricoltura durevole. Una vite in armonia con il proprio ambiente naturale produce un grappolo più complesso, e dunque un vino sicuramente interessante e originale. Tutto ciò si può ottenere con l’applicazione dei principi della biodinamica”.
Leggere queste parole ormai capita sovente e aumenta sempre più l’interesse e il desiderio di approfondire l’argomento.
Proprio interpretando questo desiderio, la Fondazione Italiana Sommelier ha organizzato a Roma cinque incontri a tema raccolti in quello che resterà nei ricordi un corso di scienza nuova, un evento culturale e un percorso filosofico.
Nicolas Joly, produttore francese fra i massimi esponenti al mondo della Biodinamica, presidente dell’Associazione Renaissance du Terroir e autore di vari libri sul tema, ha letteralmente rapito la platea con i suoi argomenti e con il suo modo semplice e incisivo di trattarli.
Il concetto da cui è partito nella sua esposizione è stato quello della garanzia dell’originalità di un gusto: quanto sia importante capire che una certa pianta trova il suo habitat in un certo territorio, e del tutto naturalmente, è lì che deve crescere e fortificarsi, con la sua linfa che cattura il clima e con le radici che si nutrono della terra.
Il discepolo di Rudolf Stainer, padre della Biodinamica, ha illustrato come nel tempo tale processo sia stato deviato dall’avvelenamento dei suoli per via di diserbanti e concimi in una sorta di circolo vizioso e innaturale che intossica la pianta, rendendola incapace di produrre un’uva con profumi, gusto e struttura. Ecco dunque necessario l’intervento in cantina, una manipolazione fatta di lieviti geneticamente modificati, di trattamenti, di alterazioni che condurranno a un vino totalmente avulso dal terroir di provenienza, per niente originale e neanche salutare.
La Commissione di assaggio, per poter accettare un siffatto vino, deve basarsi sul sistema della valutazione dei vari aspetti, deve “tagliare il vino in tante parti” e dire che alla vista si presenta in un certo modo, che l’olfatto ha determinate sfumature, e che al gusto dona certe sensazioni. Ma “un tout est plus que les elements qui le constituent” e per comprendere un vino bisogna valutarlo nella sua globalità, gli elementi staccati non ne dimostrano la verità né la bontà. Sarebbe come se si valutasse la bellezza di una persona in base alla circonferenza del cranio o al colore dei capelli o alla lunghezza del naso. La vita è un insieme, tutte le componenti hanno una funzione e un peso. I vini biodinamici possono avere un colore non vivace o presenza di sedimenti, profumi non subito piacevoli e acidità molto accentuata, ma, valutati nella loro globalità, a volte anche con le loro imperfezioni, sono sicuramente emozionali, originali, salutari, naturali e mai standardizzati.
Proprio interpretando questo desiderio, la Fondazione Italiana Sommelier ha organizzato a Roma cinque incontri a tema raccolti in quello che resterà nei ricordi un corso di scienza nuova, un evento culturale e un percorso filosofico.
Nicolas Joly, produttore francese fra i massimi esponenti al mondo della Biodinamica, presidente dell’Associazione Renaissance du Terroir e autore di vari libri sul tema, ha letteralmente rapito la platea con i suoi argomenti e con il suo modo semplice e incisivo di trattarli.
Il concetto da cui è partito nella sua esposizione è stato quello della garanzia dell’originalità di un gusto: quanto sia importante capire che una certa pianta trova il suo habitat in un certo territorio, e del tutto naturalmente, è lì che deve crescere e fortificarsi, con la sua linfa che cattura il clima e con le radici che si nutrono della terra.
Il discepolo di Rudolf Stainer, padre della Biodinamica, ha illustrato come nel tempo tale processo sia stato deviato dall’avvelenamento dei suoli per via di diserbanti e concimi in una sorta di circolo vizioso e innaturale che intossica la pianta, rendendola incapace di produrre un’uva con profumi, gusto e struttura. Ecco dunque necessario l’intervento in cantina, una manipolazione fatta di lieviti geneticamente modificati, di trattamenti, di alterazioni che condurranno a un vino totalmente avulso dal terroir di provenienza, per niente originale e neanche salutare.
La Commissione di assaggio, per poter accettare un siffatto vino, deve basarsi sul sistema della valutazione dei vari aspetti, deve “tagliare il vino in tante parti” e dire che alla vista si presenta in un certo modo, che l’olfatto ha determinate sfumature, e che al gusto dona certe sensazioni. Ma “un tout est plus que les elements qui le constituent” e per comprendere un vino bisogna valutarlo nella sua globalità, gli elementi staccati non ne dimostrano la verità né la bontà. Sarebbe come se si valutasse la bellezza di una persona in base alla circonferenza del cranio o al colore dei capelli o alla lunghezza del naso. La vita è un insieme, tutte le componenti hanno una funzione e un peso. I vini biodinamici possono avere un colore non vivace o presenza di sedimenti, profumi non subito piacevoli e acidità molto accentuata, ma, valutati nella loro globalità, a volte anche con le loro imperfezioni, sono sicuramente emozionali, originali, salutari, naturali e mai standardizzati.
Le leggi della Biodinamica, ha sottolineato Nicolas Joly, sono leggi universali, che si possono applicare alla salute della pianta e a quella dell’uomo agendo sulle energie, sulle forze. La prima forza è la gravità, e il suo opposto è l’attrazione solare; i recettori terrestri, quali piante, animali e materie che possiedono forza vitale, vanno sfruttate per far sì che la natura sia libera di esprimersi.
I preparati biodinamici rendono materiali quelle forze che fanno vivere il suolo, aiutando la fotosintesi: in tal modo la luce e il calore diventano materia, pianta, uva e vino. Favoriscono lo sviluppo dell’apparato radicale, perché si espanda il più possibile anche in profondità, e permetta un nutrimento della pianta che diverrà forte e vigorosa.
Per esempio, il corno letame è considerato tra i principali trattamenti della biodinamica. La ricetta è di dominio pubblico ma si tratta comunque di un’operazione impegnativa che richiede una cura che dura tutto l’anno e deve seguire una pratica rigorosa. Se eseguito nel modo corretto, darà risultati sorprendenti. Anno dopo anno, la pianta troverà una crescita naturale e florida.
Se tutti i “gesti agricoli” saranno svolti correttamente, il lavoro in cantina diventerà di conseguenza semplice e sereno: “È sul terreno, tra le sue viti, che il vignaiolo fa il vino” sostiene Monsieur Joly - e l’intervento in cantina si limita così a qualche operazione, tipo la sfecciatura, solo se necessaria, perché la vinificazione non deve essere considerata come la correzione delle mancanze e degli errori commessi in vigna, ma come l’elevazione dei prodotti arrivati sani e naturali dalla vigna.
I preparati biodinamici rendono materiali quelle forze che fanno vivere il suolo, aiutando la fotosintesi: in tal modo la luce e il calore diventano materia, pianta, uva e vino. Favoriscono lo sviluppo dell’apparato radicale, perché si espanda il più possibile anche in profondità, e permetta un nutrimento della pianta che diverrà forte e vigorosa.
Per esempio, il corno letame è considerato tra i principali trattamenti della biodinamica. La ricetta è di dominio pubblico ma si tratta comunque di un’operazione impegnativa che richiede una cura che dura tutto l’anno e deve seguire una pratica rigorosa. Se eseguito nel modo corretto, darà risultati sorprendenti. Anno dopo anno, la pianta troverà una crescita naturale e florida.
Se tutti i “gesti agricoli” saranno svolti correttamente, il lavoro in cantina diventerà di conseguenza semplice e sereno: “È sul terreno, tra le sue viti, che il vignaiolo fa il vino” sostiene Monsieur Joly - e l’intervento in cantina si limita così a qualche operazione, tipo la sfecciatura, solo se necessaria, perché la vinificazione non deve essere considerata come la correzione delle mancanze e degli errori commessi in vigna, ma come l’elevazione dei prodotti arrivati sani e naturali dalla vigna.
Dalle sue vigne a Savennières coltivate a Chenin Blanc Nicolas Joly ha portato con sé qualche bottiglia del suo “La Coulée de Serrant”, di varie annate. La degustazione è stata di quelle che non si dimenticano, di quelle che restano impresse nell’anima, di quelle in cui ogni sorso tocca mille corde sensibili, di quelle che ti aprono la mente.
In un’altalena surreale i cui colori vanno dal giallo oro al topazio, gli aromi dallo zenzero allo zafferano alla senape, i sentori dalla frutta ai fiori al muschio, freschi, di esemplare nitore, finché felice comprendi profondamente perché questi vini sono grandi, grandissimi.
Nicolas Joly si è accomiatato così, con le parole del suo maestro Rudolf Stainer: “Dobbiamo imbottigliare le vere ricchezze della terra; dobbiamo ritornare alla comprensione delle leggi della vita, dobbiamo seminare il futuro in un universo in cui la natura sia libera di esprimersi e i vini possano essere ciò che sono, e non ciò che il produttore vuole che siano. Solo in tal modo l’Ambiente si manifesterà nella sua realtà e mostrerà il suo vero significato, perché “il senso della vita è dare senso alla vita”. (B.P.)
In un’altalena surreale i cui colori vanno dal giallo oro al topazio, gli aromi dallo zenzero allo zafferano alla senape, i sentori dalla frutta ai fiori al muschio, freschi, di esemplare nitore, finché felice comprendi profondamente perché questi vini sono grandi, grandissimi.
Nicolas Joly si è accomiatato così, con le parole del suo maestro Rudolf Stainer: “Dobbiamo imbottigliare le vere ricchezze della terra; dobbiamo ritornare alla comprensione delle leggi della vita, dobbiamo seminare il futuro in un universo in cui la natura sia libera di esprimersi e i vini possano essere ciò che sono, e non ciò che il produttore vuole che siano. Solo in tal modo l’Ambiente si manifesterà nella sua realtà e mostrerà il suo vero significato, perché “il senso della vita è dare senso alla vita”. (B.P.)