Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
Bibenda day 2017 - Sesto tempo
I Grandi Rossi del Sud
Pubblicato il 04/04/2017
Relatore Daniele Maestri
Relatore Daniele Maestri

FotografiaIl Frappato 2014

Arianna Occhipinti


Arianna è da un decennio produttrice di punta e locomotiva trainante del comprensorio ibleo. Fin da giovanissima, fresca di studi a Milano, si è fatta conoscere con un libro sulla propria esperienza di viticoltrice, “Natural Woman”, e assieme a donne del vino di gran carattere come Dora Forsoni, Nicoletta Bocca ed Elisabetta Foradori ha girato un docufilm, “Senza Trucco”, titoli che la dicono lunga sul suo credo esistenziale ed enologico, improntato al massimo rispetto del terroir e dell’antica e illustre tradizione locale. Schietti, mai artefatti e di forte personalità sono anche i suoi vini, che nascono a Vittoria, culla del Frappato e del Cerasuolo Docg (la più meridionale d’Italia!). Assieme al Frappato, con la consulenza di Simonit e Sirch, Arianna ha impiantato anche Nero d’Avola e Moscato, recuperando inoltre il pressoché estinto Albanello. Il tutto secondo natura, senza ricorso alcuno alla chimica. Nel vecchio palmento riadattato a cantina la fermentazione si svolge senza controllo della temperatura in vasche di cemento vetrificato; al piano inferiore, contro la nuda roccia tufacea, grandi botti non tostate da 25 hl. Affascinano a prima vista il calice brillante di riflessi, la profondità e la vivezza del rosso rubino, non inchiostrato, ma permeabile alla luce. Vivo e pimpante è anche il naso, sostenuto, ma privo di aggressività, incentrato su pepe, ciliegia, macchia mediterranea e accenti minerali, preludio a un palato dinamico e scattante, polposo e sapido, di lunga e appagante persistenza.
 
FotografiaTurriga 2012

Argiolas


Vino di culto, ha appena doppiato la boa delle venti vendemmie. Cannonau in massima parte e poi Carignano, Malvasia Nera e Bovale, dalle vigne di Selegas, su suoli calcarei e marne miste ad arenare. Viti di oltre quarant’anni, fermentazione di due settimane e poi barrique nuove per 18-24 mesi, più ulteriore sosta in bottiglia. Così l’avevano voluto il patriarca Antonio Argiolas, morto nel 2009 a 102 anni, e Giacomo Tachis, innamorato dei vitigni isolani, e amico di famiglia. In anni in cui la Sardegna approfittava dei contributi comunitari erogati a coloro che espiantavano, molte vecchie vigne andarono perdute per sempre. In quei tempi, il bastian contrario Antonio, assieme ai figli Giuseppe e Franco, faceva incetta dei vigneti migliori. Oggi l’azienda, guidata dalle figlie Francesca e Valentina, si estende su 200 ettari, ripartiti fra quattro fattorie, che garantiscono un export in 52 paesi. Turriga nasce nel 1988, realizzando un progetto di Tziu Antoni, che soleva ripetere: ”il segreto per una lunga vita è mantenere sempre la voglia di vivere e di fare!” Si vendemmia di prima mattina, raccogliendo non più di 1 kg a ceppo, la fermentazione dura 16-18 giorni, l’élevage di 18 mesi si svolge in tonneau di Tronçais e Allier. In etichetta, l’altrettanto mitica Venere di Senorbì, ancestrale madre mediterranea di cinquemila anni fa. Rubino cupo tendente a granato, è un profluvio di sentori isolani, dall’arancia amara alla carruba, al mirto e al ginepro, e ancora macchia mediterranea e china, cacao, scatola di sigari, in crescendo etereo. Possente, avvolgente, sapido e solenne, chiosato da eco minerale.
FotografiaSabbie di Sopra il Bosco 2013

Nanni Copè


Giovanni Ascione è uno di noi. Sommelier di vaglia, restano, negli annali della prestigiosa Bibenda, suoi réportage memorabili, a testimonianza dei suoi viaggi di studio e del profondo interesse per i vini di alto profilo. Tutte digressioni parallele della sua esistenza, alla ricerca appassionata di nuove prospettive del gusto, sempre sotto il segno del centauro mitico che esibisce tatuato sulla pelle. Giovanni fa tesoro di ogni insegnamento, finché non si sente pronto ad una sua personale avventura, tornando alle proprie radici, individuando il suo “hic manebimus optime” in una vecchia vigna di Pallagrello nella media valle del Volturno, acclive, ventosa, spazzata dal freddo del Matese e del Taburno, su arenarie impiantate a tendone negli anni ’80, più un’altra vigna ben più vetusta a Pontelatone, denominata “Scarrupata”, di Casavecchia a piede franco. Qui la sabbia è meno pura, vulcanica, portatrice di acidità. La vendemmia può durare anche un mese, in quanto si tiene conto non tanto delle epoche di maturazione generiche dei vitigni, ma dell’effettiva maturità di ogni pianta. Nessun trattamento in vigna, lieviti autoctoni, fermentazione in acciaio senza controllo della temperatura, élevage in tonneau. Nanni Copè è l’alter ego enologico di Giovanni, perfettamente in linea col suo carattere semplice che volutamente rinuncia al sito web, il che non impedisce di esportare metà della produzione ai quattro angoli del mondo. In vivacissima veste rubino, gravido d’estratto, il vino è un interminabile carosello di viole, lavanda, amarene, ribes, anice, sottobosco, eucalipto, pepe e cardamomo. Di evidente gioventù al palato, ma già perfettamente impostato in vista di un magnifico equilibrio.
FotografiaPatriglione 2007

Taurino


C’era negli anni ’70 il vigneto Puglia lungo 300 chilometri, tranne rare eccezioni serbatoio anonimo di vini da taglio, dominato ovunque da cantine sociali. In una di esse, a Copertino, operava Severino Garofano, irpino diplomatosi enologo ad Avellino negli anni ’50, con stage in Borgogna e a Bordeaux. Determinante, per la nascita del Patriglione, l’incontro con Cosimo Taurino, appassionato viticoltore, tenace e ambizioso, ammirato ovunque nel comprensorio per il profilo superiore della sua produzione e per la lungimiranza di vedute. Le vecchie vigne di Negroamaro di novant’anni vendemmiate tardivamente, producono un nettare concentratissimo, che fermenta a lungo in vasche di cemento, per poi passare in barrique. La sua nascita è quasi casuale. Avendo notato la fermentazione particolarmente lenta e anomala di una vasca, Taurino e Garofano ne intuirono le eccezionali potenzialità e decisero di imbottigliare separatamente il contenuto, rifiutandosi di venderlo ad alcuni acquirenti toscani che si rifornivano abitualmente in Puglia di vini da taglio. Il Patriglione è divenuto negli anni un vino mitico, sopravvivendo al suo creatore scomparso nel ’99. Oggi a portare avanti l’azienda ci sono Francesco e Rosanna che hanno raccolto egregiamente il testimone paterno. Naso monumentale, figlio di un’annata da albo d’oro, tutto intessuto di rose secche, confettura di visciole, pomodoro essiccato, humus, funghi, cuoio, tabacco mentolato, tocco animale, replicati con coerenza al palato fitto di tannini perfettamente levigati, sfumato di radice di liquirizia e grafite.
© RIPRODUZIONE RISERVATA