Because the night belongs to wine lovers
I vini, come le canzoni, si legano spesso a momenti importanti della nostra vita. Compagni fedeli o amanti di una notte?
Pubblicato il 23/08/2017
Ci sono brani musicali che ci seguono per tutta la vita, a volte succede persino il contrario e siamo noi ad inseguire loro. Penso alle canzoni politiche, agli inni nazionali o di appartenenza ad altra forma identitaria come poteva essere il blues e il successivo R&B per gli afroamericani. Personalmente un po’ per passione e un po’ per lavoro ho diversi “pezzi” che mi sono fedeli da tanti anni, molti di essi, però, sono legati indissolubilmente ad uno specifico momento o a una determinata persona, finendo così, per suscitare, un limitato insieme di ricordi. Alcuni brani, ad esempio, sono diventati tutt’uno con fatti dolorosi, la cui memoria affiora silenziosa al fragore dell’ascolto suscitando commozione. Poi c’è la Canzone, la nostra, quella che ci dà i brividi ogni volta che fa vibrare le sue note, ci appare quasi per caso e non ci lascia più. A me accadde nel 1978, stavo per compiere diciotto anni e capitava spesso che, con la mia ragazza e i nostri amici, andassimo a ballare al Titan, la discoteca rock di Roma. Qui un allora sconosciuto Roberto D’Agostino, di giorno impiegato di banca, di notte ci allietava al grido di “si salva solo il rock, questo sì che è un mezzo di comunicazione”, alternando “I can get no satisfaction” dei Rolling Stones alla, da poco uscita, Because the Night (qui nella versione originale) tratta dall’album Easter di Patty Smith. In realtà la canzone era stata scritta da Bruce Springsteen per il suo quarto album “Darkness on the Edge of Town”. Durante la registrazione si rese conto che il brano, insieme a molti altri, non sarebbe entrato nella scaletta finale del disco. Contemporaneamente, nello studio a fianco, Patty Smith stava registrando Easter e mostrò interesse per il pezzo, ne riadattò il testo, lo arrangiò e ne fece un successo planetario. Per quanto riguarda me, invece, il pezzo, nonostante “… the night belongs to lovers”, non riuscí a diventare la “nostra” canzone, privilegio già conquistato da altri due brani. Because the Night da allora iniziò lentamente il cammino per divenire la mia canzone.
Più o meno dieci anni dopo, per esattezza il 15 giugno 1988, alle nove e mezza di sera mi trovavo impegnato in una riunione con il mio avvocato e l’ingegnere incaricato delle certificazioni, necessarie ad ottenere la licenza per poter effettuare un pubblico spettacolo. Avevo infatti subito il sequestro dell’impianto acustico, peraltro non mio, con cui Bruce Springsteen stava allietando trentamila spettatori, disturbando, però, le tranquille serate estive di qualche benestante abitante di Parioli. La riunione verteva sulla strategia da adottare per ottenere il dissequestro e permettere il prosieguo del tour europeo dell’artista. In realtà il giorno dopo bastò fare dei rilevamenti acustici a piazza Euclide per dimostrare che il traffico romano disturba il riposo dei cittadini molto di più di qualsiasi concerto rock. Pur conoscendo il valore dei dischi del “Boss” avevo conosciuto la sua esplosiva carica in concerto solo nel 1985 allo stadio di San Siro, tappa del tour di “Born in the Usa”, dove ero in qualità di Event Management Consultant, che all’epoca rispondeva al più sincero “che vieni a darmi una mano?”. Fui impressionato in quell’occasione nell’assistere ad oltre quattro ore di concerto, durante le quali i carabinieri, di scorta al precursore berlusconiano De Michelis, cominciarono, senza più smettere, a ballare all’unisono non appena sul palco i musicisti intonarono Because the Night (qui nella versione live dello stesso concerto). Tornando al 1988 era finita da poco “I’m on fire” e il pianoforte di Roy Bittan strimpellava l’inconfondibile intro della mia canzone, con un balzo scavalcai la scrivania, corsi verso il carrabile che dal mitico e invalicabile “back stage” conduceva al prato, il posto da cui i comuni mortali si godono lo spettacolo e da cui lo spettacolo va goduto. Se ripenso all’avvocato e all’ingegnere con gli occhi sgranati, ad esprimere incredula sorpresa, è facile ammettere di aver infranto elementari regole di civiltà, ma la visione e l’ascolto di Because the Night (qui nella versione live tratta dal Greatest Hits, e sì perché Springsteen la esegue solo dal vivo), allentarono la tensione e consentirono il lieto fine del giorno seguente. All’epoca non vivevo una situazione diciamo “limitata” a two lovers, era più che altro un “because the night isn’t long enough for my lovers”, condizione, questa, per cui la canzone, ancora una volta, rimase mia.
Il 1996 fu in qualche modo l’apice della mia carriera di local promoter, questo era più o meno la definizione del mio lavoro, prima dell’avvento del linguaggio marketing che ha stravolto anche il settore musicale con l’uso di nuovi termini. Poco tempo fa una trasmissione televisiva, ad esempio, ha scoperto il coinvolgimento di alcuni Event Manager nel Secondary Ticketing di propri eventi. E pensare che una volta, certo con molta meno professionalità, i bagarini i biglietti se li compravano! In ogni caso, l’apice fu rappresentato dal concerto degli U2 all’Aeroporto dell’Urbe, uno degli eventi musicali più grandi che la città di Roma abbia mai ospitato. Ma a mio parere molta più importanza ha avuto il concerto in acustico di Springsteen il 10 aprile dello stesso anno che per la prima volta aprì le porte dell’Auditorium della Conciliazione, allora gestito dall’Accademia di Santa Cecilia. Il Boss non eseguì la “mia” canzone ma l’emozione di sentirlo in un tempio della musica classica con un’acustica perfetta, mi riconciliò con quella forma d’arte con cui, per motivi lavorativi, cominciavo ad entrare in polemica. All’epoca “… the night belongs mostly to the job” ma l’evento sancì almeno un’amicizia che ancora dura e in cui il vino ha una parte non del tutto secondaria. E la canzone ancora una volta rimase mia. Ad inizio millennio abbandono il mio lavoro e finalmente, libero, fuggo. Passo diversi mesi a New York e, fortunatamente, alloggio spesso al Greenwich Village, McDougal angolo 4th West Street, il che, per chi non lo sa, vuol dire vivere sopra al Blue Note, davanti al Groove e a 100 metri da una decina di club tra cui il mitico The Bitter End, dove hanno suonato tutti i grandi. Sono nella città di Bruce Springsteen e di Patty Smith, vado anche a vedere una mostra di Robert Mapplethorpe, che della Smith è stato amante, fotografo e amico, insomma mi riconcilio con la musica e l’arte in genere. “… the night belongs to myself” e così la canzone rimane sempre e solo mia. Poi arriva il 2008, sono passati trent’anni dall’inizio di questa storia e, inevitabilmente, accade l’imponderabile: dopo anni spesi in notti sicuramente lunghe ma non sempre ineccepibili, di punto in bianco si torna al “… tonight there are two lovers …”. Come disse uno che di donne aveva capito poco … “il dado è tratto” e la canzone non è più mia, è nostra! Passa poco più di un anno e, mentre io sono da poco tornato dall’India, dove sono andato a lavorare, e la mia compagna, sí quella della canzone, è incinta, capita che la Rock & Roll Hall of Fame decida di celebrare con una serie di concerti al Madison Square Garden di New York il proprio 25° anniversario e lo faccia con tutti i più grandi musicisti rock di sempre. Così, mentre suonano gli U2 salgono sul palco, quasi per caso, Bruce Springsteen e Patty Smith per dare luogo alla più indimenticabile delle versioni live (Hall of Fame). Nel 2015, infine, decidiamo di sposarci, ovviamente con il consenso di nostra figlia che aveva ormai superato la veneranda età di cinque anni. È facile indovinare che la canzone della breve cerimonia, prevista dal rito civile, fosse Because the Night nella versione originale di Patty Smith. E, detto tra noi, non mi dispiace assolutamente aver perso una canzone trovando, però, una compagna di vita!
Anche con i vini succede la stessa cosa, alcuni stringono un vincolo con momenti e con persone particolari, altri ci seguono fedeli in tutte le situazioni e diventano solo nostri per la vita, nell’indissolubile legame della memoria sensoriale. O meglio questo è quello che accadeva una volta, prima dell’avvento della baumaniana liquidità che caratterizza il mondo globale, rendendo difficile prevedere quali vini di oggi ci saranno ancora tra quarant’anni. Io, però, ho cominciato a bere vino tanto tempo fa, e di vini per la vita ne ho più d’uno. In questa circostanza, però, stiamo parlando del “because the night belongs to lovers”, cioè di amore, di passione, di desiderio e di lussuria e il colore da attribuire a questo tema può essere uno solo: il rosso. Quindi, rosso sia nonostante un cospicuo bagaglio di bianchi, il Verdicchio, ad esempio, in tutte le sue forme mi perseguita dalla nascita; confesso anche un banale amore per la sensualità implicita nello Champagne, con il primo Cristal di Roederer assaggiato nel 1985, a indelebile ricordo di una pretesa contrattuale di Diana Ross; infine, non è facile nemmeno resistere al dolce fascino di un passito di Pantelleria, ma “the night has to be dark to belongs to lovers”. Ho cominciato ad assaggiare vini buoni negli anni ottanta, in pieno edonismo reaganiano, con opulenza ed esibizionismo come punti di riferimento. Pur di essere all’altezza di quelli di Bordeaux, i vini venivano fatti maturare con i trucioli di legno. In un contesto del genere era inevitabile che mi innamorassi di quel vino che meglio di altri esprimesse il “tanto”, che spesso diventava “troppo”, che l’epoca esigeva dai suoi status symbol. Ora, per fortuna secondo me, le cose sono cambiate, il “vinone” non va più di moda e il pubblico si sta avvicinando ai vini “naturali”, agli “orange”, ai “biodinamici”. Si sta realizzando, molto lentamente, un riavvicinamento dell’uomo all’ambiente naturale indispensabile alla propria sopravvivenza. Duemila anni di cattolicesimo e tre secoli di scientismo, hanno trasformato l’uomo in un essere presuntuoso che pretende di sostituirsi a Dio nel controllo e nella manipolazione della natura, non essendo, così, più parte di essa. Quindi, in natura il vino è aceto, mentre se ci mette mano l’uomo diventa nettare divino, a condizione, però, che questo processo avvenga secondo i superiori principi della Scienza, in antitesi con quelli naturali, pena l’esclusione dal rango divino. Ora pur condividendo le nuove tendenze sinceramente non capisco l’odio per il bello del passato, bere un rosso importante è diventato una specie di reato, vieni guardato male, sei antiquato in quanto “non si mangia più come una volta”. È vero, si mangia molto meno perché ci si muove molto meno, ma ciò non significa che non si mangi più il tartufo, il cinghiale o i formaggi stagionati, e allora, cosa ci metto un bel Pignoletto a rifermentazione ancestrale?
A mio parere, il “vinone”, se fatto bene, rimane un’opera d’arte e, così come non ho provato orrore quando sono riuscito a vedere la Cappella Sistina ristrutturata, anzi l’emozione mi ha colto come un bambino davanti al primo gelato della sua vita, allo stesso modo non provo alcun senso di repulsione di fronte ad un Amarone. Sí, questo è il mio vino, ci siamo incontrati a metà degli anni ’80 e non ci siamo mai separati sino ad oggi. A volte abbiamo litigato, spesso l’ho tradito, soprattutto d’estate, con dei bianchetti scialbi e insignificanti, ma il nostro è un rapporto solido, che trova ampia soddisfazione nel triangolo amoroso che mi vede, frequentemente, coinvolto insieme a formaggi stagionati e pestilenziali. La mia passione è notoria e quindi spesso ho ricevuto come regalo pregiate bottiglie di Amarone, non tutte ancora condivise, il che mi permette di avere una bella collezione. In una di queste occasioni ho ricevuto, addirittura, un Bertani che reca l’anno della mia nascita sull’etichetta, il 1960. No, non lo aprirò ma la tradizione esige rispetto e, quindi, l’abbinamento verrà tentato con un Amarone della Valpolicella Classico Bertani del 2004. È curioso osservare che le due etichette pur avendo 44 anni di differenza sono praticamente uguali, eccetto nel nome, che nella prima risulta come Recioto della Valpolicella Amarone Classico Superiore. In realtà come dichiara la stessa Bertani la mia bottiglia è stata imbottigliata nel 1987, cioè diciannove anni dopo il primo disciplinare, del 1968, relativo al Recioto della Valpolicella e che all’Amarone dedicava un solo rigo: “il Recioto della Valpolicella esiste anche nella versione asciutta e prende il nome di Amarone.” Bertani, infatti, fu un preveggente perché è solo nella seconda metà degli anni ottanta che l’Amarone prende il sopravvento sul Recioto, ormai quasi dimenticato, e conquista il mercato italiano ed estero, facendo di me un precursore! L’amarone ti conquista già dal primo approccio visivo, mentre Bruce Brody arpeggia sul piano, con la sua veste rossa che in trasparenza lascia intravedere le nuance granato che caratterizzeranno la sua piena maturità. Al naso ti prende, ti tiene vicino, emana desiderio con il suo profumo di viole in fiore, e le sensazioni di frutta di bosco che salgono dal calice suonano come “a banquet on wich we feed”. Ti capisce, ti ammalia e con le sue sfumature speziate ti conduce alle porte della notte che appartiene agli amanti. Ma è in bocca che l’Amarone diventa paradigma della passione, della lussuria della sensualità e della carnalità. La sua beva è piena di curve, è morbida, si abbandona ai tuoi voleri per poi prenderti per mano e condurti nei meandri nascosti delle sue profondità. Sa essere dolce e allo stesso tempo forte, potente, dominante, avvolgente, “because the night” is long to love. Mentre lo bevi è “un angelo travestito da desiderio, “here in our bed until the morning comes”. Quando lo mandi giù “con il dubbio gira e brucia il circolo vizioso” della sua carica ardente ed è facile farsi prendere dal “yearning burning” di averne ancora. “So touch me now, touch me now, touch me now - Because the night belongs to lovers - Because the night belongs to lust - Because the night belongs to lovers - Because the night belongs to us”.
Il testo qui riportato è quello della versione di Patty Smith, la quale ha usato secondo l’occasione “because the night belongs to life” o “to lust”. Io, nel dubbio, le ho inserite entrambe.
Il testo originario di Springsteen ha subito diverse modifiche in fase di stesura e nel corso dei concerti realizzati, le trovate nel database redatto da Paolo Calvi: http://www.brucespringsteen.it. Io riporto qui solo le quattro strofe della versione utilizzata live dal 1981 in poi.