Campania: uno scrigno abbandonato?
Un numero infinito di autoctoni dai nomi sconosciuti e ormai pressoché dimenticati, un tesoro sepolto da riportare alla luce.
Pubblicato il 25/08/2017
Immaginiamo una soffitta dove i nostri nonni abbiano depositato ciò che ai loro tempi era stato prima utilizzato e poi abbandonato, ed è immediato il paragone con la Campania, niente di diverso da una soffitta, uno scrigno, un tesoro di vecchi vitigni ufficialmente sconosciuti ma che hanno un grande potenziale, perché, se sono sopravvissuti, significa che qualche virtù ce l'hanno. La Campania è infatti uno dei territori più importanti a livello nazionale, e forse al mondo, per quel che riguarda la quantità e la varietà di vitigni storicamente coltivati, con un patrimonio ampelografico semplicemente straordinario, formatosi e conservatosi in circa tre millenni grazie prima di tutto alla posizione strategica della regione nel bacino mediterraneo e alla diversità del territorio. Piccoli tasselli che vanno a comporre un mosaico unico ed inconfondibile e che solo grazie a pochi produttori coraggiosi, che hanno creduto nelle potenzialità delle varietà tradizionali, e qualche vecchio contadino che continua a trarre uva da vino proprio da filari dove si intrecciano antichi vitigni impiantati in famiglia in un tempo ormai remoto, che appassionati e bevitori curiosi possono godere di un gran numero di chicche, distribuite più o meno uniformemente su tutta la penisola. È praticamente impossibile elencare tutte le varietà censite, descritte e menzionate fin dai tempi antichi, ma è un piacere condividere e trasmettere a tanti appassionati di vino le emozioni che alcuni di questi vitigni mi hanno regalato. Partiamo dal Tintore, valorizzato da Giuseppe Apicella nella costiera amalfitana, con vigne che hanno un’età media di più di 80 anni, qualcuna addirittura centenaria, tanto difficili da lavorare quanto splendide da vedere: viti gigantesche a piede franco, abbarbicate su pendii montagnosi ed allevate con la tipica pergola a raggera.
A’ Scippata Riserva, suo vino di punta, ha sicuramente un carattere mediterraneo, che esprime nel frutto rigoglioso, timbri fortemente speziati, affumicati e ricordi di macchia, con profilo gustativo avvolgente e saporito, più che linearmente verticale. Ma c’è poi la ricca dotazione tannica, le acidità sostenute, la robusta fibra strutturale, che riportano ad atmosfere decisamente più “nordiche” e appenniniche. Ci spostiamo un po' più su, verso Pozzuoli, e sfido chiunque a dire di conoscere almeno uno di questi vitigni: Ricciulella, Cavalla, Marsigliese, Colagiovanna e Coda di Cavalla. A Contrada Salandra sicuramente sì, i cui ceppi sono sparsi tra le vigne di Piedirosso e Aglianico e in piccola percentuale utilizzati con i due vitigni principali, come il Campi Flegrei Piedirosso, che con il suo color rubino, offre intense ed espressive sensazioni all’olfatto di visciola, amarena in confettura, violetta, felce, spunti di tabacco da pipa, pepe nero in grani, refoli di rosmarino e spunti di erbe aromatiche. Non è da meno al palato, con un sorso ben orchestrato tra tannino fitto, copiosa freschezza e gradevole scia sapida.
E come non rimanere stupiti davanti a nomi come Sauca, Olivella, Suppezza, Surbegna, Castagnara della cantina Martusciello, vicino al Golfo di Napoli e sui monti Lattari, utilizzati per il 40% accanto ai suoi principali vitigni e che nel suo progetto Ottouve, ha semplicemente voluto rendere omaggio anche ai vitigni minori che nessuno conosce e che sono, nella loro piccola parte, probabilmente il quid in più che caratterizza questi piccoli grandi vini. Due i vini in degustazione, il Gragnano Otto Uve della Penisola Sorrentina che esprime all’olfatto netti profumi di ciliegia scura, lampone, succo di melograno e rosa rossa, ed è caratterizzato da viva freschezza e persistenza fruttata, e il Lettere della Penisola Sorrentina Ottouve che propone frutti di bosco, tocchi vegetali e accenni di pepe rosa e tratti floreali accompagnati al sorso da viva freschezza e vispo tannino. Si tratta chiaramente di produzioni molto limitate, di curiosità enologiche, ma se vi capita di scovare qualche bottiglia non lasciatevela scappare: può rappresentare uno dei momenti in cui l’amore per l’enogastronomia si fonde con la storia e la cultura del nostro Paese. Uno scenario complesso ed articolato che necessita di una comunicazione continua e a più livelli.