Il vigneto Lazio e i suoi grandi rossi
Cresce l’attenzione per i vitigni internazionali della regione, con risultati sorprendenti e belle novità.
Pubblicato il 03/10/2017
Il Lazio gode di una scelta ampelografica autoctona piuttosto limitata dove il Cesanese e la Malvasia del Lazio rappresentano solo due tra i cépage più noti; proprio per questo è stato un territorio dove i vitigni internazionali hanno trovato il giusto spazio.
Già nel XIX le vigne che circondavano la capitale furono impiantate a Cabernet Sauvignon e Merlot, su decisione papale; poi lentamente Cabernet Franc, Petit Verdot, Grenache e infine il Pinot Nero hanno trovato le loro zone di elezione, con risultati che oggi hanno raggiunto livelli qualitativi degni di nota.
Già nel XIX le vigne che circondavano la capitale furono impiantate a Cabernet Sauvignon e Merlot, su decisione papale; poi lentamente Cabernet Franc, Petit Verdot, Grenache e infine il Pinot Nero hanno trovato le loro zone di elezione, con risultati che oggi hanno raggiunto livelli qualitativi degni di nota.
Il Cabernet Sauvignon si è adeguato alle condizioni pedoclimatiche del basso Lazio, tanto da ottenere anche la DOC Cabernet di Atina, dove con timbri lievemente vegetali ma tannini rotondi e levigati esprime un vino di medio corpo.
Il Satur 2013 di Cominium è di un rubino scuro e impenetrabile, con un olfatto che espone inizialmente frutta matura, per continuare poi su nuance vegetali di foglia di pomodoro e radice. In bocca il vino è corposo, mostra un buon equilibrio e ha dei tannini lievi ed integrati, anche se il finale non è esageratamente lungo.
Sotto i monti del frascatano, su via di Pietra Porzia, quest’anno si è affacciata sul mercato enologico laziale una nuova realtà produttiva: Cantina Imperatori.
Il Cabernet nell’annata 2015 è un calice ricco e corposo che sfodera completamente i sentori tipici varietali, a partire da frutti scuri per passare poi humus e tabacco; finale lungo e persistente chiude il tutto a dovere.
Il Cabernet Franc ha ritrovato il suo spazio, arrivando a dare esemplari in purezza capaci di accontentare anche i degustatori più severi.
Il Cabernet Franc 2013 di Ômina Romana, azienda sita ai piedi di Velletri, è ammirevole ed elegante: non presenta quel tocco vegetale e verde che sovente questo vitigno manifesta; spezie e croccantezza si allungano sul finale, decisamente durevole.
San Giovenale, realtà situata invece nel viterbese, con l’Habemus Etichetta Rossa 2013, ne ha tirato fuori un campione più caldo e mediterraneo, che trapela una velata alcolicità, senza perdere in eleganza.
Sempre di San Giovenale è forse l’esemplare migliore di Grenache prodotta nell’intera regione, l’Etichetta Bianca; la 2013 assieme Syrah e al Carignan con cui è blendato, tira fuori un calice che apre con note mature di prugna per sfoderare poi in successione, liquirizia, spezie dolci e un chiusura di viole, il tutto con un palato equilibrato, tannico e vellutato.
Il Pinot Nero con il Notturno dei Calanchi, di Paolo e Nomeia d’Amico, ormai è diventato punto di riferimento, con un’espressione varietale calda e sudista. Ai sentori tipici si aggiunge una componente alcolica non trascurabile né in bocca né al naso. Persistenza fruttata e speziata durano all’infinito.
Infine il Petit Verdot: Muscari Tomajoli, nuova realtà situata in provincia di Tarquina, produce Pantaleone che mostra le potenzialità di questo vitigno in purezza, il naso ha un tocco zuccherino e dolce, ricca invece la struttura, che manifesta corpo, freschezza e una complessiva dolcezza, contrastata da un piacevolissimo tannino.