Apprendere dal vino
Il vino, vissuto come un viaggio nella vita, genera cambiamenti.
Pubblicato il 28/02/2018
Per molti di noi la conoscenza del mondo del vino è iniziata, o si è implementata, attraverso la sapienza e la passione narrativa delle preziose competenze presenti nella Fondazione Italiana Sommelier.
Conoscemmo luogo e giorno di inizio di questo processo formativo, ma non potevamo comprenderne l’esito e tanto meno la durata.
Un viaggiare e non solo un viaggio nel quale sono evidenti, a mio modo di vedere, due momenti non consequenziali, variabili per intensità e direzione, basati sul profilo culturale, sulle provenienze disciplinari e sulle storie professionali del singolo viaggiatore.
Un primo momento: “conoscere il Vino”, è centrato sulla fornitura top-down di articolati elementi di conoscenza da conservare in una sorta di cassetta degli attrezzi, uno spazio a disposizione del discente dove trovare lo strumento corretto per fornire risposte adeguate nel momento giusto.
La dimensione di questo spazio di “immagazzinamento” è espressione della capacità individuale del futuro sommelier. Individuare l’attrezzo giusto in relazione alla contingenza e operare, umilmente e con tenacia, all’interno di un universo tanto esteso, richiede tuttavia grande costanza ed entusiasmo soprattutto perché l’obiettivo finale non è definibile in itinere.
Poi, in un giorno qualunque, accade che il sapere disponibile sembra disordinato, il senso del viaggio svanito, nessun utensile utile per l’uso, emergono il dubbio (atto fondamentale del percorso formativo) e la paura si fa strada, determinata anche dalla verifica finale incombente. Appare insormontabile l’ostacolo del “so di non sapere”.
Due strade si offrono allora: dedicarsi notte e giorno al recupero di un nozionismo sostenuto da un linguaggio di nicchia, utile certo per giungere al traguardo auspicato, o fare di questa esperienza di dubbio una rigenerazione profonda della propria vita.
Quelli che hanno scelto la potatura selettiva della propria vita, sono entrati nel processo dell’apprendere dal Vino, adottando una visione multidimensionale del percorso da realizzare e questo assai prima di un effettivo coinvolgimento nel settore. Emerge nelle storie di coloro che hanno agito il cambiamento, l’irrinunciabile necessità di esplorare senza sosta e procedere oltre l’ambito del vino. L’apprendere esperienzialmente è condizione permanente e autentica di un viaggio, e leva efficace per permettere di (ri)considerare aspetti della propria vita non solo professionale.
Apprendere dal vino, e non solo conoscere il vino, appare oggi una strategia in grado di rigenerare storie personali, proporre nuove narrazioni territoriali e chiedere alle professioni del settore di sostenere i saperi nati nel vino, con nuovi profili interdisciplinari.
Questa dinamicità è in fondo uno dei valori del succo d’uva fermentato e tratto comune tra la storia umana e quella della vite: costruire costanti esperienze di cambiamento, capaci di generare un futuro di certezze.
Conoscemmo luogo e giorno di inizio di questo processo formativo, ma non potevamo comprenderne l’esito e tanto meno la durata.
Un viaggiare e non solo un viaggio nel quale sono evidenti, a mio modo di vedere, due momenti non consequenziali, variabili per intensità e direzione, basati sul profilo culturale, sulle provenienze disciplinari e sulle storie professionali del singolo viaggiatore.
Un primo momento: “conoscere il Vino”, è centrato sulla fornitura top-down di articolati elementi di conoscenza da conservare in una sorta di cassetta degli attrezzi, uno spazio a disposizione del discente dove trovare lo strumento corretto per fornire risposte adeguate nel momento giusto.
La dimensione di questo spazio di “immagazzinamento” è espressione della capacità individuale del futuro sommelier. Individuare l’attrezzo giusto in relazione alla contingenza e operare, umilmente e con tenacia, all’interno di un universo tanto esteso, richiede tuttavia grande costanza ed entusiasmo soprattutto perché l’obiettivo finale non è definibile in itinere.
Poi, in un giorno qualunque, accade che il sapere disponibile sembra disordinato, il senso del viaggio svanito, nessun utensile utile per l’uso, emergono il dubbio (atto fondamentale del percorso formativo) e la paura si fa strada, determinata anche dalla verifica finale incombente. Appare insormontabile l’ostacolo del “so di non sapere”.
Due strade si offrono allora: dedicarsi notte e giorno al recupero di un nozionismo sostenuto da un linguaggio di nicchia, utile certo per giungere al traguardo auspicato, o fare di questa esperienza di dubbio una rigenerazione profonda della propria vita.
Quelli che hanno scelto la potatura selettiva della propria vita, sono entrati nel processo dell’apprendere dal Vino, adottando una visione multidimensionale del percorso da realizzare e questo assai prima di un effettivo coinvolgimento nel settore. Emerge nelle storie di coloro che hanno agito il cambiamento, l’irrinunciabile necessità di esplorare senza sosta e procedere oltre l’ambito del vino. L’apprendere esperienzialmente è condizione permanente e autentica di un viaggio, e leva efficace per permettere di (ri)considerare aspetti della propria vita non solo professionale.
Apprendere dal vino, e non solo conoscere il vino, appare oggi una strategia in grado di rigenerare storie personali, proporre nuove narrazioni territoriali e chiedere alle professioni del settore di sostenere i saperi nati nel vino, con nuovi profili interdisciplinari.
Questa dinamicità è in fondo uno dei valori del succo d’uva fermentato e tratto comune tra la storia umana e quella della vite: costruire costanti esperienze di cambiamento, capaci di generare un futuro di certezze.
foto © shutterstock