Dalla Puglia Gianfranco Fino
Pubblicato il 29/11/2023
JO, il custode del Mediterraneo
Prima verticale storica di Jo, cru di Negroamaro di Gianfranco Fino, Viticoltore in Manduria.
Per la degustazione, tenuta a Roma presso la sede della Fondazione Italiana Sommelier, Gianfranco Fino con Simona sua moglie hanno proposto il Negroamaro in due versioni. La prima è stata un'interessantissima interpretazione del vitigno, vinificato secondo il Metodo Classico: Spumante Rosé SN Pas Dosé millesimo 2017, la seconda ha svelato il vigore e l’evoluzione del vino fermo in una verticale di sei annate di Jo: 2019, 2018, 2017, 2016, 2012 e 2008.
Per la degustazione, tenuta a Roma presso la sede della Fondazione Italiana Sommelier, Gianfranco Fino con Simona sua moglie hanno proposto il Negroamaro in due versioni. La prima è stata un'interessantissima interpretazione del vitigno, vinificato secondo il Metodo Classico: Spumante Rosé SN Pas Dosé millesimo 2017, la seconda ha svelato il vigore e l’evoluzione del vino fermo in una verticale di sei annate di Jo: 2019, 2018, 2017, 2016, 2012 e 2008.
"Sono le annate più rappresentative e le abbiamo scelte insieme facendo inizialmente un’accurata selezione - rivela emozionata Simona Natale - il Negroamaro non è solo il vitigno preferito di Gianfranco, JO è anche il vino che ci accompagna spesso nelle serate particolari quando siamo soli e abbiamo bisogno di staccare o quando ci ritroviamo a casa con degli amici”.
È il Negroamaro il principale interprete della serata, il rosso di riferimento della viticoltura pugliese erede di una storia millenaria e di una gloria sopita nel tempo che racconta posti e luoghi da vistare come il Salento, una parte di territorio che regala scrigni di rara bellezza e località dall’indubbio valore artistico.
Arrivato sulle coste salentine all’epoca della colonizzazione greca, il vitigno ha origine ancora sconosciute e anche la sua etimologia è alquanto controversa a cominciare dal suo nome, tante le teorie, tra le più conosciute si evidenziano due ipotesi: la prima potrebbe essere latino-greca: “nĭger + mavros” cioè rafforzativo “nero + nero”, la secondo invece indigena: “niuru maro” o “nicra amaro” alludendo al colore delle bucce e a quel caratteristico elemento ammandorlato del finale di bocca. È presente nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite come “Negroamaro o Nero Amaro” e conta all’incirca 13 cloni omologati. In epoca era conosciuto con vari nomi ed era presente non solo nella Terra d'Otranto ma in diversi luoghi dell'Italia meridionale: a Gallipoli, Melissano e Casarano come il Rosso di Lecce; Uva Lacrima a Ugento; Lagrima a Squinzano e a Latiano; Ionico a Galatina e nella fascia tarantina intorno a Manduria e a Sava; in terra campana era conosciuto anche come Uva Olivella. Senza dubbio rappresenta il vitigno autoctono pugliese dalle caratteristiche più tipicamente mediterranee e, proprio a testimoniare la cultura del vino ancora radicata nel tempo - principalmente messapica e greca – lo troviamo utilizzato in diversi impianti amministrati quasi esclusivamente ad alberello nelle forme più antiche e più moderne, vigneti circoscritti dai tipici muretti a secco che delimitano le proprietà e i vecchi poderi. Il suo carattere risoluto è dovuto soprattutto ai suoli che lo ospitano, superfici prevalentemente calcareo-argillosi e di origine alcalina attraversate da venti costanti ed escursioni termiche, strati più o meno profondi di terra rossa con un’importante presenza di falde tufacee. A ridosso della costa, i vini si fanno più garbati e meno vigorosi nei toni in quanto i suoli si fanno leggermente più sottili, meno calcarei e con buona presenza di sabbie.
Arrivato sulle coste salentine all’epoca della colonizzazione greca, il vitigno ha origine ancora sconosciute e anche la sua etimologia è alquanto controversa a cominciare dal suo nome, tante le teorie, tra le più conosciute si evidenziano due ipotesi: la prima potrebbe essere latino-greca: “nĭger + mavros” cioè rafforzativo “nero + nero”, la secondo invece indigena: “niuru maro” o “nicra amaro” alludendo al colore delle bucce e a quel caratteristico elemento ammandorlato del finale di bocca. È presente nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite come “Negroamaro o Nero Amaro” e conta all’incirca 13 cloni omologati. In epoca era conosciuto con vari nomi ed era presente non solo nella Terra d'Otranto ma in diversi luoghi dell'Italia meridionale: a Gallipoli, Melissano e Casarano come il Rosso di Lecce; Uva Lacrima a Ugento; Lagrima a Squinzano e a Latiano; Ionico a Galatina e nella fascia tarantina intorno a Manduria e a Sava; in terra campana era conosciuto anche come Uva Olivella. Senza dubbio rappresenta il vitigno autoctono pugliese dalle caratteristiche più tipicamente mediterranee e, proprio a testimoniare la cultura del vino ancora radicata nel tempo - principalmente messapica e greca – lo troviamo utilizzato in diversi impianti amministrati quasi esclusivamente ad alberello nelle forme più antiche e più moderne, vigneti circoscritti dai tipici muretti a secco che delimitano le proprietà e i vecchi poderi. Il suo carattere risoluto è dovuto soprattutto ai suoli che lo ospitano, superfici prevalentemente calcareo-argillosi e di origine alcalina attraversate da venti costanti ed escursioni termiche, strati più o meno profondi di terra rossa con un’importante presenza di falde tufacee. A ridosso della costa, i vini si fanno più garbati e meno vigorosi nei toni in quanto i suoli si fanno leggermente più sottili, meno calcarei e con buona presenza di sabbie.
LA CANTINA
Nata dall’intuizione di Gianfranco Fino e Simona Natale, che quel territorio avesse un potenziale ancora inespresso. Un progetto accurato condotto con un’attenzione minuziosa e maniacale sia in vigna che in cantina.
Gianfranco Fino, tra i principali artefici del rinascimento enologico, emerge per la sua forte personalità tale da domare e conferire, per primo, eleganza ad un vino vigoroso come il Primitivo e a dare nuovo slancio alla rivalutazione del Negroamaro in zona.
Sin dagli inizi si è contraddistinto per la meticolosità nel perseguire perfezione di esecuzione ed un equilibrio gustativo da manuale, binomio sinergico che ritroviamo costantemente in ogni bottiglia. Venticinque ettari all’attivo, tutti sistemati ad alberello posti su suoli prevalentemente argillosi, calcarei misti a matrice ferrosa. L’intera superficie vitata è contraddistinta sia da vecchi ceppi, sistemati su piccoli fazzoletti di terra lavorati esclusivamente a mano, sia da giovani impianti sistemati tutti intorno alla nuova cantina. Tutte le nuove piante sono originate da cloni di Primitivo e di Negroamaro, un patrimonio genetico scelto attraverso un ricercato lavoro di zonazione e dopo un’accurata selezione delle uve.
Gianfranco Fino, tra i principali artefici del rinascimento enologico, emerge per la sua forte personalità tale da domare e conferire, per primo, eleganza ad un vino vigoroso come il Primitivo e a dare nuovo slancio alla rivalutazione del Negroamaro in zona.
Sin dagli inizi si è contraddistinto per la meticolosità nel perseguire perfezione di esecuzione ed un equilibrio gustativo da manuale, binomio sinergico che ritroviamo costantemente in ogni bottiglia. Venticinque ettari all’attivo, tutti sistemati ad alberello posti su suoli prevalentemente argillosi, calcarei misti a matrice ferrosa. L’intera superficie vitata è contraddistinta sia da vecchi ceppi, sistemati su piccoli fazzoletti di terra lavorati esclusivamente a mano, sia da giovani impianti sistemati tutti intorno alla nuova cantina. Tutte le nuove piante sono originate da cloni di Primitivo e di Negroamaro, un patrimonio genetico scelto attraverso un ricercato lavoro di zonazione e dopo un’accurata selezione delle uve.
VIGNAIOLI PER CASO
“Dopo turisti per caso e velisti per caso siamo vignaioli per caso” scherza Gianfranco Fino.
La vocazione per la viticoltura si delinea già nei primi anni di formazione nonostante il contesto della città di Taranto sia più legato alle attività industriali e di carriera militare, un percorso che era già stato delineato per lui dalla famiglia. Fin da ragazzo si appassiona fortemente al mondo dell’agricoltura iscrivendosi alla Scuola di Enologia a Locorotondo.
Ultimato il percorso di studi di Enologia e successivamente in Agraria, ha iniziato ad esercitare la professione come libero professionista e come consulente tecnico esterno per alcune cooperative vitivinicole della zona. Il suo principale desiderio era quello di arrivare a produrre in proprio. Alla fine degli anni ’90 contribuisce a redigere un nuovo disciplinare sull’Olio Extravergine di Oliva nello staff di Luigi Veronelli, che lo incoraggia a perseguire la sua passione iniziale per il vino.
La vocazione per la viticoltura si delinea già nei primi anni di formazione nonostante il contesto della città di Taranto sia più legato alle attività industriali e di carriera militare, un percorso che era già stato delineato per lui dalla famiglia. Fin da ragazzo si appassiona fortemente al mondo dell’agricoltura iscrivendosi alla Scuola di Enologia a Locorotondo.
Ultimato il percorso di studi di Enologia e successivamente in Agraria, ha iniziato ad esercitare la professione come libero professionista e come consulente tecnico esterno per alcune cooperative vitivinicole della zona. Il suo principale desiderio era quello di arrivare a produrre in proprio. Alla fine degli anni ’90 contribuisce a redigere un nuovo disciplinare sull’Olio Extravergine di Oliva nello staff di Luigi Veronelli, che lo incoraggia a perseguire la sua passione iniziale per il vino.
UNA STORIA DI VITA E DI VITE
Il progetto Gianfranco Fino Viticoltore, già elaborato nel 2002 nasce di fatto nel 2004.
Il percorso inizialmente non è stato per niente facile, una strada decisamente in salita perché creato dal nulla e con un futuro per niente scontato. Tutto parte dall’acquisizione di una piccola vigna, un vecchio alberello di oltre sessant'anni di Primitivo che produceva al massimo venti quintali scarsi per ettaro. La coincidenza volle che in quei tempi nel comprensorio agricolo di Manduria il prezzo degli appezzamenti e delle proprietà fondiarie, se paragonati alle zone più blasonate del panorama viticolo italiano, avevano ancora dei prezzi accessibili. Il passo successivo, quello più difficile, fu quello di trovare una struttura adeguata dove poter iniziare a vinificare e reperire i finanziamenti per acquistare le attrezzature idonee a far partire la cantina.
Il contributo della moglie Simona diventa fondamentale nel reperire il primo finanziamento per l’acquisto delle attrezzature e l’affitto di uno spazio idoneo, una piccola struttura nel comune di Sava.
In pochi anni sono seguiti altri investimenti con il rilevamento di diversi piccoli appezzamenti, altri vecchi alberelli in zone vocate e caratterizzate da terre rosse come Meschinella, dove dimorano ceppi ultranovantenni ancora in opera, poi altri impianti distribuiti su un mosaico di altre contrade importanti come Monache, Torre e Madonna di Pasano. Dopo diciotto anni, gli ettari totali di proprietà sono diventati circa venticinque, solo ed esclusivamente impianti di uva a bacca rossa dove le uve da Primitivo la fanno da padrone.
I giovani impianti, sistemati intorno alla nuova cantina appena inaugurata in Contrada Lella a pochi chilometri da Manduria, seguono anche loro la sistemazione ad alberello, un classico impianto tipico pugliese denominato ad orecchie di lepre, due branche e due speroni, un totale di quattro germogli che poi daranno vita ad una resa massima, scelta appositamente, di trecento o quattrocento etti di uva a pianta. In vigna i filari sono governati da pali di testa in castagno, mentre i paletti sono realizzati in acciaio corten, materiale assai resistente alla corrosione atmosferica.
La nuova cantina è stata realizzata in tufo giallo locale è completamente circondata da caratteristici muretti a secco. La struttura immersa nei vitigni, pur mantenendo un carattere di architettura contemporanea, si integra perfettamente con il territorio circostante, luogo rurale con forte presenza di masserie e antichi casali dislocati tra gli uliveti e la fascia di macchia mediterranea che li separa dalla costa ionica. Sempre in continuità con la tradizione architettonica delle costruzioni di campagna tipiche salentine che univano l’uso produttivo a quello abitativo, la struttura è al tempo stesso la loro attuale abitazione, ospitalità enoturistica e cantina. La bottaia in particolare, attraverso l’architettura, sintetizza in concreto il manifesto del progetto degli inizi portato a compimento da Gianfranco e Simona: intuizione, riscoperta e salvaguardia nel rispetto delle caratteristiche vocazionali del territorio attraverso vitigni autoctoni. A sette metri di profondità si entra in uno spazio ipogeo, caratterizzato da quindici volte a stella, con muri e solai privi di intonaco lasciati appositamente al grezzo a faccia vista. Qui avviene la maturazione e l’elevazione in piccoli legni di rovere della maggioranza dei vini derivanti da uve Primitivo e Negroamaro.
Al momento le etichette prodotte sono sei: lo Spumante Non Dosé Rosé SN, il SE, l’ES in doppia versione con l’annata classica e la Riserva Red, il dolce ES più Sole da appassimento naturale su pianta e lo JO.
L’idea di realizzare una nuova etichetta diversa dalle uve di Primitivo dell’Es nasce nel 2006.
Nel 2006, dopo due anni dalla creazione della prima etichetta storica Primitivo ES, Gianfranco ha iniziato a cimentarsi con l'altro vitigno autoctono salentino: il Negroamaro. Nella zona di Manduria la varietà non ha avuto una vita facile. Con la creazione nel 1974 della Doc Primitivo di Manduria una buona parte della superficie vitata fu quasi completamente soppiantata, solo una piccola produzione rimase in vita grazie alla denominazione Doc Lizzano, disciplinare che ne consente l’uso insieme ad altre varietà autoctone della zona salentina.
Il Negroamaro ha sempre conquistato Gianfranco, non solo per la capacità di evoluzione nell’invecchiamento (due note etichette hanno fatto la storia come il Patriglione e il Notarpanaro della cantina leccese di Guagnano di Cosimo Taurino, vini ideati dal celebre enologo Severino Garofano) ma anche per il suo impiego nella versione rosato, come il Five Roses della storica cantina di Salice Salentino Leone De Castris). Da qualche anno il vitigno è spesso impiegato per la creazione di etichette a base spumante, un progetto avvincente che ha sedotto una serie di produttori.
Il percorso inizialmente non è stato per niente facile, una strada decisamente in salita perché creato dal nulla e con un futuro per niente scontato. Tutto parte dall’acquisizione di una piccola vigna, un vecchio alberello di oltre sessant'anni di Primitivo che produceva al massimo venti quintali scarsi per ettaro. La coincidenza volle che in quei tempi nel comprensorio agricolo di Manduria il prezzo degli appezzamenti e delle proprietà fondiarie, se paragonati alle zone più blasonate del panorama viticolo italiano, avevano ancora dei prezzi accessibili. Il passo successivo, quello più difficile, fu quello di trovare una struttura adeguata dove poter iniziare a vinificare e reperire i finanziamenti per acquistare le attrezzature idonee a far partire la cantina.
Il contributo della moglie Simona diventa fondamentale nel reperire il primo finanziamento per l’acquisto delle attrezzature e l’affitto di uno spazio idoneo, una piccola struttura nel comune di Sava.
In pochi anni sono seguiti altri investimenti con il rilevamento di diversi piccoli appezzamenti, altri vecchi alberelli in zone vocate e caratterizzate da terre rosse come Meschinella, dove dimorano ceppi ultranovantenni ancora in opera, poi altri impianti distribuiti su un mosaico di altre contrade importanti come Monache, Torre e Madonna di Pasano. Dopo diciotto anni, gli ettari totali di proprietà sono diventati circa venticinque, solo ed esclusivamente impianti di uva a bacca rossa dove le uve da Primitivo la fanno da padrone.
I giovani impianti, sistemati intorno alla nuova cantina appena inaugurata in Contrada Lella a pochi chilometri da Manduria, seguono anche loro la sistemazione ad alberello, un classico impianto tipico pugliese denominato ad orecchie di lepre, due branche e due speroni, un totale di quattro germogli che poi daranno vita ad una resa massima, scelta appositamente, di trecento o quattrocento etti di uva a pianta. In vigna i filari sono governati da pali di testa in castagno, mentre i paletti sono realizzati in acciaio corten, materiale assai resistente alla corrosione atmosferica.
La nuova cantina è stata realizzata in tufo giallo locale è completamente circondata da caratteristici muretti a secco. La struttura immersa nei vitigni, pur mantenendo un carattere di architettura contemporanea, si integra perfettamente con il territorio circostante, luogo rurale con forte presenza di masserie e antichi casali dislocati tra gli uliveti e la fascia di macchia mediterranea che li separa dalla costa ionica. Sempre in continuità con la tradizione architettonica delle costruzioni di campagna tipiche salentine che univano l’uso produttivo a quello abitativo, la struttura è al tempo stesso la loro attuale abitazione, ospitalità enoturistica e cantina. La bottaia in particolare, attraverso l’architettura, sintetizza in concreto il manifesto del progetto degli inizi portato a compimento da Gianfranco e Simona: intuizione, riscoperta e salvaguardia nel rispetto delle caratteristiche vocazionali del territorio attraverso vitigni autoctoni. A sette metri di profondità si entra in uno spazio ipogeo, caratterizzato da quindici volte a stella, con muri e solai privi di intonaco lasciati appositamente al grezzo a faccia vista. Qui avviene la maturazione e l’elevazione in piccoli legni di rovere della maggioranza dei vini derivanti da uve Primitivo e Negroamaro.
Al momento le etichette prodotte sono sei: lo Spumante Non Dosé Rosé SN, il SE, l’ES in doppia versione con l’annata classica e la Riserva Red, il dolce ES più Sole da appassimento naturale su pianta e lo JO.
L’idea di realizzare una nuova etichetta diversa dalle uve di Primitivo dell’Es nasce nel 2006.
Nel 2006, dopo due anni dalla creazione della prima etichetta storica Primitivo ES, Gianfranco ha iniziato a cimentarsi con l'altro vitigno autoctono salentino: il Negroamaro. Nella zona di Manduria la varietà non ha avuto una vita facile. Con la creazione nel 1974 della Doc Primitivo di Manduria una buona parte della superficie vitata fu quasi completamente soppiantata, solo una piccola produzione rimase in vita grazie alla denominazione Doc Lizzano, disciplinare che ne consente l’uso insieme ad altre varietà autoctone della zona salentina.
Il Negroamaro ha sempre conquistato Gianfranco, non solo per la capacità di evoluzione nell’invecchiamento (due note etichette hanno fatto la storia come il Patriglione e il Notarpanaro della cantina leccese di Guagnano di Cosimo Taurino, vini ideati dal celebre enologo Severino Garofano) ma anche per il suo impiego nella versione rosato, come il Five Roses della storica cantina di Salice Salentino Leone De Castris). Da qualche anno il vitigno è spesso impiegato per la creazione di etichette a base spumante, un progetto avvincente che ha sedotto una serie di produttori.
La nascita dell’etichetta JO
È una produzione abbastanza limitata realizzata inizialmente nel 2006 da un piccolo e storico appezzamento preso in affitto - poi lasciato nel 2019 - di terra rossa sistemato con vecchi alberelli di Negroamaro in prossimità del mare a San Pietro in Bevagna. La produzione è poi aumentata con l’inserimento di nuovi impianti, in totale tre ettari, intorno alla nuova cantina nei pressi di Manduria. I nuovi impianti sono costituiti da una selezione massale creata da Gianfranco, un clone di Negroamaro caratterizzato da un grappolo spargolo e da acini piccoli, con la buccia molto spessa non abbastanza precoce (rispetto al Primitivo ha una maturazione un po' più tardiva anche se germoglia prima).
In vigna le potature del Negroamaro vengono solitamente posticipate a fine febbraio onde evitare le possibili gelate, il germogliamento delle gemme nel mese di marzo fa sì che si allunghi anche il periodo della vendemmia che avviene di solito verso la metà di settembre. Un fatto assolutamente positivo poiché sopraggiungono due fattori fondamentali per la vite: le temperature giornaliere subiscono un decremento rispetto alla calura di agosto e la presenza dell’escursione termica negli ultimi dieci giorni in vigna diventa più rilevante, peculiarità fondamentale per la fissazione dei profumi e dei precursori aromatici nell’acino. I continui diradamenti in vigna portano ad avere delle ottime maturazioni fenoliche, la forte concentrazione degli antociani nell’acino è dovuta principalmente alla ricchezza dei suoli manduriani prevalentemente argillosi. A differenza del Primitivo, il Negroamaro produce più quantità su pianta benché sia anch’esso sistemato su antichi alberelli, la produzione media nell’intero comprensorio manduriano parte da un minimo di tre chili per arrivare ad un massimo di cinque per pianta. Nella filosofia di Gianfranco Fino invece, nonostante le diecimila unità, la resa del Negroamaro per la produzione dello JO si ferma solo a quaranta quintali per ettaro, una resa davvero bassissima con un massimo di quattrocento grammi per pianta.
La raccolta è rigorosamente manuale fatta in cassette sistemate subito in camion frigo, lasciate fino al pomeriggio fino a quando le uve non raggiungono una temperatura intorno ai 16 °. Solo allora si passa alla lavorazione sul tavolo di cernita con una selezione dei grappoli, allontanando problemi di marciume a contatto. Diraspatura e poi macerazione in tino di acciaio inox, il contatto delle bucce con il mosto va dalle due alle tre settimane, successivo controllo della temperatura del cappello di vinaccia, due délestage al giorno e poi torchiatura delle vinacce con pressa verticale idraulica. Il vino passa subito in barrique dove si effettuano frequenti batonnage, tecnica che consiste nel rimescolare le fecce fini e nobili alla massa. Dopo circa un anno di maturazione in legno il vino, senza l’ausilio di chiarificanti e senza precipitazioni tartariche, viene imbottigliato e dopo circa12 mesi di affinamento viene messo in vendita.
È una produzione abbastanza limitata realizzata inizialmente nel 2006 da un piccolo e storico appezzamento preso in affitto - poi lasciato nel 2019 - di terra rossa sistemato con vecchi alberelli di Negroamaro in prossimità del mare a San Pietro in Bevagna. La produzione è poi aumentata con l’inserimento di nuovi impianti, in totale tre ettari, intorno alla nuova cantina nei pressi di Manduria. I nuovi impianti sono costituiti da una selezione massale creata da Gianfranco, un clone di Negroamaro caratterizzato da un grappolo spargolo e da acini piccoli, con la buccia molto spessa non abbastanza precoce (rispetto al Primitivo ha una maturazione un po' più tardiva anche se germoglia prima).
In vigna le potature del Negroamaro vengono solitamente posticipate a fine febbraio onde evitare le possibili gelate, il germogliamento delle gemme nel mese di marzo fa sì che si allunghi anche il periodo della vendemmia che avviene di solito verso la metà di settembre. Un fatto assolutamente positivo poiché sopraggiungono due fattori fondamentali per la vite: le temperature giornaliere subiscono un decremento rispetto alla calura di agosto e la presenza dell’escursione termica negli ultimi dieci giorni in vigna diventa più rilevante, peculiarità fondamentale per la fissazione dei profumi e dei precursori aromatici nell’acino. I continui diradamenti in vigna portano ad avere delle ottime maturazioni fenoliche, la forte concentrazione degli antociani nell’acino è dovuta principalmente alla ricchezza dei suoli manduriani prevalentemente argillosi. A differenza del Primitivo, il Negroamaro produce più quantità su pianta benché sia anch’esso sistemato su antichi alberelli, la produzione media nell’intero comprensorio manduriano parte da un minimo di tre chili per arrivare ad un massimo di cinque per pianta. Nella filosofia di Gianfranco Fino invece, nonostante le diecimila unità, la resa del Negroamaro per la produzione dello JO si ferma solo a quaranta quintali per ettaro, una resa davvero bassissima con un massimo di quattrocento grammi per pianta.
La raccolta è rigorosamente manuale fatta in cassette sistemate subito in camion frigo, lasciate fino al pomeriggio fino a quando le uve non raggiungono una temperatura intorno ai 16 °. Solo allora si passa alla lavorazione sul tavolo di cernita con una selezione dei grappoli, allontanando problemi di marciume a contatto. Diraspatura e poi macerazione in tino di acciaio inox, il contatto delle bucce con il mosto va dalle due alle tre settimane, successivo controllo della temperatura del cappello di vinaccia, due délestage al giorno e poi torchiatura delle vinacce con pressa verticale idraulica. Il vino passa subito in barrique dove si effettuano frequenti batonnage, tecnica che consiste nel rimescolare le fecce fini e nobili alla massa. Dopo circa un anno di maturazione in legno il vino, senza l’ausilio di chiarificanti e senza precipitazioni tartariche, viene imbottigliato e dopo circa12 mesi di affinamento viene messo in vendita.
Insieme a Simona Natale e Gianfranco Fino, alla degustazione erano presenti anche i ragazzi che hanno accompagnato in questi anni tutte le fasi di crescita della cantina: Ciro Corvino, braccio destro di Gianfranco e cantiniere storico, il fratello Tommaso anche lui in cantina e responsabile del magazzino, e poi Elettra Schino giovane assistente e futura enologa.
Spumante Simona Natale Pas Dosé 2017
Il rosato Spumante SN 2017 Dosaggio Zero, etichetta che Gianfranco ha dedicato alla moglie Simona Natale, è la bottiglia che ha aperto la degustazione anticipando la verticale di JO. La prima annata a base spumante della cantina è stata la 2009, un progetto realizzato inizialmente in pochissimi esemplari e solo in versione Magnum. Dal 2015 ad oggi la produzione, massimo tremila unità, è diventata sostanzialmente costante. In cantina è già attivo un nuovo progetto in versione spumante e sempre da uve Negroamaro, un Blanc de Noir che affronterà i suoi 48 mesi sur lies e che sarà in commercio solo tra qualche anno.
Le uve per lo spumante vengono raccolte quasi sempre intorno alla seconda o terza decade di agosto quando l’acino acquisisce solo determinati valori: un alcol potenziale intorno al 10 o al max 10,5 di alcol potenziale, un Ph basso attorno ai 2,80 e un’acidità fondamentale che si aggira sugli 8 g/l. La procedura di trasformazione rimarca quelli dei grandi vini francesi ‘rosé de saignée’ o il cosiddetto ‘vino di una notte’, con il mosto che rimane solo poche ore a contatto con l’intera massa. Solo dopo una pigiatura soffice degli acini, si allontanano le bucce dal mosto fiore, segue una macerazione prefermentativa a freddo in tini di acciaio inox da 70 hl. Effettuata la prima fermentazione alcolica, un tempo massimo di una decina di giorni, il prodotto passa subito in barrique di rovere francese e dopo circa sette mesi di maturazione in legno viene effettuato il tiraggio. Il vino viene inserito in bottiglia per la seconda fermentazione e dopo circa 36 mesi di affinamento sui lieviti viene effettuato il dégorgement. Un anno di affinamento in bottiglia e poi subito in commercio.
Il rosato Spumante SN 2017 Dosaggio Zero, etichetta che Gianfranco ha dedicato alla moglie Simona Natale, è la bottiglia che ha aperto la degustazione anticipando la verticale di JO. La prima annata a base spumante della cantina è stata la 2009, un progetto realizzato inizialmente in pochissimi esemplari e solo in versione Magnum. Dal 2015 ad oggi la produzione, massimo tremila unità, è diventata sostanzialmente costante. In cantina è già attivo un nuovo progetto in versione spumante e sempre da uve Negroamaro, un Blanc de Noir che affronterà i suoi 48 mesi sur lies e che sarà in commercio solo tra qualche anno.
Le uve per lo spumante vengono raccolte quasi sempre intorno alla seconda o terza decade di agosto quando l’acino acquisisce solo determinati valori: un alcol potenziale intorno al 10 o al max 10,5 di alcol potenziale, un Ph basso attorno ai 2,80 e un’acidità fondamentale che si aggira sugli 8 g/l. La procedura di trasformazione rimarca quelli dei grandi vini francesi ‘rosé de saignée’ o il cosiddetto ‘vino di una notte’, con il mosto che rimane solo poche ore a contatto con l’intera massa. Solo dopo una pigiatura soffice degli acini, si allontanano le bucce dal mosto fiore, segue una macerazione prefermentativa a freddo in tini di acciaio inox da 70 hl. Effettuata la prima fermentazione alcolica, un tempo massimo di una decina di giorni, il prodotto passa subito in barrique di rovere francese e dopo circa sette mesi di maturazione in legno viene effettuato il tiraggio. Il vino viene inserito in bottiglia per la seconda fermentazione e dopo circa 36 mesi di affinamento sui lieviti viene effettuato il dégorgement. Un anno di affinamento in bottiglia e poi subito in commercio.
SN Pas Dosé 2017
È un rosato per nulla scontato, fortemente radicato al territorio a cominciare dal colore e alla sua originalità, un vino che ha quel tratto di eleganza e di identità che non consente di assimilarlo a nessun altro rosato spumante della zona. Al naso rivela profumi singolari, nulla che abbia a che fare con la crosta di pane o con sensazioni per nulla banali, c'è un netto tratto iodato, una singolare verve minerale che va oltre la pietra focaia, poi arriva un’elegante sensazione di frutta di sottobosco, di ribes, fragolina e lampone che ben convive con il fiore ben definito da una rosa canina, in fondo vengono fuori qualche nota di pasticceria, di fragranza e di delicata nota vegetale. In bocca offre una raffinata eleganza, una deliziosa sinuosità di seta che accarezza voluttuosamente il palato ed una profondità che richiama sensazioni più raffinate di frutta, netta la parte floreale accompagnata da un candito, finale caratterizzato da una profonda verticalità gustativa ed una resistenza straordinaria. Una gestione magistrale della bollicina.
È un rosato per nulla scontato, fortemente radicato al territorio a cominciare dal colore e alla sua originalità, un vino che ha quel tratto di eleganza e di identità che non consente di assimilarlo a nessun altro rosato spumante della zona. Al naso rivela profumi singolari, nulla che abbia a che fare con la crosta di pane o con sensazioni per nulla banali, c'è un netto tratto iodato, una singolare verve minerale che va oltre la pietra focaia, poi arriva un’elegante sensazione di frutta di sottobosco, di ribes, fragolina e lampone che ben convive con il fiore ben definito da una rosa canina, in fondo vengono fuori qualche nota di pasticceria, di fragranza e di delicata nota vegetale. In bocca offre una raffinata eleganza, una deliziosa sinuosità di seta che accarezza voluttuosamente il palato ed una profondità che richiama sensazioni più raffinate di frutta, netta la parte floreale accompagnata da un candito, finale caratterizzato da una profonda verticalità gustativa ed una resistenza straordinaria. Una gestione magistrale della bollicina.
JO 2019
È un vino singolare che ci conduce lontano con alcune sensazioni oltralpe e con una decisa personalità completamente a sé stante. Al colore rivela un rubino trasparente luminosissimo, un naso di terra battuta, argilla e sensazioni un po’ferrose, poi tanto sottobosco, frutta fiorellini di campo, delle sensazioni eleganti e vegetali di macchia mediterranea, una spolverata di pepe, un bel ricordo balsamico che comunica traccia di sinergia con il contatto del legno di elevazione. Sorso fine ed equilibrato, garbata freschezza tartarica, carezzevole e voluttuosa la parte tannica, personalità ben definita, avvolge il cavo orale con garbata eleganza e con una personalità definita, un vino che nella sua leggiadria ha grande personalità, un carattere energico e soprattutto una chiusura di estremo equilibrio ed eleganza.
JO 2018
Al naso viene subito un ricordo minerale, poi un singolare respiro iodato e salmastro che ne caratterizzano l’olfatto, segue un impatto un po’ più scuro rispetto al precedente 2019, ha una frutta più nera, un sussurro salmastro che alleggerisce il naso dal soffio di cacao e la sensazione di agrume è diventata più scura quasi di chinotto. In bocca è un vino che ha una maggiore la sua maggiora impronta nella direttrice della freschezza, ancora una verve agrumata attorno al quale si costruisce una armonia d'insieme con un corpo più importante e più concentrato. Un’annata decisamente solida, una bocca piena e ricca di una maggiore verticalità, con una costante sensazione di bilanciamento tra calore, abbraccio tannico e morbidezza.
JO 2017
Rispetto alla precedente 2018 un po’ più orientata verso il granato, un naso che regala un elegante tratto più definito sotto l'aspetto della balsamicità, un ritorno quasi mentolato che ricorda le erbe aromatiche disidratate, ritorna la sensazione di macchia mediterranea, di vegetale elegante raffinato, poi un soffuso dettaglio aromatico, cenni netti di cacao e un singolare odore di ciliegia in composta, chiude con un agrume e una decisa nota di frutta matura. In bocca rivela eleganza e struttura, vino salino, gustoso e pieno di energia, tira fuori una deliziosa percezione di freschezza ed una vitale sensazione sapida, si lascia bere con grande semplicità, il finale è caratterizzato da un perfetto equilibrio gustativo.
JO 2016
Rosso rubino compatto di ottima concentrazione. La parte fruttata ha una polpa più concentrata, esce netta la nota amarena, poi arriva la sensazione di fiori disidratati, un ricco pot-pourri, poi grafite, non c'è nulla di etereo dal punto di vista olfattivo, fondo dominato dalle note di macchia boschiva, sottobosco di macchia mediterranea, qualcosa di salmastro, un po’di viola, essenza di tabacco scuro, un filo di cioccolato. In bocca conferma un deciso carattere, un'attenzione acida importante e un gioco tattile tra freschezza, tannicità e disidratazione, con un finale caratterizzato da un respiro balsamico, poi lunghezza e una finale di bocca sapido, ben equilibrato da un vitale contributo calorico e glicerico.
JO 2012
Rubino vivo e luminoso. Profilo olfattivo dotato da un’ampiezza e da un’eleganza straordinaria, con ricordi di viola e il ribes la frutta di bosco lo iodio, un respiro mediterraneo, un tabacco delicatissimo, accenni di grafite ma anche di humus e terra battuta, sensazioni leggerissime di spezie di pepe rosa e nero, poi il ricordo di un'arancia sanguinella e chinotto, chiude con un tocco di tamarindo. Bocca strutturata, deciso nella grinta tannica, un’elegante vena di salinità, un corpo ed un fisico possente, sviluppo gustativo straordinario ed un’attendibilità incredibile che si lascia bere benissimo, nel finale delicata impressione agrumata e un aspetto balsamico importante.
JO 2008
Naso inizialmente un po’chiuso, si apre poi a cenni di ruggine, note nette tra il sanguigno e il ferroso, un bel corredo di evoluzione. Le sensazioni fruttate sono quasi scomparse, solo delicati accenni di prugna, poi c'è tutto l'aspetto di erbe aromatiche che qui si fanno più disidratate, delicata la sensazione iodata, poi viole appassite ed un estratto di rosa canina, segue un bel bouquet di sandalo e palissandro, essenze di legno e polvere da sparo. La capacità del vino di domare l'impeto alcolico è straordinaria, una pulizia assoluta, la tannicità è perfettamente integrata al corpo, freschezza in prima linea, decise le sensazioni spiccatamente ematiche e ferrose, fondo salino ed energico, un vino che continua a farsi desiderare. Lungo nel finale gustativo.
Gianfranco Fino
Contrada Lella
74024 Manduria TA
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