Nel cuore delle colline del Monferrato, incastonata tra vigneti baciati dal sole e paesaggi mozzafiato, si trova la Società Agricola Montalbera, un’icona dell’enologia piemontese che incarna l’eccellenza e la tradizione vitivinicola della regione. L’azienda è proprietà della famiglia Morando che crede e investe da 3 generazioni in questa particolare area vinicola del Monferrato, Montalbera rappresenta un punto fermo nel panorama vinicolo italiano e internazionale con 130 ettari vitati e 750.000 bottiglie prodotte.
La filosofia produttiva è ben definita, al centro di tutto il vino frutto, esaltando le grandi peculiarità dei vigneti, interpretandone le caratteristiche e declinandole in modi diversi, dall’acciaio al legno, dalla sovramaturazione all’appassimento, così da valorizzare al meglio la personalità di ciascun vitigno.
Le zone di produzione dell’azienda sono due: Castagnole Monferrato e Castiglione Tinella, qui i vigneti ricoprono le colline, alternandosi a piccoli boschi e a coltivazioni tradizionali come la nocciola. Un territorio vocato alla viticoltura, dove la simbiosi tra clima, morfologia del territorio e composizione geologica dei terreni, hanno permesso un’ampia diffusione di varietà, la maggior parte delle quali autoctone. Nella zona della Langa sono allevate uve di Moscato, Viognier e Chardonnay; nelle colline di Monferrato disposti in forma circolare vigneti di Barbera, Grignolino, Nebbiolo, Viognier e in maggior parte Ruchè.
L’origine del Ruchè è incerta, ma si ritiene che possa essere stato introdotto in Piemonte dai monaci cistercensi provenienti dalla Borgogna nel Medioevo, tuttavia non ci sono prove documentali definitive che confermino questa teoria, anche se è ritenuta la più accreditata. Da recenti studi, condotti dall’azienda Montalbera in collaborazione con un centro scientifico, e confrontando le caratteristiche organolettiche, sembra possibile che derivi da antichi vitigni dell’Alta Savoia. La certezza è che da tempo immemore sia presente solo nel Monferrato Astigiano, quindi da considerare vitigno autoctono per secolare acquisizione.
Per molto tempo il Ruchè è rimasto un vitigno quasi sconosciuto e coltivato solo da pochi viticoltori locali come un vitigno secondario, adatto a produrre uva da tavola o vini da taglio, minacciandone l’esistenza. La sua riscoperta e valorizzazione è merito in gran parte di Don Giacomo Cauda, un parroco di Castagnole Monferrato di estrazione contadina. Don Giacomo prima di occuparsi delle vigne celesti disse “Che Dio mi perdoni per aver a volte trascurato il mio ministero per dedicarmi anima e corpo alla vigna. Finivo la Messa, mi cambiavo in fretta e salivo sul trattore. Ma so che Dio mi ha perdonato perché con i soldi guadagnati dal vino ho creato l’oratorio e ristrutturato la canonica”. Non a caso il vino era conosciuto come “Ruchè del Parroco”, finché nel 1987 il vino ottenne la Denominazione di Origine Controllata, raggiunse il traguardo della Docg nel 2010, confermando l’importanza e la qualità del prodotto che si ottiene da questo vitigno.
Per saperne di più su questo vino passiamo all’assaggio in compagnia di uno dei proprietari e General Manager Franco Morando e l’enologo Nino Falcone. In degustazione tre declinazioni di Ruchè raggruppati per annate: La Tradizione che vinifica e matura in acciaio, Laccento nel quale la vendemmia avviene 80% in maturazione ottimale e 20% in leggera sovramaturazione direttamente in vigna, infine Limpronta, nell’ultimo anno chiamato Il Fondatore, una riserva con invecchiamento in rovere francese per circa 10-14 mesi in base all’annata.
La 2022 è stata un’annata calda, con siccità estrema e temperature elevate che hanno dominato lo scenario meteorologico, la 2021 annata sempre calda ma più equilibrata.
Un color rubino delicato e trasparente, che tende a sfociare molto delicatamente in un tono appena granato. Un’esuberanza olfattiva, un vino leggibile e vivido, in primis la parte fruttata, con frutti croccanti di bosco, fragolina e lampone, e un bouquet fiorito e fresco con evidenza di rosellina, segue una speziatura chiara di pepe rosa e di anice che conferisce un finale appena mentolato. Una palese corrispondenza gusto olfattiva, un sorso snello e molto piacevole, ritorna il frutto croccante con tutta la freschezza del lampone che accompagna il finale. Ottimo con una rosetta col salame, ma anche con un cacciucco alla livornese vista la capacità tannica di asciugare.
Laccento differisce da La Tradizione per un 20% di uve vendemmiate in leggera sovramaturazione e una elevazione in acciao per un periodo leggermente più lungo. La nascita di questo vino ha preso la sua ispirazione da una degustazione di Amarone, l’intento dell’azienda da un punto di vista tecnico è quello di arrotondare e rendere ancora più piacevole la versione tradizionale, concentrandone i sapori varietali e ottenere una versione più armoniosa ed omogenea.
Il colore si va ad infittire in un leggerissimo velluto mantenendo la sua trasparenza. Rispetto al primo vino troviamo corrispondenza varietale nei sentori ma con una espressività più accogliente, il primo calice era più avvolgente. Il frutto croccante di bosco si è trasformato in una gelatina, la rosa inizia ad appassire e la spezia inizia ad essere più dolce, cannella e noce moscata. In bocca si fa più cremoso, con la componente glicerica più tattile e acidità illesa.
Etichetta celebrativa in onore del fondatore dell’azienda, Enrico Riccardo Morando. Il vino è il prodotto di una singola vigna, quella più idonea sia per l’età, la più anziana, sia per l’esposizione, a ovest. In cantina il vino è evoluto in tonneaux, ma ci si sta orientando per integrare botti molto grandi da 2000 litri.
In questo assaggio il colore si va ad intensificare, prende corpo pur mantenendo questo soffio trasparente, l’orlo granato si fa più presente. Un naso fascinoso che si va ad incupire, entra nel mondo del sottobosco, terra umida e sensazione di corteccia, una balsamicità di grande esuberanza, con una grande freschezza che ricorda il muschio, la parte floreale caratterizzata da rose rosse totalmente aperte, il legno è presente ma in un ruolo corale, pennellate di cacao e un soffio di caffè. Il sorso diventa più materico, il morso tannico è costante ma disciplinato, non copre le altre sensazioni, la persistenza è ampia e richiama il sottobosco, nel finale ritorna il frutto. Con l’abbinamento rimaniamo in casa, un tajarin al sugo d’arrosto.
Annata che è stata condizionata da eventi climatici anomali ed eccezionali. Inverno “caldo” e con poche precipitazioni, primavera con temperature al di sotto della media stagionale e un incremento delle precipitazioni, infine estate rovente con formazione di rovesci a tratti anche intensi.
Il colore ha un leggero cedimento, ha assunto una nuance granato mantenendo la trasparenza. Al naso si presenta più audace nell’intensità, il frutto si fa più maturo, prugna, ciliegia nella sua forma più violacea e una punta di ribes nero, inizia a sentirsi la radice di liquirizia, il pepe nero che pizzica al naso e un finale di erbe officinali. Sorso agile e fresco, resta il carattere vivido del Ruchè, l’acidità è più integrata, tannino flessibile, all’inizio il frutto è masticabile per proseguire con la spezia nella persistenza, prima della chiusura del palato c’è un ritorno di bouquet floreale inaspettato e piacevole.
Colore più scuro e maggiore compattezza. Un naso accogliente ma meno intenso che gioca sulla profondità, da un frutto maturo e caldo ad una speziatura tridimensionale, dal chiodo di garofano a cardamomo, nota balsamica mentolata, appare un sentore nuovo rispetto ai calici precedenti, un agrumato da arancia rossa, seguono liquirizia ed erbe aromatiche, rosmarino e alloro, poi quasi in controtendenza un fiore fresco, una viola del pensiero, infine una punta di china. Un sorso appagante che riempie, il tannino che si colloca sul palato e si apre come un fazzoletto di seta, un ritorno di agrume, arancia e bergamotto, china, persistenza lunghissima dove sembra di masticare una bacca di mirto.
Il colore si va a serrare e il granato diventa il colore dominante. All’olfatto un vino muscolare che punta sulla espansività, un’erba aromatica forte e scura, quasi un ramo di alloro, la liquirizia arriva in primo piano e si va avanti con un sottobosco e una piccola idea fungina, sensazioni eteree di cera d’api, percezione di legni aromatici con richiamo alla scatola di sigari, tabacco dolce, un mirto liquoroso e un balsamico da pepe nero. In bocca risulta cremoso e avvolgente, grande morbidezza, tannino presente ma in modo gentile, acidità fa da spalla al vino, sensazioni di mirto e alloro con finale speziato. Da abbinare con cosciotto di agnello al forno ricco di erbe aromatiche.
Annata vinicola da 5 stelle in tutto il Piemonte, contraddistinta da un’eccellente sanità delle uve raccolte e da rese più che soddisfacenti. Franco Morando l’ha definita “La perfezione del protocollo di eccellenza di natura … la migliore negli ultimi 30 anni”.
Il colore non ha avuto un grande cedimento nel tempo. Il naso ha un grande fascino, è evidente il filo conduttore con i suoi predecessori, ma con un carattere diverso, più consapevole. Ritorna questo tono di erbe mediche, propoli di cera d’api e tintura di iodio, sensazione di china, speziatura che si addolcisce, cannella e noce moscata, sul fondo una nota caramellata di Alpenliebe, il frutto è una prugna disidratata, il balsamico della resina che ricorda la pigna. Sorso impeccabile nella leggiadria, la percezione delle morbidezze passa in primo piano e l’acidità diventa un accompagno, sul finale ritorna il sentore di frutto appassito, uvetta e dattero. Un vino di non facile abbinamento, da provare con la coda alla vaccinara.
Questo assaggio a livello evolutivo si presenta più avanti con un color aranciato. Caratterizzato da pienezza e morbidezza olfattiva, completamente in fase terziaria, un legno antico, una cera d’api che si fonde con sensazioni smaltate, seguono sensazioni di dattero disidratato e mallo di noce, profonda speziatura e un ritorno agrumato di scorza d’arancia candida. Un sorso da passito senza essere un vino dolce, grande rotondità e avvolgenza piena, ritorno di frutta disidratata e sul finale chiusura di sentori terziari. Riuscire ad abbinare questo vino è un’impresa, probabilmente quando l’apriamo pensiamo più con chi che con cosa, sicuramente ci può stare un bel sigaro.
In questo caso abbiamo un 10% di Barbera, blend immediato dall’uvaggio e non differenziato. Manca l’appellativo aggiuntivo riserva solo perché nel 2016 ancora non era previsto nella denominazione, ma l’affinamento è identico a quello della riserva.
Un vino che con la spalla di Barbera sembra ringiovanire, un naso molto fresco, incredibilmente caratterizzato da un floreale vivo, peonia e violetta, traccia di legno molto leggera, punta di vaniglia, effetto Mon Chéri con frutta sotto spirito avvolta nel cioccolato, balsamicità fresca di eucalipto, un frutto sorprendentemente croccante e una punta liquorosa di ginepro. In bocca grandissima freschezza, il frutto rimane vivido al palato, un pompelmo rosa, con un bouquet che si allarga.
Nonostante le varie annate, le diverse declinazioni svolte in cantina e le differenti mani enologiche, da questi nove assaggi possiamo affermare che il Ruchè ha una sua identità chiara e forte. Un’uva semi–aromatica che si porta nel suo zainetto determinati settori primari e secondari, dal bouquet floreale alla speziatura, una costante balsamico presente in varie forme.
Montalbera è un’azienda che ha tanto da raccontare e fa del Ruchè il suo punto di forza e la ringraziamo per aver condiviso questa esperienza piacevole ed intensa.
Società Agricola Montalbera s.r.l.
Via Montalbera, 1 - 14030 Castagnole Monferrato (At)
Tel. 338 735 6001
www.montalbera.it