La cultura enogastronomica, specie se incontra naturali attitudini alla comunicazione, stimola naturalmente molte persone in gamba a trasmettere le proprie esperienze e le proprie conoscenze. Purtroppo, però, il cibo e il vino, che sono parte imprescindibile del nostro quotidiano, sono temi che attraggono tutti e molti (troppi?) si sentono autorizzati a dire la loro, senza aver maturato alcuna competenza specifica nel merito e spesso, per di più, senza avere neppure un minimo di capacità espressiva. Bene, il mondo è bello perché è vario, si potrebbe dire, e fortunatamente viviamo in democrazia. La parresía (libertà di parola), che è prerogativa di ogni società libera, ce l’hanno insegnata gli antichi greci. Ma della loro splendida civiltà letteraria ci sono state trasmesse solo le parole di chi aveva cose davvero importanti da dire e le aveva dette molto bene.
Venendo al punto: è attualissima la discussione sulla validità e sull’efficacia dei mezzi di comunicazione che si occupano di vino. Non vorrei entrare nel merito del reale impatto informativo di tali mezzi, ma forse è giunto il momento di concentrarsi su “cosa” viene comunicato e su “come” si trasmette quanto si sa. Studio, cultura, esperienza vissuta sono alla base di una comunicazione chiara, efficace, sostanziosa. Magari non si può sempre pretendere l’eleganza, ma sarebbe almeno lecito aspettarsi chiarezza e proprietà di linguaggio.
Purtroppo, indipendentemente dal medium (tv, libri, giornali, blog…) circolano troppi ciarlatani, inetti palloni gonfiati, “disertori della vanga” che si improvvisano mediatori culturali quando avrebbero obiettive difficoltà anche a comunicare correttamente il proprio indirizzo. Chi invece sa parlare e scrivere con stile garbato ed efficace, dimostrando magari una solida preparazione sugli argomenti che tratta, può darsi che non ci convinca delle sue tesi, ma riesce certamente a conquistare il nostro rispetto.
I vuoti parolai, eccitati quando possono ascoltare la propria voce e leggersi con boria compiaciuta, rischiano l’orgasmo al solo pensiero di raggiungere qualcun altro con il loro verbo, quale che esso sia. Sta dunque a noi accendere il ben dell’intelletto: è bello poter scegliere di passare oltre e condannare gli inetti a parlarsi addosso o a parlare esclusivamente tra di loro. Finendo inesorabilmente relegati nell’oblio.