Terroir, che parola! Alcune uve sono come le spugne ed assorbono tutto ciò che il terroir rapprensenta, dalla trama del suolo al clima, alle cure dell'uomo. Tra queste, il Pinot Nero è sempre sotto stretta osservazione e bisognerebbe che una legge imponesse di assaggiarne almeno 2 al giorno, tant'è la variabilità che mostra. Una vera ricchezza.
In alcuni grandi aeroporti del nord America si trovano punti di ristoro di qualità che offrono degustazioni di vini americani, di tutte le latitudini. “From Oregon with pride” è la degustazione di 5 Pinot Nero dell’Oregon che veniva proposta.
I vini, provenienti essenzialmente dalla Willamette Valley (a Nord) e dalla Umpqua Valley (più a sud) erano strabilianti per variabilità del profilo. I primi due erano talmente trasparenti che parevano rosé carico, al naso le spezie del legno piccolo certo emergono, ma poggiano su una delicatezza dolce che li farebbe certamente distinguere dalle versioni europee alla cieca (niente carciofini). Un intreccio molto speziato in cui fa capolino ogni tanto un po’ di leggerezza fruttata.
Proseguendo, i vini si fanno più scuri e qualcuno addirittura si tinge d'inchiostro. La prima olfazione toglie ogni dubbio e vede il profilo cambiare totalmente, con una generosità di spezie che non avremmo immaginato. La trama del tannino in questi vini sembra calcolata a tavolino, perfetta, mai aggressiva, mai asciugante, mai amara. In bocca c’è la frutta pulita che subito si intreccia con il pepe rosa ed alcuni rimandi di caffè aromatico. Aspettiamo prima di assaggiare l'ultimo e scopriamo che anche i primi che sembravano più semplici si aprono in un ventaglio che adesso lascia spazio anche alla leggiadria floreale. Il curry si impossessa di uno dei vini intermedi e fa vacillare l'olfatto.
Ecco il botto finale: Red Hills Estate 2009 di Archery Summit (Dundee). Trasparente, si apre con la rosa inseguita dalla liquirizia, dal pepe e da una sequenza profonda che arriva all'agrume passando dalla frutta scura, una specie di equilibrio impossibile tra polposità e leggiadria. In bocca la frutta sembra tattile, il frutto sembra scrocchiare sotto i denti appena per dare il tempo allo zenzero e alla cannella di fare capolino in punta di piedi. Seguono note di terra, scure ed austere. Il tannino è esatto, dall'ingresso del vino in bocca alla splendida chiusura dolce e lunghissima.
Viene voglia di andarci da questi signori dell'Oregon, se non fosse che è lontanissimo. Speriamo qualcuno ci pensi e ci faccia assaggiare qui a Roma i loro vini.
Intanto sogniamo e ce li immaginiamo contadini energici ma severi questi dell'Oregon, del resto il Pinot Nero non perdona.