Come spesso accade, casualità e contingenza sono gli ingredienti decisivi di un prodotto straordinario. È il caso del Formaggio di fossa, per il quale non ci si può esimere dal racconto di alcuni cenni storici, o forse leggendari, che ne segnano la genesi. Secondo la tradizione l’origine risale all’anno 1486, quando Alfonso d’Aragona, figlio del re di Napoli, dopo essere stato sconfitto dai francesi ottenne ospitalità da Girolamo Riario, Signore di Forlì. Dopo qualche tempo, le risorse del signore forlivese cominciarono a scarseggiare e le affamate truppe ospiti iniziarono a depredare i contadini delle zone circostanti. Questi per difendersi iniziarono a nascondere le proprie provviste nelle fosse di arenaria. Con la partenza delle truppe, nel mese di novembre, gli abitanti riaprirono le fosse con i cibi ormai salvi dalla razzia.
Proprio in questo lasso di tempo, casualità e contingenza, insieme a latte di pecora a volte misto a vaccino, avevano contribuito in modo determinante alla nascita-scoperta del Formaggio di fossa. Se la leggenda sia veritiera o meno non è dato sapere, di certo tuttavia questo formaggio compare in due inventari di fine XV secolo, che ne attestano la presenza nelle zone che poi ne diventeranno tipiche produttrici: le località di Sogliano al Rubicone in Emilia Romagna e Talamello nelle Marche (Dop Formaggio di Fossa di Sogliano). Il nome deriva quindi dalla sistemazione delle forme, nel periodo di fine agosto e per circa tre mesi, in fosse a forma di fiasco della profondità di circa 3 metri con diametro di 2. La tradizione prevede la bruciatura di paglia all’interno per sterilizzare ed eliminare l’eccessiva umidità; a ciò segue la copertura delle pareti con altra paglia e la sistemazione delle forme l’una su l’altra. Infine l’apertura viene sigillata con coperchi di legno e gesso, per venire riaperta solo il 25 novembre, giorno di Santa Caterina.
A seguito della fermentazione anaerobica che provoca ammorbidimento e quindi deformazione delle forme per sovrapposizione, una volta terminata la stagionatura, il formaggio si presenta irregolare, non più di forma cilindrica e di colore biancastro o giallo paglierino. Ma soprattutto ha acquisito quell’aromaticità caratteristica che tanto affascina al friabile assaggio, una perfetta simbiosi tra la tendenza dolce iniziale e il piccante amarognolo che emerge in seconda battuta. Al naso penetranti sentori autunnali di sottobosco, profumi di legno, muffa, tartufo travolgono con inebriante fragranza. Un alimento da pasto piacevole anche da meditazione, solo o con miele e confetture, che inevitabilmente richiede l’abbinamento con un vino di qualità, morbido e di buon corpo, di struttura e spalla acida importanti che lo sorreggano per un connubio di reciproca esaltazione. E allora perché non provarlo, per rimanere in zona, con un elegante Albana di Romagna Passito…le fosse sono aperte!