Vero e proprio “must”, quando si visita la Borgogna, è una cena presso il bistrot Ma Cuisine di Beaune, delizioso locale animato dalla giovane chef Fabienne Escoffier: un nome un programma, anche se non c’è parentela con il mitico Auguste. Siamo al centro di Beaune, proprio a due passi da Place Carnot: l’unica accortezza è ricordarsi di prenotare, stante il limitato numero di coperti. Ambientazione sbarazzina, almeno in apparenza: sui tavoli sottaceti artigianali, mostarda e olio extravergine d’oliva, più o meno dappertutto bottiglie vuote delle più grandi etichette francesi, compresa una sorta di piramide fatta di una ventina di annate di Yquem. Impossibile non rimanere affascinati anche solo a scorrere velocemente la carta dei vini: in ordine ascendente di prezzo, appare tutto quello che si può desiderare, soprattutto di autoctono. Al culmine, una pagina intera dedicata al Domaine de la Romanée Conti. In tanta varietà, ognuno trova quello che può - e vuole - permettersi. Come spesso accade in Francia, le proposte del menu sono invece riportate su una lavagna: piatti caratterizzati da ottima selezione degli ingredienti, cura nella presentazione e rispetto della tradizione, magari con quel pizzico di ricercatezza che non guasta. Immancabili le escargots (insolitamente ma “comodamente” sgusciate), imperdibili magret de canard rôti, ris de veau, boeuf bourguignon e - soprattutto - pidgeon entier rôti au jus. Completano il quadro una mirata scelta di formaggi e i dolci fatti in casa.
Sono da poco passate le dieci di sera del 25 luglio 2013 quando, appagato da una cena deliziosa a chiusura di una giornata densa di assaggi, sto ormai degustando l’ultimo goccio del mio Chambolle-Musigny Les Combottes di Alain Jeanniard. Si accomodano al tavolo accanto al mio due distinti gentiluomini che conversano amabilmente in inglese. Percepisco la loro consolidata familiarità con Pierre, il proprietario, che si ferma a ridere e a scherzare con i due versando loro una cospicua dose di Bollinger Special Cuvée come benvenuto. Dopo una decina di minuti, Pierre arriva al loro tavolo portando una bottiglia chiaramente datata. Per la curiosità, il mio collo dev’essersi allungato come quello di Reed Richards (alias Mister Fantastic), carismatico capo dei Fantastici Quattro. L’etichetta è sbalorditiva: Corton Rouge Grand Cru Capitain-Gagnerot 1947! Ma la sorpresa più grande giunge quando uno dei due commensali - notato il mio interesse pressoché sfacciato per l’oggetto (e ancor più per il suo contenuto, lo confesso) - si alza e mi offre un generoso assaggio di quel nettare, un ultrasessantenne in splendida forma: profondo, ampio e avvolgente come un letto di piume. Un vino fenomenale, quasi da inginocchiatoio.
Abbiamo trascorso quasi un’ora a conversare amabilmente di vino, di vini e dei nostri paesi. Uno di loro era un albergatore locale, l’altro un enologo californiano. Non c’è stato scambio di biglietti da visita, non rammento più i loro nomi, difficilmente ci rivedremo ancora. Ma quella serata, quei volti, quel piacere di condividere con due sconosciuti il miracolo di un grande vino e della cultura che lo ha creato rimarranno per me un ricordo indelebile. Eppure, c’è ancora chi pensa che il vino sia solo succo d’uva fermentato…