Nella storia l’utilizzo del vino ha subito numerose evoluzioni: farmaco, bevanda, droga, pomata e crema cosmetica. Le prime testimonianze sul vino, legate alla cultura medica, risalgono al V secolo a.C. circa, e sono alcuni scritti di Ippocrate, che consigliava questa bevanda associata ad altre, sempre alcoliche, per contrastare la febbre, per aumentare la diuresi e soprattutto per medicare le ferite, data la sua importante attività antisettica: infatti, per oltre duemila anni, il vino è stato l’unico antisettico utilizzato per disinfettare le ferite e anche per rendere potabile l’acqua. È comunque difficile stabilire quando scoprirono che il vino, oltre da essere un’ottima bevanda, avesse anche proprietà mediche. Presso gli Egizi il vino veniva usato principalmente come anestetico locale, successivamente Plinio ne spiegò le proprietà anestetiche per l’azione dell’aceto sul carbonato di calcio, con formazione di acido carbonico, dalle lievi attività anestetiche locali. Anche nella cultura medica etrusca, noti per la fitofarmacologia, il vino era utilizzato, col cavolfiore, per le ferite, le tumefazioni, gli ascessi, le lussazioni e perfino, per via orale, nelle malattie del fegato e della milza, nelle dissenterie e nelle coliche. Presso i Romani invece, l’uso del vino si diffuse principalmente nella preparazione di decotti a base di erbe medicinali: la fonte più ricca e dettagliata sull’uso del vino, a fini terapeutici, è quella offerta da Galeno, medico personale di Marco Aurelio, scrivendo il suo “De Rimediis”, dove dedica un lunghissimo capitolo alla terapia con ricette a base di vino. I Romani utilizzavano il vino anche nello svezzamento: verso un anno e mezzo il bambino veniva svezzato con briciole di pane imbevute in vino dolce aromatizzato.
Molteplici sono le leggende sulle origini del vino, ne citiamo una: “Alla corte del re persiano Iamsheed, l’uva era conservata in vasi, per essere poi consumata fuori stagione. Uno dei vasi, nei quali l’uva aveva prodotto della schiuma ed emanava un odore particolare, era stato scartato perché ritenuto avariato e forse velenoso. Una delle fanciulle dell’harem, in preda ad una terribile emicrania, tentò di darsi la morte bevendo quel presunto veleno. Ma, dopo averlo ingerito, con sua grande sorpresa provò un piacevole senso di allegria a cui seguì un buon sonno ristoratore. Al suo risveglio la fanciulla informò il sovrano che, da quel momento, ordinò di produrre una certa quantità di quella nuova bevanda per berla a Corte”
Nel Medioevo, il vino era usato a scopo terapeutico soprattutto nella pratica chirurgica: i medici della Scuola di Bologna, effettuavano fasciature imbevute di vino per cicatrizzare e portare alla guarigione le ferite; Guy de Chauliac, famoso chirurgo del Medioevo, puliva le ferite con lavaggi a base di vino, finche il vino stesso non risultasse pulito e chiaro. Più tardi, il dolore procurato dalla gamba incancrenita di Luigi XIV, il Re Sole, fu trattato immergendo la gamba stessa in una vasca piena di vino caldo aromatizzato e si evidenziò che ciò attenuasse il forte dolore. Il grande chimico francese, Louis Pasteur, fece invece un’importante scoperta: nel 1862 cominciò ad osservare al microscopio i vini alterati e si accorse che, il vino posato sul vetrino, conteneva una quantità infinita di batteri. Per vivere e riprodursi, i batteri avevano bisogno di ossigeno, mentre se il vino restava chiuso in provetta, senza aria e quindi in assenza di ossigeno, rimaneva stabile senza che i batteri prendessero il sopravvento e trasformassero il vino in aceto. Scomparso ormai dalla moderna farmacopea, il vino, in particolare il rosso, resta ad oggi pur sempre un amico della buona tavola e della buona salute e va bevuto con moderazione.