L’Eleagno o Olivagno è arbusto sempreverde, da noi coltivato soprattutto a scopo ornamentale. Resistente al freddo (tollera temperature fino ai -30° e altitudini fino ai 1.800 metri) e dotato di un folto fogliame, è ben noto ai vivaisti, che lo utilizzano per creare barriere frangivento in giardini e terrazze, ma è ancora illustre sconosciuto dal punto di vista alimentare. Originario del continente asiatico, si ritrova in una ampia fascia del settore nordorientale, dalla Cina settentrionale alla Corea e dalla nipponica isola di Hokkaido fino a Sakhalin, spingendosi a ovest fino alla steppa ucraina. Alla fioritura di maggio segue una abbondante produzione di piccoli frutti rossi dal lungo peduncolo, a prima vista simili a corniole rosso vivo, dal gusto molto particolare, agrodolce e leggermente astringente, le cui virtù salutari sono da secoli apprezzate in Oriente. Nella farmacopea cinese, si utilizzano in decotto anche le foglie come medicamento per la tosse, mentre frutti e radici possiedono proprietà astringenti e antisettiche. Le bacche (e per estensione la pianta che le produce) sono chiamate Gumi (o Goumi del Giappone o Goumy) dagli erboristi, che le raccomandano per lo straordinario potenziale antiossidante, paragonabile alle bacche di Goji e di Açaí, appartenenti in effetti alla medesima famiglia, quella delle Oleracee. Particolarmente elevato è il contenuto di flavonoidi e di vitamine A, C ed E, che ne fanno un potente alleato naturale contro il colesterolo alto e le degenerazioni cellulari. Introdotta a metà Ottocento dagli Olandesi, la pianta dei Gumi (in cinese, Natsu Gumi, Daio Gumi o Tu Gumi, in giapponese Hosoba-Natsugumi) viene adottata in Francia a partire dal 1861, in particolar modo nella zona dei Vosgi e della Lorena, nei pressi di Baccarat, dove a tutt’oggi è piuttosto diffusa, su iniziativa di Joseph Clarté, addetto delle locali cristallerie con la passione per la flora esotica, membro della Société d'acclimatation. A chiamarla col nome ufficiale di Eleagno (dall’unione di due termini greci che significano più o meno “olivastro sacro”) sono soprattutto i botanici, che distinguono diverse sottospecie alle quali corrispondono altrettante varianti del nome, quali eleagnus multiflora (per i fiori abbondanti), eleagnus edulis (commestibile) ed eleagnus longipes, con allusione al lungo peduncolo. Varietà migliorative da frutto (bacche più dolci e più grandi) ottenute per ibridazione sono la russa Red Gem e la Sweet Scarlet americana, quest’ultima utilizzata anche per spettacolari bonsai portatori di minuscole bacche cremisi.
A fini alimentari, i Gumi sono in tutto e per tutto assimilabili ai piccoli frutti e alle bacche nostrane: se ne nutrono gli uccelli e un po’ tutta la fauna del bosco, uomo raccoglitore compreso. Di grande effetto è l’utilizzo in pasticceria, sia dei frutti interi che trasformati in composta o confettura. In più, i Gumi si prestano egregiamente a trarne un fermentato, chiamato appunto “vino di Gumi” o Gumishu in Giappone, replicato a livello artigianale anche nella Francia dei Vosgi. A Saint-Dié, ad esempio, nella frazioncina di Coinches, Bernard e Mauricette Lemaire hanno ripreso l’antica tradizione della lavorazione dei frutti locali come Lamponi, More, Visciole, bacche di Sambuco e, naturalmente, di Gumi, e con l’ausilio di acqua, zucchero e leviti selezionati (ma senza additivi chimici di sorta) producono 5-6000 bottiglie l’anno in una dozzina di tipologie. Non potendo, a termini di legge, definirsi vino, per tutti questi prodotti viene adottata la menzione di “Petit Crus de Fruits Vosgiens”, a tutela e valorizzazione dei quali è localmente nominata un’apposita Confrérie con tanto di taste-vin, sul modello dei Cavalieri Borgognoni. Bernard, già tecnico meccanografo, andando in pensione si è potuto finalmente dedicare a tempo pieno alle sue colture e all’elaborazione dei prodotti, che segue con passione degna di un vigneron, non lesinando consigli sugli abbinamenti più sagaci, come quello del Petit Cru di Gumi servito fresco di cantina su un classico Foie Gras.